La chiave del Capo Spunky

Io, Bull e Snypes eravamo stati mandati a cercare la chiave persa durante l’inseguimento con gli sbirri sulla settima di Marcantonio Street.
“Pezzi di merda. Adesso ci tocca fare doppio turno”.
“Di che ti lamenti, Bull, almeno non ti sei preso una pallottola in testa come Rosho”.
“Rosho la voleva la pallottola in testa, io non ho mai desiderato di fare doppio turno il sabato”.
“Nessuno vuole una pallottola in testa, Bull, tantomeno Rosho”.
“Allora spiegami un motivo valido per cui un Messicano di 44 anni debba affacciarsi al finestrino per guardare il tramonto durante una sparatoria in autostrada”.
Non potevo certo dir loro la verità.
E’ andata così:
“Rosho, hanno cominciato a sparare, li supero per coprire il Capo Spunky”.
“Il Capo Spunky s’è calato, superali dal lato guida ed io ti copro con l’antiproiettile”.
E così feci, superai lo sbrirro conducente che sparò un colpo al vento e noi ci collocammo per bene tra la macchina del Capo Spunky e quella degli sbirri.
“Adesso spara a quello con la Cold”.
“Chi dei due ha la Cold?”.
“Quello con i baffi alla Hitler”.
Rosho rise di me ed io per poco non l’ammazzai.
“Scusa, bello, ma nessuno porta i baffi alla Hitler e riesce ad entrare in Polizia ad Hollywood rimanendo vivo abbastanza tempo per sparare al Capo Spunky”.
“Ti dico che quella ha pure la Cold Pocket e ti sparerà al culo come un fottuto nazista se non lo ammazzi”.
“Forse ha il baffo alla Chaplin ma... non ho visto nessun Chaplin sopra quella macchina”.
“Che differenza fa? Sono gli stessi baffi”.
“No, Chaplin li aveva molto più folti e lunghi”.
“Hitler, ti dico, ce li ha alla Hitler. Avrà fatto da comparsa per un film”.
“Non vedi un accidenti quando guidi”.
“100 dollari”
“Ci sto”
Ma non gli avevo mica detto di affacciarsi al finestrino, insomma.
Ora mi tocca sentirmi Bull che si lamenta della chiave.
“Dovresti farla tu da solo, la giornata piena”.
“Siamo una squadra”.
“Ma non quando si perde la chiave del Capo Spunky. In quel momento ognuno se la vede come può”.
Bull s’era avvicinato a me e aveva estratto la pistola. Tutti estraevamo la pistola quando ci incazzavamo, ma nessuno sparava mai, o quasi. Era ormai diventato un atto di intimidazione spontaneo, come quando, la gente normale, punta il dito. Noi, invece, puntavamo la pistola. Lo facevamo troppo spesso e il Capo Spunky ci aveva dato dei punti di ammonizione. Chi usciva la pistola con facilità otteneva un punto di ammonizione e a cento punti venivi sospeso. In mezza giornata il Capo Spunky aveva perso il conto ed io, Bull e Lopez avevamo ottenuto 160, 130 e 254 punti a testa. Il capo decise di portare i punti ammonizione da 100 a 10.000. Chi avrebbe ottenuto 10.000 punti ammonizione sarebbe stato sospeso. Io fui sospeso due volte in una settimana, Bull solo una volta, mentre Lopez 12 volte. Il capo dovette uscire senza scorta il venerdì per andare al Barbera’s. Rischiò il culo ma doveva farsi valere mentre noi dovevamo stare chiusi in casa fino a nuovo ordine. Lopez la pistola la usava anche per pulirsi il fottuto buco del suo merdoso culo.
“Perché non usi i bastoncini come tutti gli altri?”, gli dissi mentre mangiavamo cinese, e dopo un po’, il riso alla cantonese conteneva pezzetti di guancia e dentiera di uno stronzo di Los Angeles.
“La prossima volta imparerà ad usare i bastoncini invece della pistola”, disse Bull.
“Non c’è una prossima volta per chi si spara in bocca, Bull”.
“E’ un modo di dire”.
“Non è un modo di dire. Un modo di dire è ‘prendi il toro per le corna’ o ‘ficcatelo nel culo’”.
Bull smise di mangiare.
“Quelli sono proverbi, idiota”.
Io mi alzai dalla sedia ed estrassi la pistola:
“Non sono proverbi Bull. Un proverbio è ‘gallina vecchia fa buon brodo’ o ‘parati il tuo fottuto culo da te, che io me lo paro da me’.
Sentimmo una voce sottile:
“Ma non era “chi fa da sé fa per tre?”
Ci giriamo contemporaneamente, io e Bull, tutti e due pronti a perdere altri 30.000 punti:
“Tu pensa agli affari tuoi, spagnolo del cazzo”.
E mitragliamo di colpi Lopez che si riaccascia sul suo riso alla cantonese.
“Era vivo”.
Strizzai l’occhio: “Non lo era”.
“Ma sì, si era alzato, era ancora vivo ti dico”.
“L’ho detto in senso figurato”.
“Ah” esclama Bull, “un modo di dire”.
“No” nego io, “non era un modo di dire. ‘Dove passo io non cresce l’erba’ o ‘il buco del culo di un capo è sempre più piccolo di un suo picciotto’ sono modi di dire, ma quello Bull, era...”.
Quando, il Capo Spunky ci sospese l’ammonizione, erano quasi le 6 e noi dovettimo presentarci di corsa al Barbera’s, prendere a calci nel culo Panturro e sparare ai suoi scagnozzi. Dopo, venne la Polizia, Hitler con la Cold, Rosho spappolato e Bull che perde la chiave per guardare Rosho farsi sparare da Hitler.
“Non stava guardando il tramonto”.
“Beh, allora cosa? Stava guardando lo sbirro con i baffi alla Chaplin?”.
“Non erano alla Chaplin, ma alla Hitler”.
“Che differenza fa?”.
Uscimmo le pistole.
“Un altro punto a testa”, disse Snypes, “e con questi siamo a 4.000 in una sola ora”.
Snypes aveva preso l’incarico di prendere le ammonizioni.
Infilammo le pistole nelle mutande e continuammo a cercare la chiave del Capo Spunky che Bill aveva perso, per tutto il tragitto della Marcantonio Street di Hollywood.
“Come hai fatto”, scuoteva la testa Snypes, “come hai fatto a perderla? Una sola chiave, mica tanto, solo una fottutissima chiave. Come hai fatto a perderla, Bull?”.
“Tu avevi migliaia di capelli eppure li hai persi tutti”.
Dissi loro di smetterla: “Vi crivello di colpi?”.
“4001”.
Quelle ammonizioni mi stressavano.
Ho visto qualcosa che luccica, lì in fondo.
“Dove?”
“Vicino alla Pontiac Rossa”
“Ma sta a più di 50 metri da qui. Non sei mica una cinciallegra”.
“Gazza Ladra”, dice Snypes e poi aggiunge un’ammonizione.
“Ma non ho tirato fuori la pistola”, dico io.
“No, ma l’avresti fatto”
Ci avviciniamo al luogo, in effetti è la posizione esatta dove Bull è stato beccato alla mano che teneva la chiave del Capo Spunky.
“A proposito, come va la mano, Bull?”.
“Non è spiritoso” disse mostrandomi il dito mignolo, il solo dito che gli era rimasto.
Due passi in avanti ed ecco una voce da donna infilata in un corpo obeso da uomo.
“Vincent Castelli” dice Snypes, “non so perché ma la tua splenida voce è inconfondibile”.
“Se non fosse stato per il tuo capo avrei ancora la mia voce, stronzo”, puntò la pistola alla testa di Snypes, che ci guardò stare impalati a guardare.
Il Capo Spunky gi aveva sparato alle palle durante una partita a biliardo.
Aveva sparato sull’otto nero e sull’uno, e quelle schizzarono via colpendo i gioielli di famiglia di Vincent che perse la sua virilità.
“Cosa fate?” dice Snypes, “uscite le pistole”.
“Fossi matto, non voglio farmi ammonire un’altra volta”.
Vincent e i suoi scagnozzi hanno l’aria di un ‘ma di che cazzo parlano questi?’, ma noi sappiamo benissimo cosa stiamo barattando.
“Strappali tutti, Snypes e riniziamo da capo”.
“Il capo non crederà al fatto che non avete neanche un’ammonizione”
“Fai tu”.
“Ok, ok, annullo le ammonizioni. Adesso uscite le pistole”.
Con un fare da Gangester Hollywoodiani, quale siamo, usciamo le pistole con una tale velocità da far impallidire i tizi che ancora stavano fermi a cercare di capire qualcosa sul nostro discorso delle ammonizioni.
“Posatele”.
“Posatele voi”.
Due pistole contro due pistole. In questi momenti bisogna giocare di astuzia e logica ed è difficile, quando c’è Bull nel mezzo. Lui di solito si fa sparare, ma non lo prendono mai, neanche da distanze ravvicinate. Dice che è grazie al Santino di Maria Vergine che porta nel taschino.
“Lascia fare a me, Bull, non dire una parola su ciò che stiamo cercando”, dico, e poi mi metto a colloquiare come fossi un oratore, per cercare il modo miglire per cavarcela. In quel momento ci vuole la falsità di un avvocato, la calma di un cameriere, e l’ingegno di un agente assicurativo.
“Butta la pistola”
“No”
“Ti sparo sulle palle”
“Fottiti”
E otto dei dodici spari colpiscono i due scagnozzi di Vincent al torace e alla testa. Sette colpiscono il mio, uno colpisce il bullo di Bull. Loro fanno uscir fuori dai loro giocattoli 7 proiettili. Uno rivolto a me mi colpisce alla spalla, sei, rivolti a Bull, colpiscono la cabina telefonica.
“Si può sapere come cazzo fai, Bull?”, dico io dolorante.
“Insomma, me lo chiedi ogni volta. Mi vuoi forse morto? E’ questo che vuoi?”
Non rispondo, non so ciò che voglio effettivamente.
“E adesso liberati di Vincent Castelli, Snypes”, mi giro tenendomi la spalla.
“L’ho fatto da un pezzo”.
“L’hai già ammazzato?”.
“Cosa dovevo fare? Aspettare che voi finiste di parlare?”.
“Nei film e nei racconti di Gangster lo fanno sempre”.
Ma Vincent giaceva lì, e faceva da decimo morto in una giornata sola. Ma sapevamo che non era finita lì.
“Prendi quella cosa che luccica, Bull” dice Snypes indicando la chiave e uscendo fuori il taccuino.
“2 ammonizioni a testa”.
“Per cosa?”.
“Avete uscito fuori le pistole”.
“Ma ce l’hai detto tu”.
“Sì, ma non vi ho detto di puntarle addosso alla chiave”.
“Ma stavo indicando a Bull la posizione esatta”.
“Per quello esistono le dita”.
Poi si voltò verso Bull: “E tu perché stai puntando la chiave con la pistola?”.
“Per far luce”.
“Ma quella non è una lampadina”.
Bull esplode tre spari in terra in direzione della chiave:
“Sì” ride lui, “ma la mia Beretta non oliata fa delle scintille che illuminano un intero quartiere”.
La chiave fu portata al capo ed io uscii dalla stanza in tempo per andare a bere qualcosa da Matt.

 

“Da me?”, dice Matt.
“Quanti Matt conosco, che fanno i baristi?”, disse Glam al barista che gli versò un bicchiere di Tonic: “A volte non so neanche perché ti racconti queste storie, non conoscendoti. Per quanto mi riguarda potresti essere una spia della Mafia Russa”.
“Ma se sono Catalano”.
“E questo ti ha salvato fin’ora, caro Matt, ti ha salvato le ossa”.
Matt si versò da bere e girò il bancone sedendosi con Glam.
“Alla buona riuscita della serata”, brindò.
“Alla buona riuscita”.
“Ma... si può sapere a cosa serviva quella stramaledetta chiave?”, chiese Matt il barista, dopo aver ascoltato l’intera storia.
Glam sorrise, si guardò intorno e vide il ragazzo delle pulizie osservarli. Prese tra le mani la testa del barista e avvicinò la bocca al suo orecchio, bisbigliando.
“Adesso ho capito. Potevi dirmelo prima”, sorrise Matt che si strofinò la nuca.
“Matt, Matt!”.
Glam diede due pacche sulla spalla al barista: “Per quanto mi riguarda potresti essere una spia Russa in cerca di quella stramaledettissima chiave”, disse e poi salutò, ubriaco com’era, uscendo dalla porta.
“Ma se sono Catalano”, disse Matt.
“Ed è questo che ti ha salvato le ossa fin’ora, caro Matt”, rispose Glam entrando la testa, salutando e riuscendo dal locale.

 

Matt prese il telefono e compose il numero:
“Pronto Elena Roerich? Ah sei tu piccola, passami tua Madre”.
Chiamò il ragazzo delle pulizie ed indicò col dito la porta da cui Glam era uscito.
“Pronto Signora Roerich? Ho capito a cosa serve quella maledetta chiave”.

 

Da fuori Glam stette seduto a guardare dalla vetrina, dando da mangiare ai piccioni delle patatine fritte e del gelato.
Sorrise, Glam:
“Matt, Matt, sei Catalano e questo ti ha salvato le ossa fino ad ora”.
Si alzò e ripetè: “Fino ad ora, appunto”... e si voltò lasciandosi alle spalle l’esplosione dell’intero locale con le due spie russe dentro.

Alessandro Cascio