Che il mio canto giunga fino a te

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Sono diventata cieca all’improvviso. Ero giovane, ridevo, andavo a ballare il tango e quella sera ho ballato tanto da svenire. Mi sono svegliata al buio. Non ho più visto altro che ombre confuse, da allora ho vissuto immersa in un crepuscolo perenne. Avevo il dono della voce, sapevo cantare e le persone si fermavano sotto la finestra. La cecità non mi tolse la voce. Tornai a cantare dopo mesi e mesi di visite tra ospedali e specialisti, quando ormai i miei occhi erano persi. Cantai di dolore e la voce ne guadagnò in profondità. Fu così che la moglie del nocchiero arrivò a me, seguì il mio canto da lontano. Veniva ogni giorno, mi diede pozioni di erbe per purificarmi, per sconfiggere il malocchio e salvarmi. Così mi disse. Andai a vivere con lei nella casa vicino all’imbarcadero. Mi abituai alle erbe amare e al corpo scosso da brividi. Era la preparazione. Tutto serviva per l’incontro con il prete della cattedrale di Santiago. Era un italiano, proveniva dal Vaticano e quindi direttamente collegato a Dio. Si mormorava fosse un santo. Così diceva. Mi sarei inginocchiata e lui mi avrebbe benedetta. La vista sarebbe tornata.

Dopo la messa ci avvicinammo al prete, tra tanta gente che come me, voleva essere benedetta. Procedemmo in silenzio, avanzando di pochi passi verso di lui. Lo sentivo sempre più vicino, mi ci stavo addossando, stavo per toccare le sue vesti. Allora accadde. Sentii urla, imprecazioni, grida, venni spinta e strattonata. Un balordo aveva tagliato la gola al sacerdote, un momento prima che io mi accostassi a lui. La bajadera mi prese rapida la mano e la guidò sul sacerdote, la imbrattò di sangue e mi ci fece strofinare gli occhi.
E’ così che ho iniziato a vederli, i morti.
Col canto li guido al traghetto.

Emanuela Giorgini