Risveglio furente

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

La quiete della notte venne improvvisamente meno. Un richiamo doloroso mi strappava al sonno. Nemmeno le urla riuscirono a coprirlo, mentre martellante scendeva verso me e mi fracassava la testa. Nella foga del momento, disposto a tutto pur di farlo tacere, cominciai a dimenarmi con forza, urlando, sentendo la gola bruciare dallo sforzo. La morbida terra, umida di vita, si apriva come un grembo materno. Il richiamo continuava a stringere la sua presa su di me, insinuandosi tra la terra e le carni, arrivando sino al cuore e imponendogli di battere ancora, e ancora... e ancora... Dovevo arrivare alla fonte del richiamo, per poterla annientare prima che fosse troppo tardi, prima che la vita mi strappasse alla morte. La terra mi impastava la gola e le labbra deformi, ma il mio grido sibilante tentava ancora di imporsi. Potevo quasi distinguere le parole, le maledette strofe che caricavano la mia mente d’odio profondo e furia indomita. Lo strato d’erba venne sfondato dalla mano grigia, che percepì dopo anni la sensazione leggera del vento che scorre tra le dita, asportando tessuto in decomposizione. La luna abbagliò i miei occhi putrescenti, costringendomi a chinarmi a terra, urlando come una bestia selvaggia.

Sette uomini incappucciati intonavano il canto, parole di potere che facevano tremare la terra, scuotere le ossa. Mi alzai, tentennai, infine ricaddi. Mi volsi verso uno degli adepti, deciso a tappare quella sua bocca per sempre, quando qualcos’altro mi fermò. Un altro richiamo si insinuò nelle narici disfatte dal tempo e giunse al cervello. Avevo fame. Mi voltai e la vidi, una giovane donna dalla gola squarciata, il sangue riversato in terra. Mi avvicinai strisciando finché non strinsi le sue carni, ancora squisitamente tiepide. Ebbi appena il tempo di maledirmi un’altra volta, poi affogai i miei dispiaceri nel sapore dolciastro del sangue.

Howl