L'arte del poetar del sommo Dante

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Gli occhi molli e lacrimosi di lui scivolano rotolando sul pavimento di legno e tracciano umide scie gialle indifferenti alle due ombre cave che abbandonano cieche.
Il piede nudo di lei con intenzione birichina, li preme schiacciandoli con un morbido ploop.
-Ho scritto tutto quello che mi avete ordinato, adesso basta.
Implora Dante congiungendo le mani in una preghiera inutile.
-Non ce la faccio più a sopportare la vostra presenza- Continua con l’ultima goccia di orgoglio ormai esaurito. -Non posso resistere oltre alla vista dei vermi che vi masticano le guance e al rumore delle ossa che si spezzano. E poi l’odore di putrefazione col quale appestate l’aria mi uccide! E’ forse questo che volete?
-Il tuo compito è finito- Biascica lui tra gli spuntoni marci dei denti e il moncone della lingua roso dalle larve di mosca.
-Sei stato un ottimo scrivano, vedrai che si ricorderanno di te per quello che hai fatto.
-Si ricorderanno di te certamente- Interviene lei trattenendo a stento col moncherino scarnificato di una mano l’osso mandibolare disarticolato dal cranio spelacchiato.
-Ma si ricorderanno anche di noi!

La risata di lei è solo un gorgoglio grumoso in una gola sfondata, e poi è lui che affonda i denti neri nella carne flaccida di lei, due corpi morti che si divorano a vicenda.
Rimane Dante lo scrivano, con la sua capacità unica di portare in vita dei corpi morti, con la sua ambizione di diventare un grande scrittore, e con la disperazione di chi ha azzardato oltre al consentito dalla leggi della natura.
Ai suoi piedi i resti imputriditi del vecchio poeta-macellaio della borgata soprannominato Virgilio uniti agli avanzi del corpo morto dell’amata Beatrice, e sul piano di legno il manoscritto del poema che cambierà la concezione della morte e della vita che verrà.

Marco Cartello