La macina

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2006 - edizione 5

Era una notte nera come la pece e regnava il silenzio più assoluto. Avanzavo a tentoni e riuscivo a malapena a distinguere i contorni degli edifici, tra i quali vagavo senza meta. Poi scorsi una luce tenue in lontananza ed avvicinandomi vidi che proveniva dall'interno di una vecchia casa diroccata.
Arrivato davanti alla porta aperta vidi che all'interno di una grande stanza, illuminata dalla luce di due vecchie lampade ad olio, si trovava una grande macina, di quelle usate per macinare l'uva e fare il vino. Accanto ad essa c'erano due persone, una azionava manualmente la macina, mentre l'altra prima vi versava dentro l'uva e poi, quando era pieno, prendeva il secchio sotto la macina e lo svuotava in un enorme barile. Rimasi un po' perplesso, poi guardai con più attenzione e rimasi paralizzato dall'orrore. Quella non era affatto uva, ma pezzi di carne, pezzi di uomini che venivano macinati.

Uno dei due infilava poi le mani nel secchio sotto la macina e ne tirava via i frammenti di ossa, così come si fa con i raspi dell'uva, prima di versare quel liquido denso e scuro nel barile. Uno dei due si voltò verso di me stringendo tra le mani delle viscere umane che grondavano sangue. L'uomo si avvicinò e porgendomi un calice colmo di quel denso vino, disse: "Bevilo o verrai macinato come gli altri". Lo bevvi senza esitazioni. Un istante dopo mi ritrovai a lavorare alla macina, condannato a lavorarvi per l'eternità, liberando le anime di coloro che avevano rifiutato il calice maledetto.

Simone Babini