Gli abitatori dei tumuli

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

La campagna era dura come roccia, a tratti gialla di grano, si stendeva fino al deserto di pietre e terra arsa, regno incontrastato della vipera, dove il sole si schiantava frantumandosi in inquietanti riverberi, così violentemente da fare quasi rumore. Eppure ogni cosa taceva, attorno. Anche le cicale avevano improvvisamente smesso di frinire. L’uomo perse lo sguardo più in là, oltre i lembi di terra coltivata di ripide ignote colline. Alle sue spalle la vecchia auto morta sotto l’ombra clemente del fico selvatico. Doveva pur esserci qualcuno, nei dintorni. L’improvviso fruscio del vento tra le spighe gli suggerì di andare avanti. Attraversò il grano, il passo incerto da forestiero, si spinse avanti, dove il paesaggio si faceva lunare ed i tumuli parevano macchie grigie in mezzo agli sterpi.
Qualcuno. Sì laggiù qualcuno c’era davvero. Affrettò il passo. Sconosciute figure che si aggiravano ciondolando tra le pietre. Erano, tre, quattro. Dieci. Di più. Percorrevano il campo in tutte le direzioni. Non sono contadini, pensò. Forse pastori. Non aveva mai veduto pastori senza gregge. Forse cercatori di funghi, di erbe.
Ehi, gente. Attorno soltanto silenzio.
Adesso le erbacce incolte si aggrappavano ai suoi pantaloni di stoffa leggera, le sentiva come spine nella carne. Il cimitero di tumuli attorno a lui biancheggiava di pietra e cocci rotti e frammenti di vecchie ossa. Ed uno di quegli sconosciuti era a pochi metri, poteva quasi toccarlo.
ho bisogno di aiuto signore l’auto mi si è spenta e
E inorridì. Non era viva, quella cosa nauseante e sporca e putrefatta. Provò a muoversi, ma la terra gli inchiodò il passo, lo tirò a sé beffarda. E le creature si facevano avanti tutte insieme, adesso gli erano attorno, quasi addosso. Urlò. Ancora. Fino a spezzare le corde.
Poi sentì il primo morso.

Maria Galella