Il segreto della signora Stevens

Come sempre d’inverno e dopo cena al venerdì, ci mettemmo in cerchio facendoci stretti intorno al fuoco del camino. L’ambiente rustico della villa di campagna del nostro amico Edward, richiamava a pennello storie di altri tempi: di epoche lontane, storie da narrare a lume di candela, di freddi manieri e di castelli infestati da presenze senza pace. Così quando Lucas se ne uscì con il dire "allora voi ne conoscete una buona sui fantasmi?”, tutti rimanemmo interdetti, tranne Oswald che si fece avanti e disse, “io ne avrei una”.
Questo mi sorprese molto perché era tipo introverso, solitamente taciturno.
Ma non appena iniziò a parlare tutti rimanemmo affascinati dalla sua eloquenza e spigliatezza.
Quindi il salotto si fece anima unica, il fuoco crepitante e lui entrò nel vivo del racconto.
Questa storia mi è stata tramandata da mio nonno, disse;
... Voglio premettere che il mio caro vecchio defunto, non era tipo da lasciarsi andare a facili scioglilingua e di certo non era uno che faceva sproloqui inusitati.
Quindi per questo e per altri aspetti della sua personalità, che ora qui non starò a spiegarvi per ovvie ragioni di tempo, vi dirò che del resto potete credermi alla lettera.
Al ché qualcuno tra i più scettici, disse: “si certo, questo è ciò  che si premette quando una  storia tutto è, tranne  vera...” ma questa critica parve non toccarlo e Oswald continuò imperterrito nel suo racconto: mio nonno negli anni della prima grande guerra, visse e lavorò come maggiordomo presso una residenza di certi signori benestanti su al nord. In un maniero di grigi mattoni, dove già di suo rimandava impressioni negative. Sorgeva nel mezzo di una brughiera, avvolta dalla nebbia per nove mesi  l’anno. Ed anche loro come noi, si ritrovavano in serate d’inverno come questa, a raccontarsi storie di spettri e di quant’altro di bizzarro c'è a questo mondo.
Con lui vivevano altri componenti della servitù, ovvero la governante, una donna di mezza età con la giovane figlia e naturalmente i padroni di casa, il signor Stevens e Signora.
Il signor Stevens era tipo amabile e loquace, dal fine sarcasmo, propenso al buon umore e dalla battuta di spirito sempre pronta; tutto l’opposto della moglie, che era invece donna schiva, arcigna e taciturna e soleva spesso intrattenersi sprofondata in poltrona, in letture di libri dalle copertine misteriose, nella sala della fornita biblioteca di casa.

Un giorno come un altro, il mio vecchio la vide parlare come tra sé mentre sembrava realmente rivolgersi a qualcuno fisicamente presente nella stanza. Lui la spiò da un angolo per un po’, che i suoi sospetti furono fondati, quando vide questa alzarsi e porgere un saluto misterioso ad un invisibile visitatore.
Dopo disse di aver sentito come un gelo nelle ossa e a poco a poco un ritorno graduale alla consueta temperatura ambientale del locale.
Si convinse di essere stato suggestionato dagli strani ambienti di quel vecchio edificio dalla sicura truce storia; come di solito lo sono certe abitazioni con centinaia di anni alle spalle.
Non ne fece parola con il signor Stevens, perché se è vero che costui era un gentiluomo d’altri tempi, è anche vero che si sarebbe potuto indispettire nel veder ficcanasare il proprio maggiordomo in questioni che non lo riguardavano.
Poi c’è da dire che, mio nonno teneva a quel posto, che era ben retribuito, ben trattato e da dieci anni ormai a servizio presso quella casa.
Comunque dopo quella sera, non ebbe modo di rivedere la signora.
Il marito disse che la moglie era partita per un viaggio d’affari giù nel sud e che probabilmente non sarebbe rientrata prima di un mese.
I giorni passarono ed il mio vecchio notò come in sua assenza, le strane manifestazioni inquietanti cessarono.
Facci un esempio... gli chiedemmo...
“Un esempio?”, fece eco Oswald...
“vediamo”...: inspiegabili spostamenti di oggetti, repentini abbassamenti della temperatura nelle stanze e cosa più spaventosa  ed inquietante di tutte, un continuo  insinuarsi d’eco di voci lontane risonanti soffuse nell’etere...
“Va bene, va bene”,  fece uno tra i più impressionabili, “capito”!
Oswald continuò:
quindi circa un mese dopo la signora Stevens rincasò.
Questa sembrava aver passato buone vacanze, tanto da parer essere come ringiovanita, inoltre notò come evitasse stranamente gli incontri e nel dialogare direttamente.
L’altro fatto bizzarro che balzò agli occhi del mio vecchio e in strana coincidenza con il ritorno della padrona, fu l’ammalarsi della giovane inserviente figlia della governante, che per altro fino ad allora aveva goduto di ferrea saluta, giovane com’era, all’ epoca diciannovenne.
Il suo viso notevolmente bello, era ora segnato da un male inspiegabile che nemmeno il buon dottore di zona venuto al suo capezzale seppe chiarirci: disse che non aveva mai veduto un malanno debilitante simile, senza cause di malattie apparenti, perché molto affine ad una tubercolosi, che per altro si sentiva di escludere.
La ragazza accusava forti dolori ossei, muscolari, inoltre la sua pelle era raggrinzita, fortemente disidratata, per non dire invecchiata a vista d’occhio, e con il solo passare delle ore: una cosa davvero inspiegabile.
“Se non si trovano le cause e non viene trattata tempestivamente ed in modo adeguato, rischia la vita”, proferì in privato il dottore alla madre addolorata, rassettandosi gli occhialetti di traverso sul naso.
Il vecchio luminare non seppe pronunciarsi oltre, prescrisse comunque farmaci per la diagnosi solitamente usati per la tubercolosi: (Streptomicina, isoniazide, rifampicina...), dicendo chiaramente come fosse più che altro un palliativo, un placebo che una vera cura.
Il dottore andò via blaterando tra sé, toccandosi la barba grigia ed arrovellandosi sul rompicapo insoluto della diagnosi incompiuta; mentre il mio buon vecchio cercò di consolare come poté la madre in lacrime  e rendendosi  utile alla degenza della ragazza. Quindi in breve, la giovane era passata dall’essere in buona salute, a cagionevole a malata cronica a stato quasi terminale e tutto questo nel giro di poco più di un mese ed in strana concomitanza con il rientro della padrona. Che per altro non la si vedeva più in giro per casa e nelle poche volte che la si notava, era coperta in volto da scialli e drappi cadenti funesti, e sviava puntualmente strada.
Qualcuno tra i visitatori occasionali giunti in magione, disse che questi strani comportamenti della signora erano dovuti ai suoi sbalzi  repentini di umore, sempre più frequenti nell’ultimo periodo, dovuti, sempre secondo l’interpretazione di  costui,  agli scontri tra i due coniugi ch'erano notevolmente intensificati,  tanto da poterli sentire litigare come folli fino a tarda notte, se, origliando nei pressi della loro stanza patronale.
Mio nonno pensò che questa fosse troppo ingenua e bonaria come interpretazione.
Poiché mai una persona debba coprirsi in tal maniera dentro casa?, pensava... Perché è depressa?... Mah!, questa spiegazione non convinceva nessuno, tantomeno lui.
Così indagò a fondo sul mistero.
Inizio con il collegare mentalmente tutti gli avvenimenti accaduti e succedutisi nell’ultimo mese e mezzo dal rientro della donna, che non potevano esser frutto di casualità o di strambe coincidenze. Troppi e troppo inverosimili erano gli elementi che deponevano a sfavore di tale tesi.
Allora il mio buon vecchio penso bene e si fece scaltro, rendendosi disponibile con il padrone - il sempre buon vecchio signor Stevens di sempre -  nel sostituirsi amabilmente alle pulizie che, solitamente spettavano  alla povera ragazza, che ormai malata, quasi moribonda, era confinata  costantemente a letto.
Pensò che quello fosse l’unico modo di rivedere in faccia la donna, la sua padrona... magari scivolando sbadatamente senza bussare nella stanza patronale... e magari di mattina... prima che questa uscisse tutta imbacuccata da capo a piedi...
Così fece una grigia mattina varcò la soglia di quella stanza, aprendo la porta con gran sbadataggine e veemenza che la signora Stevens era di spalle semivestita;  lui si scusò,  dicendosi molto rammaricato per l’incidente.
Allora si scusò nuovamente facendosi indietro per richiudersi la porta alle spalle, ma così proprio non fece, visto che spiò di sottecchi attraverso quella porta che poi tutta chiusa non era: e vide la donna che sentendosi al sicuro ormai da occhi indiscreti e giammai spiata, passare dinanzi al grande specchio ovale della stanza, alla sua destra – e a sinistra della visuale di mio nonno – come esser una giovane dimostrante trent’anni di meno  e totalmente in contrasto con il riflesso dello specchio che indicava la tremenda e vera età solo presumibile della vecchiaccia: alla vista di quel collo e di quel viso incartapecorito e grinzoso, il mio vecchio quasi svenne ma non esclamò un sussulto, anche se poco ci mancò; mantenne invece sangue freddo, com’era abituato a fare per lavoro e chiudendosi dietro la porta e anche l’ultimo spiraglio di quella funesta  visione, se ne andò che i suoi sospetti avevano trovato riscontro fondato.
Poi arrivò la tragedia, aspettata, ma comunque scioccante: visto l’età giovanissima della ragazza e per la povera madre che non riusciva a darsi pace; anche per il mio buon vecchio fu dura e per il caro signor Stevens. "Lei" invece, si affacciò per un attimo al capezzale della poveretta, guardandola dapprima da lontano,  poi avvicinandosi e toccandola con punta di mano sul letto di morte, per poi dileguarsi nel suo nero e lungo vestito, alla svelta e silenziosa com’era arrivata, e sempre tutta imbacuccata da capo a piedi.
Allora mio nonno, svoltosi il funerale drammatico della ragazza, celebrato in forma privata presso la cappella di famiglia patronale, si decise d’affrontare la questione di petto: chiese un confronto privato con la signora, e una volta incontratala in salotto, spiegò quanto  aveva da dirle manifestandogli  le sue convinzioni e rischiando licenziamento quasi certo, le disse: per me lei è causa di morte in questa casa...
Cosa vuol intendere?, chiese lei, la Stevens;
“la ragazza”, rispose mio nonno, secco.
Allora questa buttando la testa all’indietro ridendosela con fare di beffa , da sotto quel drappo nero decorato. sussurrò: sempre più giovane, sempre più bella, ancor più per anima presa... ora, ride maligna crepapelle.

 

Inquietante fu il giaciglio di morte della ragazza. Che si videro giungere al maniero, visitatori  oscuri da ogni dove, da terra e per aria, in carne ed ossa e non, che unendosi per molte e molte ore ancora, stringenti intorno alla bara della ragazza, intonarono canti e lamenti sinistri ed affannosi, che riecheggiarono funesti per tutta la notte, nella fitta nebbia della brughiera.
 
P.S. :<<  la vera bellezza risiede nell'anima >>.

Edgard Francois

Abito in Abruzzo, sulla costa ma risalendo leggermente verso l'interno. Sono fortunato perché ho una visuale sia marina che montana, diciamo così. Lleggo da sempre, sin da bambino per merito di mia madre anch'essa accanita lettrice; invece scrivo da poco da autodidatta, e per me il vero scrittore tale dev'essere. Amo Stevenson, Poe, Checov, Lovecraft e faccio torto a molti altri che dimentico, ma comunque sempre di genere; ma anche Bukowski, letteratura americana e francese, e poesia cito Rimbaud. Non sono sposato e lavoro saltuariamente. Non sono laureato. Ho il diploma di istituto tecnico industriale. Non ho mai pubblicato miei scritti.