Freddo

Freddo.
Tanto freddo.
Nelle mie ossa e ovunque, nelle pareti di gomma e nel pavimento di questa stanza.
È piccola.
Soffocante.
Soffoco.
L’aria mi entra a fatica nei polmoni, come strisciasse sulla carta vetrata.
Fa male.
Un male cane.
Avevo un cane, da bambino.
Si chiamava Rory.
L’ha investito una macchina nell’estate del ’90.
Avevo anche una macchina, ma non ero più piccolo.
Se sei piccolo non puoi avere una macchina.
La mia era una Ford.
Blu.
Mi piace il blu, è il mio colore preferito.
Il rosso invece mi fa paura.
Questa stanza è rossa, infatti ho paura.
Sto in un angolo.
Mi piacciono gli angoli.
Sono accoglienti.

Ci sono parecchi angoli qui in questa stanza.
Ce n’erano di più in quella che avevo quando abitavo con mamma e papà, però.
Abitavamo in campagna, forse è per quello che c’erano così tanti angoli.
La mia stanza aveva una finestra.
Questa ha solo una porta di ferro.
Dalla finestra della mia stanza vedevo il fienile rosso.
Mi faceva paura, non ci andavo mai.
Vedevo anche i campi di grano.
Erano gialli, d’estate.
Non mi piace il giallo.
E nemmeno l’estate.
Però mi piaceva guardare il grano.
E mi piaceva guardare mio fratello che portava la mietitrebbia.
E mi piaceva anche guardare Susan.
Susan era bella.
Bellissima.
Susan era la figlia della governante.
Io amavo Susan.
L’amavo moltissimo.
Ma lei correva.
Correva nel grano.
E dava la mano a mio fratello.
Si sdraiavano nel grano.
Lei rideva.
Quel giorno erano lì.
Così mi sono stancato di guardare.
Ho lasciato gli angoli accoglienti.
Sono entrato tremando nel rosso.
Sono uscito trionfante sul mio trono rombante.
Non c’erano angoli sulla mietitrebbia, ma era accogliente lo stesso.
Sono entrato nel giallo.
E il mondo si è tinto di rosso...

Sonia Palumbo