Soli in ascensore

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Ha fatto tardi in ufficio, fuori è già buio, ma finalmente può andarsene. Attende quasi con trepidazione che la porta metallica dell’ascensore si apra. E’ vuoto, bene, perché è sempre fastidioso fare quei sette piani in compagnia di qualcuno, con quei sorrisetti forzati, quelle parole smozzicate.
All’interno la luce del neon è vivida, quasi da ferire gli occhi.
Preme il pulsante. Inizia a scendere.

 

Fame, molta fame. Dove andare oggi? Ecco, scivolo verso quella torre bassa, evitando con cautela le assenze di buio, che mi causano sempre dolore. Sicuramente c’è una preda per calmare la mia fame. Adesso entro a cercare.

 

Le luci si abbassano e poi svaniscono; l’ascensore si ferma improvvisamente e non riprende la discesa. Nel buio fitto, lanciando maledizioni, cerca di fare luce attivando il riquadro del cellulare. Ecco, vede il pulsante dell’allarme. Lo preme, ma non succede niente. Incompetenti, tutti incompetenti. Prova a telefonare, anche se sa che lì dentro il telefono non prende.

 

La sento, la preda è vicina a me. Ho scelto sicuramente bene. Già pregusto il mio tranquillo riposo nel buio della cripta. Scendo nel pozzo. Penso che se avessi una bocca, probabilmente sbaverei. Mi diverto per la mia battuta.

Batte sulla porta, ma nessuno risponde. Tutti sono già andati via, figuriamoci. Qualcosa coglie il suo sguardo nella pallida penombra. Dall’alto sta colando qualcosa di nero, una massa fatta come di niente, che scivola in silenzio lenta. Adesso è anche sul pavimento.
Lui si stringe in un angolo, ma il buio si spande come liquido.
La debole lama di luce sembra tenerla ancora lontana. Ecco, così.
Poi la batteria si esaurisce e tutto diventa buio.

 

Buono, era proprio buono. Sono brava quando devo nutrirmi. Adesso, per un poco sono a posto. Mi basterà evitare le assenze di buio, che mi rovinano la digestione.

Alberto Priora