Lavoro in nero

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Pietro controllò l’orologio: per oggi aveva finito. Alcuni colleghi gli proposero il solito strappo, ma quella sera non lo accettò: aveva in mente un piano.
Pietro lavorava in quella fabbrica di portafogli da quasi sei mesi, e non riusciva proprio a spiegarsi come fosse possibile per una fabbrichina con alle dipendenze non più di otto operai, produrre così tanti portafogli, tanti da superare di gran lunga il numero di quelli che gli operai stessi ricordavano di aver fatto.
Succedeva sempre così: il giorno dopo, tornando in fabbrica, lui e i suoi amici trovavano enormi colline di borselli grandeggiare sopra i tavoli da lavoro. Gli altri se n’erano accorti, ma a loro la cosa non importava. Nello stanzone dove lavoravano, c’era una porticina di legno chiusa, dov’era proibito entrare. Delle volte Pietro avrebbe giurato di aver sentito dei passi provenire da lì sotto... passi di uomini, e non di ratti...

Quella sera, aveva deciso di nascondersi e restare, per scoprire cosa nascondesse quella vecchia porta.
A notte fonda, Pietro uscì; forzò il catenaccio della porticina e scese lentamente le scale. Ciò che vide lo sconvolse. Adelina, la figlia del droghiere morta l’anno prima di tumore, lavorava senza tregua assieme ad altri: c’era Mario, morto di overdose quella estate, che cuciva una cerniera; c’era Anna, la portinaia morta d’infarto, Luca, il salumiere, Stefano, e tanti altri ancora deceduti tempo fa. Avevano delle cuciture alle tempie ed erano pallidi come lenzuola; lavoravano meccanicamente, senza fermarsi, quasi come telecomandati. Qualcuno li aveva risvegliati per adoperarli come mano d’opera, qualcuno mentalmente disturbato...
Pietro accidentalmente urtò un carrello; Adelina alzò i suoi occhi privi di orbite su di lui: tutti si accorsero della sua presenza. Cominciarono ad avvicinarsi lentamente... Pietro, terrorizzato, svenne.
Da quel giorno Pietro lavora senza sosta, senza pause, senza lamentarsi, senza pensare. Meccanicamente...

Fabio Busiello