Impressioni a caldo

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

La stanza è asettica, spoglia. Ho il lenzuolo tirato fino sul collo ma non lo sento addosso; non sento niente.
Quando quell’uomo inizia a divorarmi non mi accorgo subito che è morto. Forse, penserò poi, perché non avverto il freddo della sua pelle contro la mia né i suoi denti marci che mi lacerano la carne. Un altro ha il camice bianco e la mascherina gli copre quasi interamente il viso. Mi fa:
“Sapresti dirmi le tue emozioni adesso?”. Intanto si preoccupa di arrestare le emorragie sempre più numerose sul mio corpo.
Fotogrammi di memoria mi girano in testa a velocità innaturale.
“Ti abbiamo anestetizzato Luca. Non ci interessano quelle di sensazioni”.
Intanto scopro con orrore che non ho più le gambe; il cuore accelera. Ora lo so per certo che è un cadavere o qualcosa del genere: ha i segni dell’autopsia sul torace, povero cristo anche lui; e continua a sbranarmi. Il medico ripete la stessa domanda continuamente:

“Le tue emozioni Luca... I tuoi pensieri...” fino a quando l’essere mi spolpa anche le braccia, lasciandomi un tronco insanguinato incapace di ricordare; fino a quando non inizia a mangiarmi il viso.
Ho gli occhi appannati per le lacrime e non distinguo bene le parole. Riesco a vederne altri, col camice, in fondo alla sala che credevo vuota. Guardano dei televisori in alto e prendono appunti. Ormai mi sta mangiando gli occhi; ruggisce mentre lo fa.
“C’è poco da disinfettare dottore” vorrei dirgli, ma non ho più la bocca, nè la forza.
Poi penso a mia madre e a Francesca, alla coppa del calcetto e al mio matrimonio. Tutto scorre nei televisori in alto come un film; ci sono almeno venti spettatori.
Poi più nulla.

Simone Delos