Coda-Marine 475

Nacque da polvere e capelli e cenere. La casa era un ambiente psichico molto fertile, fra i migliori possibili per la sua formazione: madre e padre nervosi giocolieri in bilico sul baratro del divorzio, un figlio sedicenne assuefatto d’ecstasy e internet, un altro di quattro anni irradiato di televisione per sei o sette ore al giorno e la figlia maggiore quasi sempre assente, divisa fra appuntamenti insoddisfacenti e studi universitari tanto frustranti quanto noiosi.
La casa era una culla perfetta, non avrebbe potuto desiderare di meglio.
Il primo nucleo attorno al quale costruirsi una frammentaria esistenza furono i residui che si trovavano sotto il letto matrimoniale: anni di polvere mal spazzata, di unghie masticate istericamente, filamenti persi da vestiti logori e frusti... fu quello il suo amaro cuore. Lentamente assorbì parte dell’energia che permeava i frequenti litigi dei due: gli aspri rinfacciamenti e le offese a denti stretti formarono la rete nervosa del suo corpo, sufficiente a farlo muovere, a fargli compiere i primi strascicati passi.

 

Nelle ore più buie vagava senza una coscienza per le stanze della casa, in una folle ricerca di nutrimento. Cibarsi e crescere erano le uniche pulsioni che lo agivano, ma attraverso il sostentamento venne anche una psiche, un insieme di emozioni e nozioni e sensazioni... Una gruccia lasciata per terra costruì le sue spalle, uno straccio per pavimenti divenne la sua schiena... Nutrirsi dei sogni del ragazzo lo agitò per alcune lunghe nottate, fiumi di scorie e residui di anfetamine e alcool che fluivano nel suo corpo deforme alimentandolo di furia e fame... Se diventare un fantasma era da sempre stato un processo di sottrazioni progressive, in questa amara fine millennio assistevamo a una genesi inversa, un lungo processo di accumulo nevrotico che andava costituendo corpo e mente di questo neo-spettro.

 

- Cavoli, che occhiaie! Sei stato al computer tutta la notte?! – Roberto squadrò la madre, forse in cerca di qualche forma di premuroso amore nascosta in quella brusca domanda, ma subito abbassò lo sguardo: come ormai succedeva da anni i suoi genitori agivano e parlavano più per dovere che per reale interesse.
– No, non so. Ho dormito male e basta, ho avuto degli incubi... - il fratello minore osservava il ragazzo con interesse e paura, baffi di latte intorno alle labbra e capelli densi di sudore e sonno. – Anche tu hai fatto gli uncubi?! Sono brutti... Io ho fatto l’uncubo di un mostro che stava sotto il letto e usciva e mi si sedeva addosso e... - Roberto squadrava insofferente il moccioso, un fortissimo mal di testa si stava impadronendo del suo cervello centimetro dopo centimetro, vincendo una battaglia combattuta a colpi di neuroni bruciati e occhi arrossati. – Cretino, si dice I-ncubi, hai capito? E’ strano, anch’io ho sognato di un gatto o qualcosa di simile che usciva da sotto il letto... - Claudio osservava il fratello con gli occhi sgranati – Sì, era un mostro, ti dico, non un gatto... Stava sulla mia pancia e mi faceva male, anche il solletico, e mi guardava. Io piangevo e lui mi mangiava le lacrime...- il bambino era ormai sull’orlo di una crisi di pianto, quasi che il rievocare i sogni notturni potesse condensarli alla luce del sole, dando loro nuova vita e potenza. – Ma siamo tutti così cretini da piccoli? – Roberto, il cervello ormai conquistato da una spietata emicrania, era ancora più crudele del solito – A me sembrava di essere un po’ più intelligente di te alla tua età, sai? -.
Se ne uscì di casa lasciandosi dietro i pianti del fratello, un vago senso di disagio al pensiero che il gatto del suo sogno gli aveva lambito con la minuscola linguetta rossa sudore e lacrime, proprio come il mostro aveva fatto con Claudio.

 

Vaga per la casa.
Sempre più forte, sempre più concreto, consapevole. Come potremmo chiamarlo? E’ figlio del nostro tempo, si arrangia con quel che può. Un tempo mostri e fantasmi avevano una dignità, un’estetica precisa, un grande senso d’orgoglio e di appartenenza. Dracula, lo Swamp Thing, Frankenstein... Poi giunsero i figli violenti, vestiti di jeans stracciati, contavano le vittime con le calcolatrici e vivevano nei televisori. Jason, Freddy Krueger, Michael Myers...
E ora? Come possono reinventarsi, terrorizzare, trovare delle basi e degli alberi genealogici in questo deserto vetrificato che chiamiamo occidente? Nascono dal nulla, sono il nulla, possono fare del male, fare il male solo esponendoci alla verità del loro nulla, del nostro nulla, disperandoci con la nostra stessa incapacità emotiva.

 

E questo neospettro affamato accumula forze, cresce ben nutrito.
- Sono proprio contenta, quel nuovo veleno per topi funziona tremendamente bene! – dice la mammina soddisfatta raccogliendo la terza carcassa di ratto della giornata, non notando (e come potrebbe?) le costole incrinate dei roditori, i segni di acuminati dentini...

 

- Dove cavolo sarà andata a finire la scatola del viagra? Mi sembrava di averla nascosta qui... - sospira il buon padre di famiglia, fra il preoccupato che la mogliettina possa ritrovare il corpo del reato e l’arrabbiato per l’attesa serata di sesso mercenario che sembra ormai irrimediabilmente rovinata, incapace com’è di avere un’erezione normale da ormai troppo tempo. Nel buio qualcuno privo di saliva mastica ugualmente quelle pillole blu, digerendole con sangue di topo e rabbia.
- Dovrei vedermi con lui stasera. Ma a cosa serve, tanto vuole solo entrarmi nelle mutandine, non gliene frega di me, ed in fondo per me è uguale... - Milena, chiusa in camera, lo sguardo sopra i testi universitari, pensa e soffoca, in cerca di emozioni che la riscaldino, sicura che la vita sia qualcosa di più prezioso che un lavoro ed una casa. Qualcuno nascosto nell’armadio ghigna e si gongola felice nell’oscurità.
Ora desidera qualcosa di più, quasi fosse uscito dalla pubertà per andare incontro all’età adulta. Affila unghie e denti e mente, pronto all’azione.
- Milena è uscita? – per la mogliettina è stata una giornata davvero piacevole: i topi sterminati, il parrucchiere ha finalmente azzeccato la tinta e ora, sorpresa delle sorprese, la famiglia quasi interamente riunita davanti al televisore dopo la cena! – Si, è andata al cinema con quel tipo che vede in questi giorni, ma ha detto che torna a casa appena finisce il film... - si guardano, si parlano e poi inebetiscono di fronte a Bonolis e la Carrà, ognuno perso nei suoi pensieri e nelle proprie stanchezze. Da qualche tempo si sentono tutti fiacchi, sfiniti, occhiaie profonde e stomaco in rivolta, sicuramente sarà questa maledetta influenza...
Emerge dall’ombra e si muove fluido, la figura simile a uno scimmione composto di metallo, polvere, capelli, lame di coltelli, grucce... Ride in maniera folle e gracchiante mentre corre verso la famiglia (la sua famiglia, che diamine!), un rumore di vetri rotti e di gesso su lavagna. Roberto è il primo a cadere, senza quasi rendersi conto di quello che accade: lo spettro gli si avventa sopra, ribaltandolo insieme alla poltrona, dilaniando ferocemente il petto del ragazzo, divorandogli le interiora con una ferocia e ingordigia inguardabili. La madre urla, il padre cerca di alzarsi ma non riesce a muovere muscolo: anni di birra, sigarette e caffè, viagra e stress riscuotono il loro finale tributo sotto forma di un violento assalto cardiaco che lo inchioda boccheggiante al divano, gli occhi sbarrati a osservare il massacro in atto.
Con le fauci ancora piene del cuore del figlio, il mostro è già addosso alla madre, le strappa capelli e cuoio capelluto con una sola potente manata, incide il cranio con le unghie-coltelli, beve il cervello con un rumore di scarico intasato. Deliziato, estatico... quasi incapace di confrontarsi con un simile afflusso di emozioni e nutrimenti, una sorta di pan-indigestione che lo raggela per alcuni istanti. Osserva il padre che rantola, una mano a stringersi il braccio, il volto paonazzo di morte e disordine. Mima un insano e incompiuto atto sessuale con il cadavere della donna per poi, con un unico agilissimo salto, finire il padre sfondandogli il petto con un pugno.

 

Lecca distrattamente le macchie di sangue e i brandelli di carne sparsi ovunque, guardando divertito (se è possibile applicare un termine del genere...) il bambino che si trascina semi impietrito lungo le scale fino al piano superiore. Gracchia di piacere quando nota che Claudio non è riuscito a controllare la vescica, inondandosi i pantaloni di un’urina calda, dal forte odore di ammoniaca e paura.

 

Sale le scale a balzi adrenalinici, lasciando squarci profondi nella tappezzeria, urlando furia e terrore. Fin troppo facile arrivare alla preda. Lo tiene stretto, osservandone incuriosito il pianto, e infine fa l’unica cosa che sa, che ha imparato a fare, odio e morte e violenza. Questo fa. Divora il bambino. No, non strappa bocconi casuali, lo divora intero, lo ingoia come un pitone, macerandone le carni, dissolvendole al suo interno.

 

Al piano di sotto i riflessi luminosi del tubo catodico sono l’unica luce che illumina la scena, conferendo al sangue un colore bluastro e metallico.

 

Quando Milena torna a casa, lasciando il suo ragazzo imbronciato e insoddisfatto sul sedile della macchina, l’aria all’interno è pregna dell’odore di sangue già in decomposizione, come ferro con un fondo dolciastro. La ragazza lo avverte immediatamente, e nel breve lasso di tempo che la porta d’ingresso impiega a chiudersi il suo cervello assimila e comprende quel che è successo. Lo spettro la guarda rannicchiato sulle scale, e in lei qualcosa cede definitivamente. Non pensa per un solo attimo alla fuga o a nascondersi in qualche stanza, i suoi occhi sembrano offuscati da un velo composto non solo da lacrime, ma anche da disperazione e rassegnazione in parti eguali.
Lentamente, con movimenti da sonnambula, singhiozzando e sospirando, avanza andando incontro alla fine, a quel folle grumo di lame, sangue e paura. Quando gli giunge vicino guida lei stessa i colpi del demone, affondando i coltelli vicino al cuore con un sospiro che non possiamo dire se di sollievo o di dolore.
Fuori il buio.
In casa il rumore delle zanne e degli artigli viene coperto dal frastuono del televisore.
Poi il nulla.

Elvezio Sciallis: nato nel secolo sbagliato in una galassia sbagliata, trentatre anni, vive a Gessate con la sua ragazza e una gatta.
Da sempre appassionato di letteratura fantastica ha recentemente dato alle stampe, per le edizioni Prospettiva di Roma, La macchina delle ossa, una sua antologia di racconti e, per conto delle edizioni GhoST, Luce di sangue, un saggio sul cinema fantastico.
Ha inoltre curato per Yorick l'edizione di un volume sui Licantropi e suoi racconti, saggi e recensioni appaiono spesso su svariati siti web e riviste del settore. Scruta sempre attentamente cielo e terra in attesa di invasioni aliene e vortici dimensionali che, purtroppo, non si sono ancora verificati.