Bussano

Bussano.
Ogni notte, ogni notte torna: lo sento. Non è forte, né minaccioso: un suono di nocche, che battono sul legno della porta. Eppure mi spaventa.
È difficile dormire, di questi tempi. Rotolo nel letto per la maggior parte delle ore, stanco, gli occhi ostinati a rimanere aperti: non hanno sonno, loro. Fissano il nero della stanza, il vago chiarore che filtra dalla tapparella, a disegnare il profilo dei mobili. Ma non si chiudono.
È allora che lo sento. Bussano. Tre, quattro colpi, rapidi. Poi, il silenzio. Aspetto, trattengo il fiato. Altri colpetti, forse lo stesso numero, forse qualcuno in più. Non li ho mai contati, come non ho mai guardato l’orologio: è strano, per uno come me. Io, che preparo la pasta col cronometro, per non sgarrare neppure di un secondo sul tempo di cottura. Eppure succede, tutte le notti.
Bussano. A volte riesco ad addormentarmi, dopo averlo ascoltato. Un sonno pessimo, irrequieto e fatto di incubi, ma è il modo più veloce per raggiungere l’alba. Spegni la coscienza e non pensi più a nulla, per qualche ora. È rilassante, è positivo: i problemi sono sogni, scompaiono quando riapri gli occhi. Peccato che il trucco non funzioni sempre.
Perché qualcuno bussa alla porta, nel buio. È il veleno che appesta la notte, come mille altri contaminano il giorno: problemi che vedo, tocco, riconosco, perché vivono nel sole. Non li saprò mai risolvere, ma mi spaventano di meno.
Ho tentato di tutto, per non sentire quel rumore. Inutile. È un suono delicato, di qualcuno che vuole annunciarsi con discrezione, senza disturbare. Quello che ti potresti aspettare, dal vicino che viene a cercarti a tarda notte. Sembra naturale, sembra reale, ma non lo è. Non penso che lo sia. Chiudere le porte, infilare la testa sotto il cuscino: non serve. Lo sento sempre.
Bussano. Non si lascia attutire. La mia stanza è nel punto più lontano dall’ingresso, l’appartamento intero nel mezzo. Potrebbe raggiungermi un suono così lieve? No, impossibile, anche se l’aria della notte è sottile e trasporta meglio ogni rumore. E allora perché lo sento?

A volte mi ripeto che è tutto un sogno, una suggestione nata dalla stanchezza e da una fantasia che è sempre stata troppo vivace. A volte ci credo, ma è raro. Perché quel tamburellare di nocche torna di continuo, scandisce il ritmo della mia insonnia. Sono sveglio e lo sento. È reale, dunque? Non lo so, forse sarebbe meglio non doverlo scoprire.
Bussano. Vorrei aprire, nei momenti di maggiore sconforto, quando il buio mi pesa addosso e si infiltra in ogni fessura. Aprire e rispondere al richiamo, affrontare chi si presenta alla mia porta, il misterioso visitatore notturno. E poi, che sia quel che deve essere.
Non ne ho mai avuto il coraggio. Non sono mai neppure uscito dalla stanza, avventurandomi nel corridoio. Sembro un bambino spaventato dai fantasmi della sua stessa mente, ma non riesco a muovermi. Perché cosa potrebbe venire di buono, da qualcuno che bussa alla porta, nel cuore della notte? Proprio nulla, ne sono certo. Così preferisco tremare, da solo.
Bussano. Chi è? Ci penso spesso. Nessun vicino verrebbe mai a cercarmi a quell’ora, sempre, senza stancarsi del mio silenzio. Tornerebbe di giorno, se mi dovesse parlare. Ma di giorno non bussano mai. Gli altri inquilini non si interessano a me, come io non mi interesso a loro: è il nostro modo di stare al mondo. Forse ne siamo soddisfatti.
L’unica eccezione è chi passa di qui ogni notte, a bussare. È paziente, educato. Non gli rispondo mai, eppure continua ad annunciarsi, con calma, per non disturbare. Forse un giorno dovrò aprire, ma mi spaventa.
Cosa vuole da me, cosa cerca col suo bussare continuo, nel buio? Tante risposte ho sfiorato, ipotesi di ogni tipo. Ora le evito, al sicuro nella mia stanza. Ma sono veramente al sicuro? E se un giorno decidesse di entrare, stanco di attendere? Temo anche questo ed è ciò che mi spinge a chiudere a chiave tutte le porte. Forse non servirebbe a niente, ma almeno mi illudo di essere protetto.
Bussano. Colpi secchi, leggeri. Giungono attraverso l’oscurità, attraverso le pareti e le barriere che separano il mondo da me, me dal mondo. Una breve raffica, un intervallo, non troppo lungo. Poi la seconda raffica. Io non rispondo, non mi muovo. Premo la testa sul cuscino, mi giro verso il muro, stringo gli occhi. Il suono non torna più, per questa notte. Tornerà domani.
Bussano. Non ci sono mai stati altri segni. Mai un rumore di passi, un sospiro, un colpo di tosse, qualcuno che si schiarisce la gola. Forse dovrei avvicinarmi alla porta, per sentirli, ma ho troppa paura per farlo. Potrebbe essere lui a sentire me, mentre cammino.
Alla luce del sole non c’è nulla. Ho cercato tracce, dettagli che mostrassero il suo passaggio. Magari un’impronta sul legno, dove il visitatore misterioso fa tamburellare le nocche. O un messaggio, un appunto, per avvertirmi. Sarebbe normale aspettarselo, no? Se ha davvero qualcosa di importante da dirmi, potrebbe anche scriverlo, visto che io non gli rispondo.
Invece, nulla. I vicini mi hanno guardato come un pazzo. Scrutavo la porta, come un segugio; mi chinavo sul pianerottolo, passavo la mano su mattonelle polverose. Loro tiravano dritto, scuotendo la testa, ognuno diretto verso il posto di lavoro. Ognuno diretto verso la propria vita, che può solo sfiorare la mia, a volte, come un puro incidente.
Un giorno avrei voluto fermarne uno, per chiedergli se avesse sentito qualcosa, di notte. Se ci fosse anche per lui uno sconosciuto che bussa alla porta, o se fosse solo la mia maledizione. Magari era lo scherzo di un inquilino burlone, che si diverte a disturbare gli altri, mentre dormono. Possibile, no? Ma non ho detto nulla. L’ho guardato uscire dall’appartamento accanto e allontanarsi lungo le scale, in silenzio. Forse ho perso un’occasione.
Nessuna traccia, alla luce. Lo sapevo, ma verificarlo coi miei occhi non è stato piacevole. Da allora cerco di non guardare più la porta, la sua sagoma rettangolare disegnata nel muro. La maniglia e la serratura, il resto potrebbe anche non esistere: la chiudo quando esco e la riapro al ritorno, senza osservarla. Perché qualcuno deve pur averla toccata, nel buio.
Bussano. Continuo a sentirlo, nel silenzio dell’appartamento. Un vuoto assoluto, da cui emergono i colpi secchi, inconfondibili. Li riconosco subito e subito tremo. Non so perché. Suggestione, forse, o forse troppa fantasia. Ma ho paura.
Questo fino a oggi, per mesi o anni. Non ricordo quando abbia avuto inizio, se ha avuto un inizio. A volte penso che esista da sempre, che mi abbia accompagnato per tutta la vita. È un’idea folle, lo so, eppure ci sono momenti in cui mi domina, ossessiva. Sono le ore in cui il sonno è più lontano e il terrore più vicino. Come un bambino, tremo sotto le lenzuola e attendo che bussino di nuovo alla porta: cosa succederebbe, se smettessero?
Oggi. Oggi ho preso una decisione ed è un grande progresso, per me. È accaduto al risveglio, dopo una notte agitata e tremenda, più del solito. Non credo sia qualcosa di cui andare fieri, questa decisione. Perché a suggerirmela non è stato un ragionamento, una forte volontà, un’intenzione chiara. Niente di tutto questo.
A decidere per me è stato il sogno che ho fatto stanotte, nelle ore prima dell’alba.
Follia? Sì, lo riconosco. Nessuna persona adulta e sensata si lascerebbe guidare da un sogno, per quanto possa sembrare persuasivo. Io l’ho fatto, lo sto per fare. Ho sognato qualcosa che ha saputo toccarmi in profondità e ho scelto di credervi. E poi, accada quel che deve accadere. Giusto?
È stata la mia infanzia ad apparirmi, un brandello di passato che non ricordavo più. Bussavano alla porta ed erano amici, compagni di scuola, venuti a trovarmi per chissà quale motivo. Forse è stato solo un riflesso dei colpi contro la porta, che tornano ogni notte. Ma cambiavano i sentimenti.
Aspettativa e paura: questo provo nella vita reale. Nel sogno, però, ero felice. Aprivo la porta ed ero felice. Per questo credo che non ci sia stato un ricordo vero, a formare quella visione notturna. Non ho mai conosciuto momenti simili, nella quotidianità. Non nella mia infanzia.
C’è stata anche un’altra scena, poco prima di svegliarmi. Ero fra le colline, nei luoghi dove vivevo da bambino. Camminavo lungo il crinale, su una strada sconnessa e segnata dai trattori, e tutto era come allora. Il vento, il profumo dei campi, i riflessi delle auto nella pianura lontana, più in basso. Mi fermavo davanti a un sentiero, che calava verso un avvallamento, nella penombra tra due colli. Arbusti incolti, erba alta: lo riconobbi subito. Era esistito davvero, nel mio passato. Ma non avevo mai avuto il coraggio di percorrerlo, mi spaventava.
Non l’ho fatto neppure in sogno: a quel punto mi sono svegliato, stamattina.
Ecco cosa mi ha fatto decidere. So che non ha niente a che vedere col mio problema, ma è un difetto che mi trascino da sempre: non riesco a fare nulla, senza stimoli, senza una ragione qualsiasi che mi spinga ad agire. Ho scelto il sogno, stavolta, perché è il consiglio più sensato che mi sia giunto da fuori. Se sia anche un consiglio saggio, non lo so, ma non importa più.
Aprirò la porta, risponderò al visitatore che bussa ogni notte. Lo affronterò, qualunque cosa abbia per me. Perché non ha senso rimanere qui nella paura, a interrogarmi sulla sua identità. Meglio scoprirla, sapere cosa mi riserva il destino.
È buio, ormai, e sono disteso sul letto. Aspetterò ancora un poco, poi mi sistemerò all’ingresso, con pazienza. E quando sentirò bussare, aprirò la porta, per accoglierlo. È un prodotto della fantasia? O una persona in carne e ossa? È solo uno scherzo di pessimo gusto? O una minaccia reale, che avrei dovuto fuggire? È una sorpresa positiva? O negativa?
Sono stanco delle domande, di veglie a tremare nella mia stanza. Se qualcuno bussa alla porta, è giusto che io lo accolga. Almeno saprò, anche se spesso sapere non è un bene.
Basta coi pensieri.
Ora siedo al buio, nell’ingresso. Accanto a me la sagoma di una scarpiera, chiazza di nero nel nero dell’appartamento. Non ho acceso la luce, perché rovinerebbe tutto. Ogni cosa deve essere come sempre, come ogni altra notte. E poi, non voglio fargli sapere che lo sto aspettando. Potrebbe non fermarsi, oggi.
Ho paura, ma anche una strana eccitazione, quella che suscitano in noi le cose proibite e misteriose. È tutto come un sogno, l’atmosfera nella casa è irreale, impalpabile. L’aria prima di un temporale, il profumo verde che colma ogni angolo di mondo: ecco ciò che mi ricorda, questa attesa.
Finirà? Posso solo aspettare, anche se le mani mi tremano. Le allungo verso la maniglia, il suo contorno è netto nel buio. Non la tocco, non ancora. È presto.
Abbaia un cane, da qualche parte là fuori. Un ululato improvviso, secco. Si è già spento, il silenzio copre di nuovo strade ed edifici. Sento il mio respiro, il pulsare del sangue nelle orecchie.
Aspetto, a disagio. Che ore saranno? Non ha senso chiederselo, perché il suo arrivo non ha un orario preciso. Non c’è mai stato. Basta avere pazienza e confidare che nulla cambierà, stanotte. Confidare che tutto si svolgerà come al solito. Ma oggi gli aprirò, risponderò al suo richiamo.
Mi alzo in piedi, per sgranchire le gambe. La porta è dietro di me, ora, mentre fisso l’oscurità che riempie l’appartamento. Eccolo, proprio adesso: lo sento nelle ossa, prima ancora che nella mente.
L’attesa è finita. Sorrido.
Bussano.

Adriano Marchetti