Terra bagnata

- Lei è accusata di omicidio premeditato -
Ho ventitre anni... ho ventitre anni ho ventitre anni. Continuo a ripetermelo chiusa in una stanza sola, in un affitto di una città a me ancora sconosciuta. La mia prima notte qui, tra pareti umide ed odore di muffa, non è un granchè, ma non posso permettermi di meglio. "Ho ventitre anni, ho ventitre anni..." le mani ai capelli e me lo ripeto, come se più grido più riesco a inculcarmelo, più strappo i miei capelli, più me ne convinco "io ho ventitre anni". Ma perchè allora quella voce di bambina?? ride ride ride... BASTA!!... urlo... mi volto sulla mia destra, e vedo uno specchio, il mio riflesso, le lacrime agli occhi, il mascara sciolto sul viso... spettinata... e quell'odore di terra bagnata lo sento ancora assieme alle risa di quella bambina. Sono io. Rido su un prato, ha smesso di piovere da poco. Il cielo è ancora nuvoloso, solo un raggio di sole attraversa prepotentemente una di quelle nuvole. Lo osservo, mentre con le mani distrattamente strappo i petali di un fiore. Improvvisamente mi sento bloccata da una forza. Qualcuno alle spalle non mi permette di voltarmi, mi blocca, le mie mani non giocano più, io non rido più. Una forza brutale su una bambina, il mio volto è a terra, assaggio la terra bagnata. Non capisco. Perchè mi fai questo? Chi sei? Il mio vestito si sporca, ma non è la terra sola a imbrattarlo, fa male e fa schifo. Viscido. Era un uomo o era una bestia? Mi ha strappato la mia dignità, so solo questo. E mi ha detto "non sei la prima e non sarai l'ultima".
"Ho ventitre anni".

Mi alzo dal letto come fossi ipnotizzata. E' la mia notte, la riconosco dalla terra bagnata, pettino i miei capelli, chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni quel profumo. Maschero il mio viso, dipingo gli occhi di nero e le labbra di rosso, indosso delle calze nere fin su la coscia, una gonna corta che lascia immaginare tutto e una maglia, se così la vogliamo chiamare, dove s'intravedono i miei piccoli capezzoli. Nient'altro, a lui piaccio così. Mentre scorro la zip dello stivale, suona il campanello, raggiungo la porta, prendo le chiavi di casa ed esco. Salgo sulla sua auto ,non mi curo della gonna che già corta tende ad alzarsi una volta seduta, lo lascio guardare, desiderarmi. Arriviamo in quel locale, ma non siamo mai entrati. Parcheggiamo nel punto più buio, più nascosto, dove se ti volti dietro vedi tante auto spente e davanti un burrone. Lo prendo per la camicia, lo sbatto sul cofano ed inizio a soddisfare ogni suo pensiero. I miei occhi sono spenti, il mio corpo non mi appartiene, nel momento del massimo piacere lo vedo scivolare via da quel burrone.

 

- Signor giudice, lei dice che è morto e che è colpa mia? E allora perchè ha liberato l'uomo che mi ha violentata su quel prato? Io quel ragazzo l'ho fatto solo godere. Non è il primo e non sarà l'ultimo.

Susanna Maio

Ho frequentato la facoltà di giurisprudenza per un anno a Bologna, dopodichè mi sono ritirata perchè "tarpava le ali della mia fantasia", ora studio recitazione e canto. Amo l'arte, la musica e lo spettacolo. Non ho mai pubblicato nulla di mio, ma scrivo poesie e canzoni fin da bambina. Raramente brevi racconti. Spesso inizio i racconti pensando di voler scrivere orrore e fantascienza, ma poi mi ritrovo a parlare dell'orrore sì, ma quello che più che fantascienza è la realtà che ci circonda.