Aborto singolare

“Gli sfondo la testa a quello stronzo in embrione che ti porti in grembo!”
Era stata questa la prima cosa che a Chiodo era venuta in mente nell’osservare la troia da due soldi che aveva appena varcato la soglia del suo negozio, era un'ignorante imbecille incinta che tentava di fare la sofisticata, una di quelle che ti fanno tirare fuori le cose più preziose e poi non hanno nemmeno i soldi per pagarsi un paio di mutande.
Chiodo era un animale represso, uno che voleva suonare basso sperimentale e folle, un aspirante, empirico compositore dalla dubbia collocazione, e invece si era ritrovato a vendere mobili, fottutissimi mobili di merda di cui a lui non fregava assolutamente un cazzo, è un classico, pochi nella vita fanno quello che vorrebbero veramente fare, la maggior parte della gente si abitua al nulla e alla piattezza, altra gente invece impazzisce, esce in strada e inizia a sparare, naturalmente gli ignavi figli del sistema sociale condannano coloro che non reggono e danno di matto, non comprendono la frustrazione di chi non ha un ruolo nell’universo, la maledetta pantomima di chi è costretto a sorridere mentre vorrebbe sbranare. Come potrebbero comprendere loro che ogni giorno si alzano e macinano soldi che poi finiranno nel calderone del sistema, gente automatica ignara della grande, sbeffeggiante presa per il culo che si tiene alle loro spalle.
Prima che la donna incinta entrasse, Chiodo stava appunto pensando di dare una svolta, ma ogni proposta che faceva a se stesso gli pareva assurda, irta d’ostacoli, l’unica strada un po’ più sensata era quella di spararsi prima di divenire di plastica anche lui.
All’inizio non era così, in principio, quando dopo il diploma aveva incominciato a fare lavori del cazzo, sottopagato, ultrasfruttato e ultrafottuto, resisteva con onore, si lamentava sì, ma pensava che a ognuno nella vita tocca farsi il culo, ogni guerriero deve sanguinare per poter esser definito come tale, era orgoglioso del suo lavoro pesante che gli gonfiava i muscoli anche se si rendeva conto che passare una vita in quel modo significava abbrutirsi, ridursi a una bestia da soma, e lui questo non lo meritava, lui era un’artista con la magia nelle mani, lui era un mago del suono e dell’intelletto e con le sue opere arricchiva il patrimonio culturale del suo paese di magnaccia, vaffanculo tutti, alla fine pensava, che brucino tutti compreso questo frocio di un papa tedesco che sembra una rock star da come va in giro ad ammiccare.
Forse la vista della donna, inconsciamente lo aveva infuriato, poiché rappresentava la razza umana, il ciclo della plastica, uno stronzo figlio di una stronza che sta per venire alla luce per poi concepire altri imbecilli a sua volta.
De Sade lo avrebbe capito, quanto avrebbe pagato per andare a fare un giro di sera con una busta d’erba a casa di De Sade, aprire bottiglie a revolverate con Lautrèamont, allora sì, li avrebbe anche consegnati i fottuti mobili, ma per diletto, per gonfiare il corpo da orco, mentre il suo lavoro sarebbe stato scrivere e arrangiare con il basso i canti di Maldoror, ma nessuno ti paga per questo, sveglia stronzone, la vita è diversa, è un corteo menzognero onusto di gente che indossa maschere di cattivo gusto, la letteratura italiana ricorda Manzoni che non ha inventato praticamente un cazzo, ha scritto un romanzo che parla di due coglioni che non riescono a sposarsi.
Stava quasi per piangere quando la stronza cominciò ad avanzare le sue domande del cazzo che lui nemmeno ascoltava. I titolari del negozio non erano ancora arrivati, lui era lì in attesa di nuove consegne e ordini, ordini, ordini, ordini, ordini... VAFFANCULO.
“Come ha detto scusi?”
“Ho detto vaffanculo cagna incinta! Qui non vendiamo altro che dolore!”
Chiodo aveva uno sguardo feroce e indomabile, nulla poteva comandare ai suoi nervi di tornare indietro, avrebbe strappato la carotide coi denti alla vergine Maria se gli fosse apparsa dinnanzi.
Così iniziò ad abbassare le serrande automatiche mentre la troia neanche se ne accorgeva, troppo occupata ad inveire e a difendere il suo onore di puttana offesa in maternità.
Quando si accorse di essere barricata il suo sguardo mutò, un terrore incerto le faceva fremere i capezzoli gonfi di latte inutile.
Chiodo cominciò a toccarla con lasciva violenza, la stringeva con crudele ferocia fino a che non si decise a strapparle i vestiti di dosso, il corpo opulento era abbastanza gustoso, così anche lui si spogliò e nudo e sudato come una bestia ricamò sulle carni di lei la sua frustrazione, scendere nei particolari non è da me, non è questo quello che ci interessa, cominciò a scoparla con violenza, intento a schiacciare con il suo glande la testa del bambino, non provava piacere sessuale mentre lo faceva, era come se la stesse pugnalando, i suoi erano disperati, infami fendenti, quella donna non meritava nemmeno la purezza dell’acciaio secondo lui.
Si fermò quando notò di avere il membro insanguinato, proprio come la lama di un pugnale che è affondata nel ventre e scarlatta riaffiora.
“Sarà morto lo stronzetto?”
Disse Chiodo con il pene ancora eretto, la donna piangeva in maniera convulsa, fuori intanto parecchie persone si erano accalcate, attirate dalle grida disperate che lui non aveva nemmeno tentato di scemare.
Ma lui non era ancora appagato, troppo grande era il mostro d’ombra che cresceva nel suo petto, diramandosi come un tumore lungo tutte le membra.
La costrinse con la forza a stare in terra, e le infilò l’intero braccio nella vagina sanguinante, con le dita cercava qualcosa, qualcosa di organico che doveva già avere forma, era orribile questo suo frugare nell’interno umano, era disgustoso quell’umido tocco appiccicaticcio, come un folle prestigiatore che rovista in una sorta di cilindro mucoso in cerca del classico coniglio.
Ma quello che estirpò alla fine non era un coniglio, era un feto materno ben formato e sanguinante.
La donna era svenuta, grazie a dio.
Si ritrovò nudo, dritto su di una donna sventrata con in mano la sua progenie sanguinante.
“E’ finita veramente male allora questa stronzata di vita!” Pensò con un certo velo di malinconia.
Certo non poteva uscire là fuori, era come se già li sentisse, tutti i regolari esseri che danno un contributo all’onesta società inveire contro di lui.
“Mostro!” “Pervertito!” “Deviato!” “Viscido porco pazzo!”
Non avrebbe retto, cosa poteva dire in fondo?
“Volevo estirpare la vita, volevo protestare contro gli dei fatti di sterco che hanno creato la gente come voi? Volevo evitare di impazzire?”
Nemmeno lui ci avrebbe creduto se gli avessero fatto la stessa cosa, vi era un’unica cosa da fare, una strada già meditata parecchie volte in precedenza, e doveva farlo prima che la folla fuori fosse riuscita a entrare svelando la sua turpe azione da represso impotente.
Così rovesciò la cassetta degli attrezzi che aveva dietro la scrivania, dentro c’era un coltello, lo usava di solito per aprire i pacchi, si recise i polsi e poi si trafisse il petto, la lama sottile si spezzo nello sterno, il dolore che ne derivò fu come una pioggia di coriandoli al vetriolo, si chinò in terra e si ritrovò a stretto contatto con il feto cadavere, era come se si guardassero negli occhi.
“Di sicuro da grande saresti diventato un odioso coglione!” Gli disse Chiodo, poi si voltò dall’altra parte e pensò:
“Io non sono un fottuto maniaco, io sono un artista, ho la magia nelle mani.”
Cominciò a piangere, un pianto isterico, sincero, infantile.
“Sono stato debole, sapevo di essere fragile, sapevo che alla fine avrei ceduto.”
Piangendo Chiodo morì, mentre le sirene si avvicinavano.

 

Dedicato alla rabbia.

Davide Giannicolo