Vigilanza notturna

Sono nel mio ufficio. È notte fonda.
Il collega è uscito per il consueto giro d’ispezione ai vari punti sensibili, e a cadenza regolare, ogni dieci minuti, ricevo il suo contatto radio, che mi accerta la regolarità dell’ispezione.
Lo sguardo ricade sull’orologio, sono le 3.33, tra sette minuti riceverò la prossima chiamata.
Spengo la sigaretta soffocandola con l’anfibio che indosso, calpestandola ripetutamente e richiudo la porta alle mie spalle.
Torno a sedermi ed accendo la radio sintonizzandola su una frequenza degna di buona musica, ne trovo una carina e la memorizzo tra i canali, al momento stanno trasmettendo “Sultan of swing” dei Dire Straits, davvero una bella canzone.
Mentre la musica mi tiene compagnia, sfoglio il giornale sportivo e mi perdo nella lettura.
Terminato di leggere l’articolo, mi rilasso sdraiandomi, in maniera poco elegante sulla mia poltrona reclinabile.
La mia attenzione viene catturata dal lettore mp3 del collega... IL COLLEGA!
Sono le ore 3.56 ed il collega manca alla consueta comunicazione radio da oltre quindici minuti.
Deve essergli accaduto qualcosa.
Provo a contattarlo tramite radio e cellulare, ma non ottengo alcuna risposta.
Utilizzo anche l’interfono interno ai reparti della ditta e chiamo ripetutamente il collega, ma l’esito è continuamente negativo.
Mi guardo intorno, e il mio ufficio è circondato da una nebbia fittissima.
Accendo una sigaretta, e inserisco il codice al terminale per poter accedere alla visualizzazione delle immagini interne ed esterne alla ditta.
Passano pochi secondi, quando una ad una le videocamere si attivano.
Purtroppo, la visione è pressoché insoddisfacente in quanto la nebbia impedisce una nitida visuale.
Tento in continuazione di stabilire un contatto radio, ma non ottengo alcun risultato sperato.

Le immagini, interne alla ditta, disperse nei vari reparti, non mostrano alcuna presenza del collega.
Nulla, immagini vuote o oscurate dalla nebbia.
Sto pensando di chiamare le forze dell’ordine per intervenire ad un ausilio per trovare l’uomo che manca all’appello da oltre mezzora, quando vedo qualcosa muoversi nel monitor relativo alla videocamera posta nel lato più estremo della ditta.
Scorgo la sagoma di una persona, avanza ai bordi di un capannone in modo molto lento.
Quando transita proprio in primo piano, scorgo il collega, a quel punto lo chiamo per radio, ma non risponde, proseguendo però il suo cammino.
Lo seguo attraverso i monitor, ora si trova a metà percorso tra l’esterno della ditta e il nostro ufficio.
Sta tornando indietro, almeno, ho questa impressione.
Provo in tutti i modi a contattarlo, riprovo anche col telefonino, ma non risponde.
Lo osservo sul monitor della videocamera appesa al muro del capannone centrale e attivo lo zoom, inquadrando maggiormente il collega che vedo avanzare nella direzione del ritorno, è inespressivo da quello che riesco a vedere.
Non nego che la preoccupazione mi sta sopraffacendo.
Mi domando perché si debba comportare così.
Transitato in quella zona, vedo però qualcosa che mi turba ulteriormente, una volta passato il collega, vedo altri tre soggetti andare nella stessa direzione del mio amico.
Tiro l’ultima boccata alla sigaretta che ormai è giunta all’altezza del filtro e mi dirigo verso la porta per gettarla al di fuori del locale.
Quando abbandono lo sguardo dai monitor e lo lancio verso la porta, la sigaretta abbandona le mie labbra e crolla a terra rotolando più volte.
Oltre la porta c’è qualcuno.
La nebbia si sta diradando, ma non ho dubbi, vedo qualcuno avanzare verso il mio ufficio, verso di me.
È il mio collega, sono sicuro, e con lui c’è qualcun altro.
Estraggo dalla fondina la mia Sig Sauer P220 calibro 45 hp, e avanzo verso l’uscio.
Armo il cane ed apro la porta.
Il collega è ormai a pochissimi metri.
Lo chiamo per nome, quando è giunto a meno di due metri e lui alza la testa e mi fissa negli occhi.
È tornato, ma non dal giro d’ispezione che aveva intrapreso, è ritornato dalla morte, poco sotto il collo, mi accorgo di vistose ferite, ed il sangue sgorga ancora, brandelli di vestiti e carne, ciondolano lungo le sue braccia.
È uno zombi.
Esplodo il mio colpo, e successivamente sento le ossa del suo cranio frantumarsi e schizzare a terra.
La mia prima mossa l’ho fatta, ora non mi resta che scegliere se affrontare tutti gli altri che stanno venendomi incontro, oppure dirigermi verso la mia automobile e andarmene da qui.
L’adrenalina scorre a mille nel mio corpo.
La mia prima mossa l’ho fatta.
Avverto un forte rumore e sbarro gli occhi, mi devo essere appisolato quando mi sono semi sdraiato sulla mia poltrona sulle note dei Dire Straits.
Sono le 3.56 devo chiamare il collega.
Butto lo sguardo oltre la porta... questa volta non sto sognando.
Questa volta è tutto vero.
Afferro la mia Sig Sauer P220 calibro 45 hp e armo il cane.
Mi dirigo verso la porta, la apro.
Vedo il mio collega di ritorno, è uno zombi, e dietro di lui ce ne sono altri, tanti altri.
Lo chiamo per nome, e lui alza la testa fissandomi negli occhi.
Esplodo il mio colpo.
Sento i loro passi avanzare verso di me.
Sento i loro denti strapparmi la carne, è un dolore impossibile, insopportabile, spero che la morte giunga al più presto, è straziante sentirsi divorare vivi.
Mi stanno smembrando, sento le loro mani stringere le mie viscere, le mie interiora.
Li sento masticare.
Voglio morire al più presto.
Perchè il colpo che ho esploso, per mia sfortuna non è stato mortale?
Non sono riuscito a uccidermi, il colpo non ha distrutto il mio cervello.
La mia prima mossa l’ho fatta, ma ora, purtroppo non mi resta nulla da scegliere.
Sto soffrendo incredibilmente, fa un male inimmaginabile.
Mi resta solo da aspettare... ma quanto?

Emanuele Mattana