Quell'ultimo novembre

"Ti sei ancora masturbato!... E sono già le tre di notte. Domani voglio vedere come ti fai ad alzare!"
"Marta, non rompermi i coglioni, vai a letto tu, se sei stanca!"...

 

Quella sera non mi sentivo tanto bene: mal di testa, nausea, fiato corto. Forse la grappa o forse le troppe ore davanti al video.
Mentre l'anziana signora borbottava tra sè, andai in bagno a lavarmi. Rimasi per qualche secondo ad osservare la mia immagine riflessa nello specchio poi, sbadigliando, tornai nello studio per spegnere il computer.
"E quel nostro progetto per le grandi riserve idriche? Non ci lavori da mesi! Solo il lavorino dello studiolo!" - sbraitò una vociaccia dal piano superiore.
"Chetati Rino!" - ribattei indispettito - "Lo terminerò prima o poi!...Ora voglio solo dormire!" - "Alla buon'ora!" - intervenì Marta dalla cucina.
Mi trascinai verso la camera da letto e mi scontrai con Ivano, lui mi guardò e mi seguì. Mi lasciai cadere sul letto già disfatto mentre il vecchietto si sedette pian piano sulla sedia vicino alla porta: -"Rino ha ragione...Ti sei arreso?" - "Con cosa? Con chi?!" - urlacchiai mentre mi stropicciavo gli occhi - "Con le donne! L'unica cosa che ti riempie la vita è il lavoro. E se poi ti va male anche quello, che ti resta?" - "Ma che stai blaterando?" - eslcamai alzandomi a sedere sul letto - "Lasciami dormire! Domani ho da lavorare, io!"
Ivano si alzò sorridendo poi, voltandosi aggiunse: "Come vuoi... Buonanotte!"
Rimasi finalmente solo e, a poco a poco, il sonno riuscì a dominare quel malessere che mi opprimeva. Caddi così in un sonno inquieto dal quale emersi dopo poche ore.

 

...

 

Marta, Rino, Ivano.
Tre individui strani ed estranei. Provenienti da esistenze e situazioni diverse, agli antipodi come cultura ed estrazione sociale.
Una cuoca, un ex-ingegnere ed un semplice vagabondo. Non so cosa mai mi convinse ad ospitarli in casa: sono sempre stato un introverso e un malfidato.
Tutta colpa della solitudine o del timore di fronteggiare i miei "se e perchè". In fondo mi bastava solo un po' di compagnia, una presenza fisica o un qualcuno con cui ricreare una specie di gruppo, di famiglia.
Da quando ero rimasto solo, la casa mi sembrava troppo grande ed ostile con quelle sue stanze piene di ricordi e sensazioni, con quel silenzio di piombo che tutto, spietatamente, inghiottiva.
Prima conobbi Ivano, un poveraccio polemico ma simpatico che veniva da Genova. Marta rispose ad una mia inserzione sul giornale ove richiedevo una domestica con referenze. Fu con me molto gentile e premurosa così il posto fu suo. Con Rino l'approccio fu diverso. Lui era stato ingegnere alla Edison e ci conoscemmo ad un congresso sull'edilizia urbana. Notai subito in lui una grande determinazione ed un fiero entusiasmo. Quando seppi che viveva in albergo perchè la moglie lo aveva sbattuto fuori di casa, non esitai ad ospitarlo.
Con Ivano e Rino, passavo intere serate a conversare piacevolmente. Marta, invece, con le sue premure mi fece dimenticare il lungo periodo di solitudine che avevo alle spalle: pian piano tornai a sorridere.

Anche se vivevo a Monza, avevo lo studio di architetto a Milano, nei pressi di Porta Ticinese a due passi dai Navigli.
"Marta!... E' già la terza volta che mi telefoni e non sono ancora le 11! Ma cos'hai stamani!?" - "Volevo sapere se stasera ti andavano gli spaghetti o preferivi la pastina in brodo..."- "Stasera pizza!... In pizzeria, da solo!" - sbraitai chiudendo la conversazione. Ripresi a lavorare e, senza che me ne accorgessi, le ore volarono fino alle 20,30.
"Ed ora che faccio a casa?" - fu il primo pensiero che mi balenò nella testa non appena uscii dallo studio. Rimasi un po' a riflettere ma lo squillo del cellulare m'interruppe bruscamente: era sempre Marta!
Cenai in un pub ove poi mi trattenni davanti ad un bicchiere di whisky. Accanto a me c'era una ragazza molto carina; lei mi guardò e mi sorrise così cominciammo a parlare. La conversazione divenne sempre più gradevole e complice ma fu d'improvviso interrotta da Ivano che mi salutò con una pacca sulla spalla. La ragazza s'infastidì dell'importuno e, con una scusa improvvisata, si congedò da me: "E tu cosa accidenti ci fai qui?" - gli chiesi stizzito - "Quello che fai tu: una bella bevuta!" - rispose allegramente il vecchio.

 

...

 

La mattina seguente, verso le dieci, Rino mi piombò in ufficio come un esaltato: "Forza, dai! Interrompi quello che stai facendo. In un paio d'ore raccogliamo il nostro lavoro e lo presentiamo alla commissione!"
"Quale lavoro e quale commissione?" - ribattei levandomi gli occhiali.
"La commissione per le opere idriche. Non ricordi? Si riuniscono oggi, il 15!" - Rino era visibilmente emozionato.
"Allora, hai esattamente cinque secondi per levarti di torno! Non posso perder tempo con te adesso!"
"Ma... Ma allora, tu... Questo vuol dire che non hai fatto niente! Hai volutamente perso del tempo! Lo sai che ci tenevo a questo progetto!" - Rino sbattè un pugno sul tavolo e fece per afferrarmi. Io l'anticipai e lo strattonai verso la porta. Lui si dimenava e, insultandomi, malediva il giorno che mi aveva incontrato; mi urlava che ero un incapace, una persona del tutto inaffidabile.
Quando fummo sul pianerottolo, con uno sguardo da brividi e col dito puntato, sibilò: "Questa me la paghi!... Anche fra cent'anni!".
Tutta quell'inaspettata ira da una persona solitamente mite, mi colpì come un pugno così cominciai ad urlagli dietro come un pazzo: "Che vuoi dire, eh? Mi vuoi ammazzare, vecchio stupido? Torna indietro che io non ho paura di nessuno!... Figuramoci di un poveraccio come te!"
Dagli altri studi ed uffici cominciarono ad accorrere segretarie ed impiegati. Mi guardavano con sorpresa chiedendomi cosa mai fosse successo. Cercai allora di minimizzare e rientrai nel mio appartamento visto che Rino si era già dileguato.
D'improvviso il cellulare suonò: era Marta.

 

...

 

Rimasi qualche giorno lontano da casa, non so se per rilassarmi un po' o per paura. Mi rifugiai in un vecchio casolare che avevo in Brianza ove un tempo abitavano i miei. Marta non mi telefonava più e questo, stranamente, mi feriva.
Passato il week end tornai allo studio, cercando di dimenticare gli ultimi eventi. Ma qui ebbi una sgradita sorpresa: le stanze erano state messe a soqquadro e tutto il mio lavoro era andato distrutto. "Pazzi! Sono solamente dei pazzi!... Basta, basta così!". Scesi le scale furioso e, rimontato in macchina, corsi a casa. Provai a chiamare Marta ma nessuno rispondeva.

 

...

 

La casa era deserta cosicchè potei sbarazzarmi di tutta la roba dei miei scomodi inquilini. La raccolsi in alcune borse e la depositai in portineria poi montai, senza grandi difficoltà, una nuova serratura alla porta d'ingresso. Tirai un sospiro di sollievo: mi sentivo libero, solo ma libero!
L'indomani in ufficio cominciai a telefonare ai clienti scusandomi per il ritardo con cui avrei consegnato i vari lavori; realizzai che, lavorando anche di notte, avrei recuperato in poco meno di una settimana.
A mezzanotte ero ancora incollato al monitor e mi venne voglia di un goccetto così presi dalla credenza una bottiglia di buon whisky. Mentre bevevo la mano mi scese involontariamente sul cellulare che portavo alla cintura: nessun messaggio, nessuna chiamata... Un brivido mi scosse le spalle.
Fuori era un novembre freddo e nebbioso e Milano appariva come un variopinto e luccicante relitto immerso in un mare di panna montata. Mi versai altre due dita di whisky e, annusando il collo della bottiglia, cominciai a curiosare fuori dai vetri.
D'un tratto, da una finestra del palazzo di fronte, comparve una figura velata che cominciò a farmi dei cenni. Mi misi gli occhiali e notai che il misterioso inquilino indicava con insistenza un punto giù nella strada, proprio sotto il piccolo balcone del mio ufficio.
Mi svegliai bruscamente madido di sudore. Avevo sognato ed erano appena le 3.10. Mi diressi meccanicamente sul balcone ma qui vidi solo l'asfalto della strada che si snodava viscido tra le auto in sosta. Guardai anche il palazzo di fronte dove, al posto della finestra del sogno, c'era solo una livida facciata di mattoni.
D'improvviso mi cominciò una fastidiosa emicrania e decisi di rientrare in casa per prepararmi un caffè. Voltandomi, per un istante mi parve di scorgere la figura del sogno! Stava proprio nel punto della strada dove fino a pochi minuti prima non c'era nessuno... Bah, ero proprio stanco!

 

...

 

Il campanello suonò all'impazzata verso le undici della mattina seguente. Con fare deciso andai ad aprire ed i tre entrarono senza pochi complimenti. A dire il vero, rivedermeli davanti tutti insieme mi fece provare un po' di ansia.
Ivano mi guardava indispettito, Marta stava dietro lui tenendo la testa bassa mentre Rino, il più agguerrito, prese la parola: "Perchè ci hai sbattuto fuori di casa?"- esclamò con occhi di fuoco.
"Perchè è casa mia e posso fare come mi pare! Non c'è nessun contratto o legame civile che mi obbliga tenervi, specialmente dopo tutti i danni dell'altro giorno!" - ribattei puntandogli il dito.
"Io glielo avevo detto a Rino di calmarsi"- "intervenne Marta- "ma non c'è stato modo di..."
"Zitta! Parlerai dopo!..." - inveì Ivano.
"Per me la conversazione finisce qui! L'unica cosa che posso dirvi è addio! Buona fortuna!" - esclamai con durezza notando che Marta cominciò a singhiozzare. Un attimo dopo Rino afferrò un pacco di fogli e me lo scagliò addosso.
Persi il controllo: mi gettai sull'uomo afferrandolo per il collo. Iniziarono a volare calci e pugni ed Ivano intervenne in aiuto di Rino. Tutt'e tre eravamo accapigliati come cani furiosi fracassando tutto ciò che avevamo attorno. Sul pianerottolo, i colleghi degli altri studi accorrevano gridando: "Architetto, che succede! Si sente bene?"
Fu proprio in quel momento che i miei due avversari ebbero la meglio; mi si scagliarono addosso come furie ed andammo a sfondare la porta finestra della stanza e l'esile ringhiera del balcone.
Mi sentii precipitare nel vuoto mentre scorgevo il volto piangente e disperato di Marta che, dalla finestra squarciata, ci vedeva cadere... Ma non m'importava, non m'importava più di niente non gridai nemmeno! Ormai consolante senso di pace mi aveva pervaso.

 

...

 

"L'architetto Modiani era davvero una brava persona. Da qualche tempo parlava da solo e s'immaginava cose e persone. Spesso lo sentivamo conversare o discutere come se avesse ospiti ma, qui allo studio, non veniva mai nessuno a trovarlo. Pensi che ultimamente aveva perso molti clienti: si era sparsa la voce che fosse impazzito!... Quando siamo entrati, urlava e si dimenava come se stesse lottando con qualcuno. Sbraitava cose strane, senza senso e poi... ha preso una breve rincorsa e si è scagliato contro la finestra!" - la ragazza s'interruppe e cominciò a singhiozzare.
"Capisco... Lei lavora nello studio accanto, vero?" - replicò l'ispettore porgendo un fazzoletto alla testimone - "Tu cosa sai dirmi di questo Modiani?"
Il giovane poliziotto rispose prontamente: "Niente di particolare: Gianfranco Modiani, 39 anni, celibe ed incensurato. Uno come tanti." - "Mah... Andiamo su nello studio e vediamo se ha lasciato qualcosa... Che so un biglietto di addio!"
Lasciarono il cadavere, penosamente coperto da un lenzuolo, in compagnia del brulichio di soccorritori, agenti e curiosi.
Nell'appartamento l'ispettore si guardava intorno con aria annoiata. Ormai tutto era chiaro: suicidio di un disperato! Perchè perdere altro tempo.
D'un tratto sentirono un cellulare suonare ma, dopo qualche squillo, si zittì. Dopo poco ricomiciò a suonare: "E' il tuo?" - domandò l'ispettore all'agente: - "No, ma pare venire da là!" - rispose quello indicando un angolo dietro la grande scrivania.
Vi trovarono infatti un cellulare acceso, finito lì magari a causa della collutazione. Ora gli squilli erano ora più insistenti. L'ispettore si mise dei guanti in lattice e prese l'apparecchio; questo si chetò di nuovo: "Uhm... Dicono che fosse solo come un cane e qui c'e' una certa Marta che lo chiama di continuo!..."

Edoardo Cicali