Non era affatto un modo di dire

Pelle color avorio, capelli biondi, mani aggraziate dalle dita affusolate, occhi chiusi, ma sicuramente azzurri. Una ragazza bellissima, come tutte le altre prima di lei del resto.
<Chissà perché tocca sempre a me uccidere queste belle ragazze!> pensò.
<Perché sono delle grandissime bastarde, fanno le gatte morte con gli uomini solo per ottenere ciò che vogliono!>
Ripensò alla prima volta che una di quelle maledette lo aveva abbordato. Era successo una notte, in discoteca. L’aveva invitato a fare un giro fuori dal locale e una volta fuori, mentre lui era girato, lei l’aveva colpito al collo a tradimento. Il mattino seguente si era svegliato con un tremendo mal di testa, debolissimo, con la camicia imbrattata di sangue e con le tasche più leggere: si era fregata portafogli, cellulare e chiavi dell’auto.
La stronza era riuscita, chissà come, non solo a trovare la sua automobile ma a portarsela anche via.
In quell’auto aveva lasciato tutti i documenti che gli sarebbero risultati indispensabili a chiudere le pratiche rimaste in sospeso il lunedì successivo, giorno in cui, invece, venne licenziato per incompetenza e inaffidabilità.
Giovedì la sua ragazza lo aveva lasciato: era abituata ad un tenore di vita troppo alto per stare con uno che era appena stato licenziato. E poi che figura avrebbe fatto con le sue amiche?! Voleva a tutti i costi uccidere quella troia che gli aveva rovinato la vita privandolo di tutto e da quel giorno aveva deciso che avrebbe ucciso anche tutte quelle come lei... E non era affatto un modo di dire.

 

***

 

Non poteva muoversi. Si era svegliata così, legata e imbavagliata. Non poteva nemmeno alzarsi a sedere, perché aveva le braccia legate alla spalliera di un letto. Si era svegliata in un posto a lei estraneo.
Si guardò in torno con aria smarrita e il poco che quella posizione non particolarmente comoda le permetteva di vedere non le piacque per niente.
I muri bianchi e spogli conferivano alla stanza un’aria assolutamente anonima, era come se nessuno si fosse preoccupato di renderla ospitale. Brutto segno. Avrebbe potuto essere una camera da letto qualsiasi di una qualunque casa in una qualsivoglia parte del mondo. Lei sapeva, comunque, di trovarsi ancora in città.
Alla sua sinistra, l’unica finestra presente era priva di tende. Non c’erano mobili, eccetto il solido letto in noce dove lei era stata delicatamente adagiata. L’unica fonte di luce era una lampada al neon appesa al soffitto che illuminava l’ambiente solo marginalmente, come se fosse molto più interessata a lei; sulla ragazza, infatti, era proiettata la luce. L’interesse di quella lampada, tuttavia, era freddo e distaccato, e dava l’impressione di essere in una sala operatoria... O peggio, in un obitorio.

 

***

 

Aveva proprio gli occhi azzurri come aveva immaginato.
Era stato facile prenderla. Nessuno si aggira per quella zona della città, la più malfamata, soprattutto dopo il tramonto.
Doveva ammettere che quelle stronze erano tutte dannatamente belle.
Sì, perché lui aveva una certa esperienza al riguardo, sapeva come trattare quel genere di donne.
Era un bellissimo ragazzo, aveva venticinque anni ma ne dimostrava anche qualcuno in più. Con i suoi occhi verde smeraldo e i suoi muscoli sempre bene in vista riusciva a rimorchiarle praticamente tutte.
Poi loro gli chiedevano di “andare a fare un giro insieme” e a lui, improvvisamente, accadeva un imprevisto che lo costringeva ad assentarsi per un po’, in genere un amico con l’auto in panne, da soccorrere immediatamente. A questo punto si faceva lasciare l’indirizzo della loro abitazione, nessuna glielo aveva mai negato ed era sicuro che ciò non sarebbe mai successo: quelle erano donne estremamente vogliose e pronte a tutto!

 

***

 

Con la coda dell’occhio vide qualcosa alla sua destra: un ragazzo la osservava, seduto su una sedia, immerso nella penombra. Poteva vedere distintamente solo il suo ghigno che non prometteva nulla di piacevole... Almeno per lei.
Aveva una sensazione strana: non era affatto paura, piuttosto impotenza, come se qualcosa, all’infuori delle corde, le impedisse di liberarsi.
Istintivamente si guardò: gli anelli e la collana di perle erano al loro posto, così come gli orecchini di diamanti, i vari braccialetti d’oro e d’argento e la cavigliera dorata. Ci teneva ai suoi gioielli, non tanto perché erano i regali dei suoi precedenti amanti, ma perché le conferivano eleganza e raffinatezza. Non poteva far capire agli uomini la sua vera identità! Il suo vestito di pizzo e velluto nero era ancora al suo posto, cioè perfettamente aderente al suo bel corpo, e si augurò che quel vestito le rimanesse addosso ancora per molto tempo.

 

***

 

Ci aveva impiegato un po’ per imparare a riconoscere quelle stronze, ma, dopo aver fatto un po’ di pratica, riusciva ad identificarle quasi al primo sguardo. Era necessario riconoscerle, altrimenti avrebbe potuto uccidere accidentalmente una ragazza normale.
Tra quelle stronze e le ragazze normali c’erano differenze più nei gesti e nello sguardo che nell’aspetto fisico.
Sembravano prometterti il Paradiso quando ti guardavano negli occhi ed effettivamente per un po’ ti sembrava di essere fra santi e cherubini; ma dopo, finito il piacere, precipitavi inesorabilmente nelle più profonde voragini infernali.
Quanti gioielli aveva addosso questa ragazza! Collana, orecchini, braccialetti e anelli, perfino una cavigliera! Pensò a chissà quanti uomini le erano occorsi per accumulare tutti quei preziosi.

 

***

 

Lo osservava mentre lui la osservava. Si studiavano a vicenda. Lui si alzò dalla sedia e fece due passi verso il letto. La giovane sgranò gli occhi: era il ragazzo della discoteca, quello che era andato dall’amico con l’auto in panne! Come aveva fatto a non capire! Ecco perché non si era presentato dopo avere aiutato quel suo amico... Che probabilmente non esisteva nemmeno! E pensare che sembrava uno di quei fighetti sempre pronti a soddisfare ogni sua richiesta per un po’ di sesso...
Lei iniziò ad agitarsi facendo sobbalzare il pesante letto in noce.
Voleva urlare, ma il nastro adesivo che aveva sulla bocca glielo impediva.

 

***

 

<Poverina, guarda come si agita> pensò <sembra di vedere una scena dell’Esorcista!>.
Iniziò a ridere sguaiatamente del suo appropriatissimo paragone. Quando le risate si acquietarono, indicò con il dito qualcosa appeso al muro sopra la testa della ragazza. Lei sgranò ulteriormente gli occhi e lui riprese a ridere ancora più divertito di prima.

 

***

 

Vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere. Era una delle sue fobie più acute, la sola vista di quell’oggetto la faceva impazzire; iniziava ad urlare, ad agitarsi e le lacrime di terrore le facevano bruciare gli occhi come tizzoni ardenti, proprio come le stava succedendo in quel momento. Pensò che era la fine per lei, stavolta lo era davvero!
<Lo sa, lo sa, l’ha messo lì apposta per me! Ma come fa a sapere che...>
Non potè finire il pensiero perché lui si stava avvicinando al letto. Vi salì e si sedette a cavalcioni su di lei.
Le abbassò la parte superiore del vestito a scoprire il seno prosperoso e rimase sopra di lei, sempre sogghignando: osservavo divertito lo spettacolo del terrore che, unito alla consapevolezza della sua sorte, si stava impossessando della biondina sotto di lui.
Lei sperò solo che quell’uomo non la torturasse: non avrebbe sopportato il tocco gelido di quell’oggetto maledetto sulla propria pelle.
Lo sguardo di lui, però, le fece perdere ogni speranza; quando l’uomo le mostrò ciò che aveva appena estratto dalla tasca dei pantaloni lei iniziò a scuotere la testa terrorizzata e a piangere a dirotto.

 

***

 

Iniziò a spargere sul corpo della donna il contenuto della fialetta estratta dalla tasca dei pantaloni.
Quando il liquido veniva a contatto con la pelle di lei, quella si corrodeva all’istante, sfrigolando e producendo un leggero filo di fumo che si alzava verso l’alto scomparendo nelle vicinanze della lampada al neon.
Lei si agitava più che poteva, ma lui la teneva ferma stringendole le ginocchia intorno alle reni.
Prese l’oggetto appeso al muro e lo schiacciò contro il petto della donna, la quale inarcò la schiena talmente all’improvviso e con così tanta energia che rischiò di essere disarcionato.
Il ragazzo si divertiva un mondo quella sera. Per movimentare ulteriormente la serata decise di fare qualcosa che non aveva mai provato prima: le tolse il nastro adesivo dalla bocca.
Fu un'azione così veloce e imprevista che la donna non ebbe nemmeno il tempo di provare a morderlo.
-URLA!- le ordinò.
Non c’era bisogno di un ordine del genere, visto che con la pelle corrosa in pochi riuscirebbero a tacere.
Quell’ordine urlato in faccia alla donna, però, conferiva una certa teatralità alla scena e lo eccitava incredibilmente.
-URLA!- ripetè - Grida a squarciagola! Urla fino a rimanere senz’aria nei polmoni! Urla, urla, URLA!-
Impugnò il crocefisso che aveva staccato dal muro e le accarezzò lentamente la pelle, che iniziò a sfrigolare come carne alla brace.
La stronza continuava a urlare disperatamente, con voce tanto acuta quanto assordante.
Le posò il Cristo in croce sul petto e schiacciò con forza; lo alzò con l’intenzione di trapassarle il cuore con l’oggetto sacro. Infatti fu proprio ciò che fece.
-Grida! Più forte, più forte!-
La donna urlò ancora e ancora e ancora, ma presto le sue grida si affievolirono fino a scomparire del tutto.
L’unico rumore era quello del respiro affaticato di lui: ansimava soddisfatto e ghignante.

 

***

 

Padre Hamilton entrò spalancando la porta:
-Jason! Cosa succede? Cosa sono tutte queste urla?-.
-Nulla Padre, non si preoccupi. Ne ho solo fatta fuori un’altra.-
-Oh benedetto figliolo, l’hai fatto di nuovo? È la quarta volta questa settimana!-
-Ma Padre...-
-Niente “ma” Jason! È ora di finirla! Non devi ucciderne così tante in una settimana.-
-Padre, non si preoccupi, mi pagano gli straordinari! Per chi mi ha preso? Anzi, adesso vado dritto dritto all’Agenzia a farmi pagare gli ultimi due lavori. Sono anche curioso di sapere quanti ne ha fatti fuori Camilla!-
-Ah, benedetta gioventù! Ma come mai questa volta hai fatto tutto questo rumore?-
-Colpa dell’acqua santa Padre.-
-Non dirmi che l’hai torturata...-
-Certo che sì, Padre! Altrimenti dove sta il divertimento?-
-Ecco cos’è quest’odore di bruciato! Sei troppo sadico Jason, così non va bene!-
-Padre, con tutto il dovuto rispetto, il lavoro è mio, sono io che rischio la vita per abbordare quelle maledette, sono io che vado a tirarle fuori dalle loro schifosissime stamberghe e faccio tutto da solo! E, come se non bastasse, sono io che pulisco il letto e i crocefissi! Credo che mi spetti un po’ di divertimento!-
-Jason, non fare la vittima. Sai meglio di me che vai in giro ad ammazzare vampire solo per vendetta! Anzi, quella ormai l’hai placata da un pezzo. Lo fai solo per divertimento!-
-Purtroppo ha ragione Padre. Ma, che diamine!, io amo il mio lavoro!-

Claretta Amari