Un mondo diverso

Mi svegliai terrorizzato. L’aria pesante. Mi guardai intorno ma vidi solo tenebre. Il piccolo negozietto d’alimentari era vuoto. Solo io occupavo l’esercizio abbandonato. Un lieve rumore sulla destra mi fece voltare. Due occhi gialli si fermarono ad una decina di passi da me. Cercai la pistola sotto la coperta ridotta ormai a brandelli. Mi mossi lentamente, paralizzato dalla paura. Trovai sotto la coperta la torcia elettrica accanto all’arma. Le presi entrambe. Il fascio di luce colpì in pieno il topo che si ridestò dal torpore e scappò squittendo. Sospirai sollevato. Mi alzai prendendo lo zaino. Cercai nel negozio qualcosa da mangiare e da bere e mi portai verso l’esterno. In cielo poche stelle illuminavano la notte. Mi trovavo in uno dei tanti quartieri distrutti dal recente conflitto nucleare. La strada era piena di macerie. M’incamminai verso l’ultimo rifugio eretto da degli uomini scampati alle radiazioni. Mancavano ancora 30 miglia al “campo”, così chiamato da noi superstiti. La guerra aveva devastato non solo la terra.
Dopo circa un’ora di cammino entrai in una piazza immersa nell’oscurità. Cercai di camminare rasente ai muri. Ci misi quasi un’ora per attraversare il piazzale quando un rumore d’ossa rotte mi paralizzò. Sentii ansimare. Il rumore si fece più forte. Presi la pistola dalla tasca del giaccone. Cercai di guardare da dietro il muro di protezione senza farmi vedere. Riuscivo solo a vedere delle ombre che si muovevano nella notte. Qualcuno mi strattonò violentemente per lo zaino. Caddi a terra di schiena. Un ruggito si alzò nella notte.

Sentii dei passi avvicinarsi. Cercai di alzarmi ma una mano mi prese per il collo e mi alzò di peso da terra. Puntai la pistola e sparai due colpi. La mano lasciò la presa. Caddi in ginocchio ma mi alzai subito per scappare. Saltai una colonna di cemento poggiata a terra. Corsi a perdifiato inseguito da altri due esseri deformi. Mi guardai alle spalle e inciampai in un tombino. Precipitai giù per una collina erbosa. Mi fermai dopo qualche minuto. Cercai di rimettermi in piedi. La testa mi pulsava. Qualcosa di pesante mi balzò addosso e m’inchiodò a terra. Un pugno mi ruppe il naso. Gridai dal dolore e dalla rabbia. Sparai tre, quattro colpi ad occhi chiusi. Il corpo si afflosciò senza vita. Sporco di sangue, con il naso rotto e la testa dolorante, cercai di allontanarmi verso quello che sembrava un centro-commerciale.
Barcollai goffamente fino ad una porta in vetro rimasta intatta miracolosamente. Cercai di spostarla. Non si mosse di un millimetro. Mi appoggia con le spalle e feci leva con le gambe. Niente. Un latrato si alzò minaccioso alle mie spalle. Mi girai e due mani mi preso per il collo. Sentì il suo fiato appestante. Cercai di alzare la pistola ma questa mi scivolò di mano. Urlai di dolore. Una luce si accese alle mie spalle e finalmente vidi l’orrenda verità. Davanti ai miei occhi avevo quello che rimaneva di un uomo. La pelle piena di croste, in alcuni punti orrendamente lacerata, spurgava un liquido denso e giallastro. Guardai gli occhi iniettati di sangue che mi fissavano famelici. La “creatura” alzò la testa con la bocca aperta. Uno sparo ruppe il silenzio. Sangue mi schizzò sulla faccia. Caddi pesantemente al suolo. Guardai quell’uomo orrendamente sfigurato. Da un buco nella testa sgorgava sangue. Altre due mani mi presero per le spalle. Alzai lo sguardo rassegnato. Un uomo con una folta barba mi sorrise. Mi mise in piedi. Vidi altri due uomini alle sue spalle armati di fucile. Li ringraziai cercando di stare in piedi. Quello che, sembrava un militare si fece avanti. Mi guardò in modo strano. Il suo sguardo si posò sul mio braccio straziato dai graffi di quella creatura ormai morta. L’uomo alzò il fucile. Lo guardai stupito. Occhi grigi, inespressivi, fissarono i miei. Cercai di parlare ma l’uomo mi disse due parole che mi gelarono il sangue: “Sei infetto”.
Il tempo si fermò. Guardai l’uomo che mi aveva appena salvato. I suoi occhi mi guardarono rassegnati. Fece un cenno con il capo in segno di saluto. Una fitta mi costrinse a chiudere gli occhi. Li riaprii subito ma una patina rossa m’impediva di vedere bene. Iniziai a sentire uno strano formicolio sulla pelle. Piano piano si trasformò in un fuoco. Cercai di grattarmi il braccio ferito. Il fucile a pompa sputò una fiamma color oro. Il mio corpo si alzò da terra. Caddi pesantemente sulla schiena. Una fitta di dolore mi attraversò il petto. Cercai di parlare ma emisi un ruggito. Alzai lo sguardo e vidi la canna di un fucile. Uno sparo. Un bossolo che cade lentamente a terra poi la notte.

Claudio Bertolotti