Papà

Le urla svegliarono Elis di soprassalto, con il cuore in gola restò ad ascoltare sua madre e quell’uomo orrendo che viveva con loro da quando papà era andato via, chiuso in quella orribile cassa di legno.
Si alzò tremante di freddo e di paura, ancora più piccola nel grande camicione rosa che le arrivava fino ai piedi, scalza, si avvicino silenziosamente alla porta, aprì uno spiraglio e restò ad ascoltare. Le voci rabbiose giungevano fino a lei, come tutte le notti litigavano... non ne poteva più.
Poche parole a tratti arrivavano fino a lei, la voce di mamma che gridava
“Tu l’hai ucciso! Tu, per portarmi via a lui... ora... è colpa tua... tua... mi tradisci ...ti facevano gola... soldi...”
Chiuse la porta di botto, poggiando la fronte sul legno, le dita strette intorno alla maniglia.
“Papà” chiamò la piccola, “papà dove sei?”
Barcollando raggiunse l’ampia poltrona ai piedi del letto, si rannicchiò ad aspettare, gli occhi fissi allo specchio posto nell’angolo della sua stanza, le piccole mani serrate sulle orecchie per non sentire le urla e scacciare il terrore, guardava il debole chiarore, come una sottile nebbia serpeggiante, ondeggiare lievemente, prendere forma.

“Papà!!!” L’uomo sorrise, “piccola mia, eccomi!”
“Papà, finalmente sei venuto” singhiozzò, “perché te ne sei andato? Ho paura senza di te”. Tese le manine verso la figura evanescente riflessa nello specchio, gli occhi velati di lacrime.
Guardava la sua bocca muoversi muta, sentiva le parole insinuarsi nella mente.
Ascoltava quella voce dolce, mai dimenticata, cantilenare la sua ninna nanna.
Non sentiva più le urla del piano di sotto che piano piano si erano attenuate fino a spegnersi del tutto. Un rumore improvviso la riportò alla realtà, la porta della camera di mamma sbatté violentemente. La sentì che si aggirava per la stanza, scagliando a terra tutto ciò che trovava.
Dopo un po’ scese il silenzio nella casa, come tutte le sere dopo la sfuriata finalmente erano andati a dormire.
La piccola si riscosse, una grande rabbia l’assalì.
“Papà, perché non se ne sono andati loro in quella cassa? Perché?” gli occhi fissi nello specchio. Lui le sorrise...
L’immagine cominciò lentamente a cambiare, Elis guardava immobile, affascinata. Vedeva se stessa come in un sogno, scendere lentamente le scale, affiancata dall’ombra del padre. Lo udiva bisbigliare sottovoce “non aver paura piccola mia io sono vicino a te”.
Eccola in cucina prendere il grande coltello del pane posto sulla mensola, tornare di sopra, entrare nella camera della mamma.
Non la sentirono entrare o forse non potevano, Elis rise a quel pensiero. Sentiva la presenza di papà darle forza, vedeva i loro corpi stesi nel letto, al debole chiarore del lampione che dalla strada diffondeva un po’ di luce.
Alzò il coltello tenendolo con tutt’è due le mani, papà dietro di lei chiuse le sue intorno alle proprie. Spinse con tutte le sue forze, la lama affondò nel petto dell’uomo fino al manico, lui spalancò gli occhi per un momento, sembrò voler dire qualcosa, il terrore si dipinse sul suo volto, un fiotto di sangue uscì dalla sua bocca al posto delle parole.
Sua madre si svegliò di soprassalto, guardò stranita, forse ancora intontita dal sonno, non ebbe il tempo di capire, un fendente alla gola le mozzò l’urlo che era pronto ad uscire dalle sue labbra, il sangue schizzò sul letto, mescolandosi a quello dell’uomo che aveva preso il posto del suo papà.
Morti... finalmente... lasciò cadere il coltello, batté le mani contenta, era libera ora, libera. Non ci sarebbero state più notti di urla e terrore.
Elis aprì gli occhi intorpidita e infreddolita, si era addormentata di nuovo sulla poltrona, piano piano il ricordo dell’incubo notturno la riassalì, aveva sognato. Abbassò lo sguardo e vide... la camicia imbrattata, le mani sporche, orme di sangue sul tappeto.
Il cuore cominciò a battere all’impazzata.
“Papà” l’urlo si propagò per la casa silenziosa. Sollevò lo sguardo e lo vide nello specchio, la stava guardando, le mani protese. Elis lo fissava come in trance “ non è stato un sogno papà vero?” Lui scosse la testa sconsolato, “e ora papà che succederà? Ho paura portami con te”. Si alzò tremante dalla poltrona, gli occhi imploranti, pieni di paura. Si avvicinò, tese le manine insinuandole in quelle di lui, fece un salto e gli fu accanto. Per un attimo guardarono quel corpicino raggomitolato sulla poltrona, immobile, privo di vita, poi senza voltarsi indietro, si incamminarono vicini, sorridenti, tenendosi per mano, avvolti dalla nebbia dell’oblio, verso la grande strada della luce. Il grande specchio si chiuse dietro di loro come una porta, lasciando solo un vetro a riflettere una casa ormai senza più vita.

Rita Califano