Il dono

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2010 - edizione 2

Io ho un dono.
Un dono strabiliante e maledetto. Riesco a percepire il legame che la morte ha con le persone. Se la morte viene a trovare qualcuno, intorno a quella persona vedo una specie di fumo colorato, come un'aura, e di colore diverso a seconda del progetto che la morte ha in serbo per lei.
Sembra una cosa folle e difficile da credere ma è tutto vero. In parole povere, quando vedo una persona con l'aura nera sta per morire, se la vedo rossa sta per uccidere.
Passo gran parte del mio tempo libero in posti affollati, centri commerciali, piazze. Faccio il possibile per evitare l'evitabile, ma non è facile come sembra. Mi siedo con un giornale fingendo di leggere e intanto osservo. Mi capita spesso di vedere anziani con l'aura nera, ma non posso avere la presunzione di ostacolare il ciclo della vita. Non sono Dio. A volte vedo giovani malati e li prego di andare da un medico al più presto. Purtroppo la gente tende a scansare un pazzo che ti dice che stai morendo. Una volta però ho visto in un supermercato una ragazza attraente con l'aura nera e pochi metri dietro di lei un uomo sulla quarantina che sceglieva i biscotti, avvolto da un alone rosso come il sangue. Ho capito subito le sue intenzioni e li ho seguiti per tutto il giorno. Quella ragazza non lo sa, ma mi dovrà essere riconoscente per tutta la vita.

Mia moglie Sara non è a conoscenza del mio dono. Non ha la minima idea di come occupi il mio tempo libero. Lei sa che lavoro in ufficio fino alle cinque e che a volte rientro dopo cena. Per fortuna non fa troppe domande anche perché non saprei come giustificarmi. Noi siamo felici così.
Ieri, dopo aver passato due ore al centro commerciale per acquistare solo del pane, sono tornato a casa. Ero esausto e avevo voglia di sdraiarmi. Ho trovato mia moglie che beveva un caffè con Paolo, il mio più caro amico, seduti al tavolo della cucina. Stavano parlando delle vacanze che avevamo organizzato insieme per il mese successivo.
Ho notato qualcosa nei loro occhi. Qualcosa di cui non mi ero mai accorto prima.
"Ciao tesoro" mi ha salutato Sara sorridendo, ma la sua espressione è cambiata immediatamente appena ha visto la mia faccia. "Che hai?" mi ha chiesto preoccupata.
Il pane mi è scivolato dalle mani ed è finito sul pavimento.
"No... niente." ho deglutito "Scusa, sono solo un po' stanco".
Nell'attimo in cui mi sono chinato per raccogliere il pane, tutto mi è sembrato così chiaro.
"Sicuro che stai bene? Sei sbiancato. Bevi un caffè che ti riprendi" mi ha detto Paolo venendomi incontro, sinceramente preoccupato.
"Sì, sto bene. Vorrei solo stendermi un secondo" ho detto e sono salito in camera. Ma non sono andato a riposarmi.
Tenevo una pistola nel comodino. Per protezione. Di questi tempi non si sa mai chi ti puoi ritrovare in casa. Con la mano tremante di rabbia avvolta in una fitta nebbia rossa ho preso la pistola, me la sono infilata nella cintura dei pantaloni e sono sceso da loro.
Erano entrambi neri come la notte.

Andrea Costantini