Occhio per occhio

E' incredibile quanto le persone possano dimostrarsi ingrate e perfide proprio con chi gli ha offerto tanto, con chi le ha amate profondamente. Non sopporto assolutamente questo tipo d’ingiustizia.
- Ti sembra onesto Ester? - domandai con tono di rimprovero alla mia fidanzata.
Due grandi occhi lucidi mi guardarono sbarrati.
- Che fai non rispondi? Forse dovrei toglierti il nastro adesivo. Ma poi tu urli. Vorrei solo riuscire ad avere una conversazione civile tesoro, in fondo me lo devi. Ti sei portata a letto mio padre! - proruppi ormai esasperato.
Esanime e dissanguato il corpo di mio padre, privato della testa, giaceva in macchina accanto a Ester.
- Coraggio tesoro, vedrai che non sentirai tanto dolore.
Peccato mi fossi lasciato sopraffare dalla rabbia, avevo rovinato metà del piano per cedere a un istinto così basso.
Però la sega circolare era a portata di mano e quello stronzo di mio padre continuava a urlarmi contro, pretendendo pure di avere ragione. Pura follia.

Con pazienza cominciai a scavare, la buca doveva essere sufficientemente larga e profonda, Ester meritava di stare comoda tutto sommato. Papà ormai non ci avrebbe fatto caso.
Un sommesso rumore mi fece voltare. Presi un respiro profondo e lentamente posai la pala.
- Scusa, ma dove credi di andare? - chiesi irritato alla mia fidanzata.
Era già il terzo tentativo di fuga, tanto che avevo deciso di legarle mani e piedi, ma la cara Ester si stava rivelando piuttosto ostinata.
In terra, annodata come un salame, cercava la salvezza strisciando; nello scendere dalla macchina aveva involontariamente urtato la testa di papà, facendola rotolare rovinosamente giù dai sedili.
- Guarda che hai combinato Ester, hai sporcato di terra la faccia di papà - scossi il capo sentitamente seccato.
Mi avvicinai lesto alla mia fidanzata la quale tentò di allontanarmi dimenandosi con violenza. Fui allora costretto a rifilarle un sonoro ceffone e finalmente la puttana smise di muoversi.
- Lo vedi che mi fai fare? Adesso pensi di stare buona oppure devo chiuderti nel portabagagli?
Ester annuì debolmente e rimase immobile. Maneggiandola come una bambola di poco conto, la misi con la schiena appoggiata alla portiera della macchina, raccolsi la testa di mio padre spolverandogli il volto con il bordo della mia camicia e, ripulita dalla terra, la poggiai sulle gambe di Ester.
- Stai comoda così tesoro? - non riuscii a trattenere una fragorosa risata.
Dagli occhi della mia fidanzata rotolarono eloquenti lacrime.
Tornai a dedicarmi alla mia buca, era meglio non perdere tempo ulteriormente, altrimenti avrei fatto l’alba.
Dopo un’ora il lavoro era terminato, guardai con soddisfazione l’enorme e profonda buca ai miei piedi. Perfetta.
Mi girai finalmente per prendere Ester e con immenso stupore dovetti constatare che intorno a me non c’era più nulla: era sparita la mia macchina, era sparito mio padre e la sua testa, era sparita la mia fidanzata legata come un salame.
In realtà, guardando con più attenzione, neanche il bosco sembrava essere più lo stesso di prima.
Feci qualche cauto passo in direzione del punto in cui, presumibilmente, si sarebbe dovuta trovare la macchina e tutto il resto.
Che mi fossi spostato involontariamente? No. Impossibile.
Girai in tondo per cercare di orientarmi, ma non riuscii a riconoscere più nulla. Era tutto maledettamente diverso o meglio il bosco era sempre un bosco, ma non era quel bosco.
Strani alberi violacei circondavano la radura in cui mi trovavo. Perfino il cielo era differente, nessuna stella ad adornarlo, vi si stagliava solo una tonda luna che rifletteva una luce bluastra.
Un fastidioso odore di gas aleggiava nell’aria.
A qualche metro da me, una pozza d’acqua cremisi iniziò a gorgogliare minacciosamente.
Indietreggiai, spaventato fino alle ossa.
Qualcosa di terrificante cominciò a emergere dal liquido carminio.
- Ciao Carlo.
Un uomo nudo, privo della testa, con gli occhi, il naso e la bocca infossati in un enorme torace, si rivolse a me con voce cavernosa.
- Cosa... - incredulo e inebetito con la mano mi sfregai vigorosamente gli occhi.
- Cosa sono vuoi sapere? Sono un Blemma, un giudice.
Non riuscii a proferire parola, le labbra erano incollate dal terrore. La bocca sul petto della creatura rise, il suono riecheggiò ostile e sinistro.
- Dimmi Carlo, cosa hai fatto?
- Io, io... - balbettai ancora incapace di capire cosa stesse accadendo.
- Su coraggio, dimmelo - mi esortò imperativo l’essere.
- Ho ucciso mio padre, gli ho tagliato la testa con la sega circolare - confessai tutto d’un fiato.
- E poi, continua, cosa stavi facendo? - incalzò sempre più imperioso.
- Scavavo una buca per seppellirci dentro Ester. Viva. Avrei buttato anche il corpo di mio padre vicino a lei.
- Molto bene Carlo. E dimmi, perché lo hai fatto? - la voce del Blemma era autoritaria, ma calma.
- Perché la mia fidanzata mi tradiva da mesi con mio padre. Io l’amavo moltissimo, ci saremmo dovuti sposare tra cinque mesi. Non avrebbero dovuto ingannarmi così, non loro - tutta la cieca rabbia che mi aveva guidato prima sembrava essere totalmente svanita al cospetto dell’agghiacciante essere.
Dentro di me c’erano solo vuoto e angoscia e tanta frustrazione.
- Loro hanno tradito la tua fiducia, ma tu hai brutalmente decapitato tuo padre e stavi per uccidere la tua fidanzata in un modo atroce. Credi sia giusto?
- Sì. Lo credevo. Mi dovevano ripagare in qualche modo - la convinzione però era sparita dalla mia voce.
- Non spettava a te farlo. Verrai punito per questo, te ne rendi conto? - sentenziò lugubre la creatura.
- No. Per favore, no - piagnucolai atterrito.
Le ginocchia cedettero e crollai a terra implorante e lacrimante, perdendo ogni dignità.
Con un movimento talmente rapido che non fui in grado di percepire, il Blemma mi fu addosso con tutta la sua imponente mole e, con ferocia, mi piantò nello stomaco un grosso pugnale nero.
- Occhio per occhio - il suo gelido e putrido fiato mi carezzò l’orecchio.
Il dolore fu lancinante, mi tolse il respiro e la forza. Fitte acute come fiamme s’irradiarono per tutto il corpo, smisi del tutto di ragionare, contorcendomi in terra come un verme.
Il Blemma mi sovrastava assistendo immobile alla mia agonia.
Mentre mi dimenavo, con uno spasmo della mano mi aggrappai a un fiore rosso, strappandolo.
Poi chiusi gli occhi e, tra conati di sofferenza, sentii le forze abbandonarmi.
Stavo morendo.

 

Aprii di scatto gli occhi e terrorizzato mi tastai la pancia.
Nessuna ferita, niente dolore.
Mi trovavo invece nella mia camera, tranquillamente sdraiato nel letto.
Guardai l’orologio: le diciotto e trenta minuti. Mi ero steso qualche secondo per riposarmi un poco prima di andare a prendere Ester a casa. Dovevamo andare a cena fuori, era il nostro sesto anniversario di fidanzamento.
Dunque era stato tutto un sogno. Un orribile, vivido, realistico sogno.
Sollevato tirai via le lenzuola, dovevo andare a farmi una bella doccia rinvigorente.
Sentii, però, qualcosa cadermi sul piede, lentamente abbassai lo sguardo.
Un fiore rosso, con la radice strappata, giaceva per terra. Cercai di farmi coraggio e, con mano tremante, lo raccolsi.
In realtà il fiore non era di colore rosso, era semplicemente sporco di sangue.
Il mio sangue.
Con il cuore che iniziò a martellare violento m’infilai velocemente la tuta. Presi le chiavi della macchina e spedito mi diressi a casa di Ester.
Dopo dieci minuti di guida folle, arrivai davanti al cancello della sua villa. Avevo le chiavi.
Silenziosamente lo aprii ed entrai in modo furtivo nel giardino.
Le luci della casa erano tutte spente eccetto una, quella del secondo piano. La camera da letto di Ester.
Stava succedendo nuovamente, la gola si seccò.
Varcai la soglia di casa, nessun rumore, un irreale silenzio aleggiava nell’ingresso.
Raccolsi un’altra dose di coraggio e con passo sempre più felpato, quasi come un ladro, salii circospetto le scale.
Mi venne un repentino flash della testa insanguinata di mio padre che rotolava dal sedile della mia auto. Ingoiai la paura che stava cercando di avvertirmi.
Giunsi davanti alla porta della camera di Ester, la luce filtrava dallo spiraglio lasciato aperto.
Udii delle voci sommesse che ansimavano e sussurravano. Le riconobbi.
Spalancai con violenza ed ira la porta, sapendo già cosa mi sarei trovato davanti.
Ester e mio padre sul letto. Insieme. Nudi.
Arrivò prepotente come un’onda la rabbia, l’istinto animale.
Guardai il fiore rosso che stringevo nella mano destra.
Il più velocemente possibile mi voltai e corsi giù per le scale.
Alle mie spalle sentii mio padre ed Ester che chiamavano il mio nome a gran voce.
Uno scalpiccio concitato: mi stavano rincorrendo.
A grandi falcate uscii in giardino, per poco non inciampai sulla sega circolare.
Aprii la portiera dell’auto, misi in moto.
Dovevo andare il più possibile lontano da quel posto. Via.
In un’altra città.
Alla larga dai boschi.

Eleonora Della Gatta