Il primo morso

Finito il lavoro a quel supermercato che avevo proprio iniziato ad odiare, pieno di quelle vecchiette antipatiche, presi l’auto e mi diressi verso casa. Rientrai puntualmente alle 7.45 di sera, nel mio appartamento al primo piano di quella casetta dove c’eravamo trasferiti da poco il mio ragazzo ed io. Era una costruzione molto carina da vedersi, con le mura bianche, il tetto a tegole, ed era un po’ fuori città. Vicino ad essa si estendeva un folto bosco, nella quale col bel tempo ci si poteva addentrare per farci qualche rilassante passeggiata.
Come ogni giorno, entrai dalla porta a vetri dalla quale si vedeva l’ascensore che presi, aprii la porta chiusa a chiave di casa mia e entrai chiudendola dietro di me.
Il mio gatto, col suo passo felpato, mi raggiunse e i suoi occhioni rivelavano la solita voglia di cibo.
-Ciao tesorino, hai fame eh?- presi il gatto fra le braccia e mi fermai ad accarezzarlo un pochino. Poi mi accorsi che qualcosa non era come il solito. La televisione spenta e il mio compagno con la quale convivevo da ormai 5 anni non c’era. Le uniche volte che non si era trovato in casa al mio ritorno fu quando sua nonna morì improvvisamente d’infarto e quando sua sorella si ruppe l’osso del collo cadendo dalle scale.
-Sono io quella che torna tardi dal lavoro, non lui, ma dov’è? Speriamo che non sia successo nulla di grave.- sussurrai al gatto che mi stava facendo le fusa.
Un brivido mi corse lungo la schiena. Quel silenzio, quel silenzio sempre simbolo di cattive notizie non mi piaceva per niente. Lasciai andare il gatto e restai ferma cinque secondi, il tempo di organizzare le idee. Quindi mi avvicinai al telefono che stava in sala, appoggiato su un mobiletto di legno chiaro, che avevamo scelto insieme. Digitai nervosamente il numero del suo cellulare che teneva sempre con sé, come se fosse un becchino e dovesse essere sempre reperibile.

-Pronto?- rispose con una voce allegra Alessio.
-Ehm, amore dove sei? È tutto a posto?- chiesi un po’ perplessa da quel tono spensierato.
-Tutto alla perfezione! Non ti preoccupare...- rispose lui aggiungendo una risatina.
Poi sentì, oh cosa sentì, quel suono è inconfondibile... una risata femminile, era una risata di donna...
-Dimmi dove sei per favore...- incalzai. Ma lui divertito da non so cosa rispose che era da sua madre.
-Ma per chi m’hai presa!!! Ho sentito quella... quella risata e non era di certo tua madre!!!- gli urlai stringendo sempre più forte la cornetta del telefono al punto che la stavo per frantumare.
-Amore, dai stai tranquilla, lo sai che non ti fa bene alterarti...- schernì lui. Ma cosa c’era di tanto divertente? Cosa? Gli sembrava che io stessi scherzando?
-Dai- continuò lui –ancora mezz’oretta e torno a casa- ridacchiò poi prima che potessi rispondere buttò giù.
Mi sedetti lentamente sul divano con il gatto che mi salì sulle gambe cercando una mia carezza, ma io quasi non lo notai.
Fino ad oggi quell’appartamento era così dolce, pieno di cose così carine, stracolmo di ricordi che mi legavano ad Alessio, come quella foto che ci ritraeva e che sotto le nostre immagini aveva scritto con bella calligrafia “Alessio e Valentina un’amore per sempre”.
Ora i miei occhi che brillavano di una luce finora sconosciuta, vedevano tutto in un altro modo. La casa era fredda, tremendamente fredda e tutto quello che c’era dentro provocava in me solo un dolore enorme.
-Maledizione, sto esagerando- dissi mettendomi le mani davanti al viso. Poi guardai l’orologio, sembrava passata un’eternità, invece era passato solo un minuto.
-Ma sì, non c’era nessuna con lui, no, era solo, solo... beh, non lo so cos’era ma non era un’altra!- continuai a ripetermi queste parole per due minuti, continuai, continuai, continuai, finché un rumore mi riportò alla realtà.
I miei occhi ancora persi nel vuoto, come se l’unica cosa che fossero capaci di vedere fosse l’oscurità, si risvegliarono e andarono a fissare la finestra. Vidi una mano, una mano lunga e scarna che picchiettava con le nocche delle dita sulla finestra.
Mi alzai lentamente, mentre il mio gatto scappò via e altrettanto lentamente mi avvicinai alla finestra. Ero guidata da una strana forza, una parte di me non voleva aprire, l’altra invece scongiurava di aprire. Poi un flash mi ricordò quell’incredibile, immensa, glaciale gelosia che avevo provato fino a due secondi prima e quindi quasi per ripicca a quel fidanzato traditore aprì volutamente la finestra. Poi indietreggiai quasi spaventata da quel gesto tanto affrettato.
Una figura entrò nella stanza. Era un’uomo, alto e magro, talmente magro che le ossa spigolose sembravano bucargli quella pelle bianca delle mani e del viso. Portava un mantello lungo e nero, della quale sembrava molto fiero. I capelli erano corvini ma la cosa più evidente erano i suoi occhi neri, tenebrosi, intriganti, che luccicavano di maligno. Sorrise e quel sorriso non lo scordai mai più, quasi invitante, quasi benigno, ma in verità solamente malvagio.
-Chi sei e cosa vuoi?- chiesi con improvviso coraggio. Tutto quello che provavo era troppo, ero arrabbiata, triste, gelosa e ora un pochino spavenntata.
-Io sono colui che ti vuole aiutare- emise quella voce così maschile, così garbata - ho sentito quello che provi, ho sentito la tua gelosia, la tua rabbia, e sono venuto per aiutarti- disse avvicinandosi sempre più a me - sei tu che mi hai attratto a te, sei tu che inconsciamente mi hai voluto- concluse sussurrandomi. Quasi incapace di provare spavento davanti a tanto garbo, a tanta gentilezza, lo guardai negli occhi. Non riuscii più a distaccare lo sguardo da quelle perle nere. Sentii una mano afferrarmi il braccio e mi tirò leggermente a sé. Poi un lungo, profondo, dolcissimo e indimenticabile morso mi trafisse l’arteria carotidea e lentamente un tenebroso sonno si impossessò di me senza lasciarmi via d’uscita.
Quando dopo poco mi risvegliai, ero, in braccio a quel misterioso uomo, che mi cullava dolcemente, ma era tutto cambiato. Ogni cosa intorno a me pur essendo la stessa era diversa, ero felice ma, diabolicamente felice, sentivo dentro di me un profondo amore per la notte ma oltre a ciò ora sentivo anche un profondo odio verso Alessio e un’insaziabile fame.
-Sì, tesoro ora placherai la tua fame, non ti devo spiegare niente, sai già cosa fare- mi disse lui accarezzandomi i miei lunghi capelli. Io mi domandai come avesse fatto a captare il mio pensiero.
-Imparerai anche tu a leggere nella mente, non ti preoccupare, ogni cosa a suo tempo, avrai un’eternità a tua disposizione, a proposito, prima che sorga il sole fatti trovare al cimitero, ti aspetterò all’entrata- poi mi adagiò sul divano e svanì nel nulla in una leggera nube di fumo nero come la notte.
Non dovetti aspettare molto e la porta d’entrata si aprì, ed eccolo entrare con un sorriso stampato sulle labbra, lui che mi aveva tradita, lui che mi aveva fatto tanto male, lui che non meritava più niente ormai. Rimasi distesa sul divano mentre lui si avvicinava a me.
-Pesce d’aprile! pesce d’aprile! Ahahaha, ci sei cascata amore!- esclamò con voce beffarda ma fu l’ultima cosa che poté dire. Infatti non appena pronunciata l’ultima parola, mi alzai, presi con forza la sua testa e vedendo pulsare la sua arteria, provai un’irrefrenabile voglia di impossessarmene. Così mi avvicinai sempre di più, sempre di più e poi affondai i miei nuovi candidi e lunghi canini nella sua giovane carne assaporando il mio primo morso. Ora sì che stavo bene, la mia vendetta era compiuta, i miei sentimenti di gelosia e rabbia che fino allora avvertivo ancora stavano svanendo per sempre e la mia incredibile fame veniva saziata da quell’ottimo dolce sangue.

Vanessa Reggiani