Gorky 97

Erano le tre-zero-zero di un freddo mattino di novembre, quando con la mia truppa ci paracadutammo a tre miglia a nord ovest di Gorky 97.
Sono Jack Morris e comando la squadra Team 19, una squadra agli ordini dei servizi segreti del Governo americano.
La missione di quel mattino era recuperare dal centro di Sperimentazione Armi Russo Gorky 97 quante più informazioni sulla nuova arma di distruzione di massa Katiusha, denominazione NATO Cassandra.
Ci paracadutammo nel punto bravo, preparammo il nostro equipaggio e ci incamminammo verso l’obiettivo mentre la neve cadeva fitta e rallentava la marcia.
Dopo circa due ore arrivammo all’obiettivo, mi posizionai sulla collina alla mia destra e impostai il cannocchiale digitale MPX alla massima risoluzione.
Quello che vedi era incredibile.
A colpirmi non fu l’immensità della struttura, le foto satellitari le avevo studiate a memoria e avevo idea delle sue mastodontiche dimensioni, compreso i tre livelli sotterranei che ora non si vedevano ma che il sistema satellitare aveva individuato e tracciato con accurata precisione. A colpirmi fu lo stato della struttura... completamente devastata!
La recinzione era divelta in più punti, gli edifici distrutti... autoveicoli carbonizzati ingombravano le strade... segni di vita nessuno.
Scesi dalla collina confuso chiedendomi cosa diamine era successo. Chiamai i ragazzi e spiegai loro la situazione, il tempo stringeva e dovevo prendere una decisione. Peter, l’esperto dei sistemi satellitari scaricò le immagini dell’ultimo rilevamento avvenuto sette ore prima di Gorky. La fabbrica era integra.
In meno di sette ore è stato distrutto tutto pensai, un attacco da parte di qualche altra forza? E se sì da chi?
Dopo una pianificazione sul posto decisi di proseguire la missione ma con la massima cautela. Entrammo nell’area che una volta era il corpo di guardia, ora era vuoto, la radio mandava scariche elettrostatiche mentre il monitor della videocamera di sorveglianza era rotto.

Entrammo con circospezione e ci dirigemmo in quello che un tempo sarebbe stato l’archivio generale dove avremmo secondo il piano originale prelevato i documenti.
Mentre avanzavo armi in pugno tra i veicoli in fiamme fui distratto da un rombo cupo che diveniva sempre più forte.
Mi girai e vidi dalla collina da cui osservai Gorky 19 spuntare un elicottero d’ attacco Russo Hind-D pesantemente armato. Diedi ordine di nasconderci dietro i veicoli mentre l’elicottero avanzava lentamente nel complesso.
Stava cercando sicuramente sopravvissuti pensai ma perché non avevano mandato una squadra di soccorso? Se era solo una rilevazione generale l’elicottero non si sarebbe mai abbassato così tanto!
Alzai lo sguardo verso il vetro dell’edificio che avevo davanti, potevo vedere benissimo il muso dell’elicottero e la sua mitragliatrice a canne rotanti. Pensai a come uscire da quella situazione quando un ombra attrasse la mia attenzione. Passò velocemente sul tetto alla mia destra. Poi nel riflesso vidi quella ombra aggredire l’elicottero.
Qualunque cosa fosse saltò sulla cabina dell’elicottero con un agilità incredibile.
La massa scura destabilizzò l’elicottero che iniziò a sbandare vistosamente, il pilota molto probabilmente stava cercando di mantenere il mastodontico velivolo in volo e scacciare via l’essere che gli era appiccicato sopra ma alla fine non ce la fece. Il ruotino di coda colpì l’edificio alla mia destra, l’elicottero a questo punto ruotò violentemente dalla parte opposta sfracellandosi sulla facciata dell’edificio. Una boato tremendo risuonò nel silenzioso complesso mentre una palla di fuoco si propagava nell’aria seguita dal crollo dell’edificio e da una nuvola di polvere, abbassai lo sguardo mentre la terra sotto i miei piedi tremava e i vetri dell’edificio di fronte a me scoppiavano in mille pezzi per lo spostamento d’aria.
Mi alzai da dietro il mio riparo e guardai il rogo e le macerie che ora ingombravano la via da cui ero entrato nel campo.
Diedi ordine di avanzare quando notai che i miei uomini erano immobili. Mi girai per ordinare loro di seguirmi quando notai anche io la cosa che li aveva impietriti.
Un’ombra usci dal rogo dell’elicottero per poi farsi più chiara mano a mano che si avvicinava.
Era un essere che non posso descrivere... sicuramente non apparteneva a nessun essere del regno animale che madre natura aveva creato. Si muoveva con le quattro zampe, aveva i muscoli possenti e ben delineati per il fatto che non possedeva pelle. Il muso era lungo con due canini enormi come la tigre dai denti a sciabola, vissuta sul nostro pianeta dopo l’estinzione dei dinosauri.
Ma cosa diavolo era? Come aveva fatto a sopravvivere all’esplosione.
Samuel, l’esperto di armi fu il primo a reagire, prese la mira col suo M-16 e gli piazzò una pallottola nel lobo oculare destro. Il cranio esplose come un palloncino colpito da uno spillo in una fontana di sangue e resti celebrali.
-Che cosa era?- mi domandò Peter, ma pure io non sapevo rispondere... era un coso, un mostro mai visto e la cosa peggiore è che non sapevo da dove saltasse fuori.
Mi schiarii le idee e pensai che dovevo concentrarmi sulla missione, prima uscivo da quel posto con le informazioni meglio era, inoltre quei mostri erano pur sempre vulnerabili alle pallottole.
Mi girai, pronto a entrare nell’edificio di fronte a me quando sentii i miei ragazzi che si bloccarono di colpo.
Un rumore strano iniziò a propagarsi nell’aria gelida della base, come se qualcosa di viscido stesse strisciando. Voltandomi rimansi pietrificato dallo sgomento e dall’orrore.
La creatura che fino a quel momento credevo morta atterrata da un proiettile di M-16 che gli aveva fatto esplodere il cranio si rialzò in piedi e la testa si ricompose come una coda di lucertola.
No mi dissi tra me e me, non era possibile, eppure ora era lì ancora viva con le vene del corpo gonfie sul corpo umido e privo di pelle.
-Correte!- urlai ai miei uomini e corremmo con uno scatto olimpionico verso l’edificio che stava di fronte a noi.
La creatura scattò sui suoi possenti muscoli e ci raggiunse subito, sentivo il suo fiato pesante, i suoi passi che erano tonfi profondi e cupi e poi sentii il suo ruggito, che mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Arrivai all’edificio, aprii la porta ed entrai. John era l’ultimo che chiudeva il gruppo e si voltò a chiudere la porta per bloccare la bestia, ma non ci riuscì. La porta su sfondata dal mostro che la staccò dal muro come un pezzo di carta scaraventando John sul duro pavimento in legno, non fece nemmeno in tempo a capire cosa gli fu successo che si ritrovò con i canini del mostro conficcati nella sua giugulare.
Urlai il suo nome in un grido di dolore ma non potevo fermarmi, correvo nei corridoi con la squadra e non sapevo nè dove mi trovavo nè dove andare.
Girai a sinistra e poi a destra e in fondo al corridoio vidi una porta blindata simile a un caveau della banca. Accelerai quando la parete alla mia destra fu letteralmente sfondata dalla bestia.
Aveva ancora fame e noi eravamo il suo cibo... il gioco del gatto col topo, del predatore e della preda... e la preda faceva sempre una brutta fine.
Ci lanciammo dietro la porta e io e Peter ci affrettammo a chiudere la pesante porta blindata. Un pesante tonfo e un sonoro click confermarono che la porta era sigillata.
Ci appoggiammo esausti alle pareti, chiusi nel nostro dolore per la perdita del caro John e confusi per quella cosa che ci dava la caccia.
Aprii gli occhi e diedi un’occhiata a dove eravamo finiti, il predatore là fuori sembrava darci una tregua e ne approfittai per riflettere.
Eravamo in una stanza grande, che un tempo doveva essere ben illuminata, ora l’unica luce funzionante faceva fatica a illuminare fiocamente l’ambiente dandole un’aria spettrale...  anche se tutto qua dentro è spettrale pensai.
Sembrava un centro di ricerche, c’erano dei tavoli con delle ampolle rovesciate, un bancone con dei computer rotti e una serie di gabbie sfondate.
-Che cosa contenevano? È perché quella porta blindata all’ingresso?- disse tra me e me.
Sul terreno erano sparsi diversi fogli e documenti, gli schedari si contavano a centinaia alcuni rovinati dal liquame rovesciato dalle ampolle e poi sangue... tanto sangue. Per il resto la stanza era vuota.
Ma dove erano finiti tutti?
Fui attratto dal bagliore di uno schermo, l’unico computer funzionate di tutta la sala.
Mi sedetti e diedi un’occhiata ai file, magari trovavo qualche risposta a ciò che era successo al centro Gorky 97.
Dopo qualche minuto di ricerca fui attratto dal file Katiusha.
Finalmente le informazioni che cercavo pensai, ma nell’aprire il file notai con orrore riga dopo riga che l’arma di distruzione di massa non era ciò che gli esperti del Pentagono pensavano.
Katiusha era un virus mutante, che agiva sulle persone ed animali. Nel vedere i diagrammi e le foto degli esperimentinotai come Katiusha era quel mostro che scorazzava nel centro.
Il virus si trasmetteva per via endovenosa e aveva effetti nelle ventiquattro ore successive.
-Mio Dio- dissi – se una sola persona viene contagiata da un virus simile in una città come New York sarebbe un disastro inimmaginabile-
Capii inoltre che mi trovavo nel luogo in cui Kathiusha era nato e il disastro che regnava là fuori era forse dovuto al fatto che l’esperimento era sfuggito di controllo, anzi sicuramente era così...
Molto probabilmente avevano cercato di evacuare l’edificio ma erano tutti morti.
Ecco spiegato l’elicottero, non cercava superstiti ma il mostro, volevano studiare la sua mutazione e il suo comportamento “sul campo”.
Era semplicemente orribile ma quello che mi sconvolse fu la parte finale del file.
Katiusha poteva riprodursi, ogni volta che mangiava, essa poteva deporre delle covate di embrioni che si sarebbero sviluppate nelle sei ore successive alla fase iniziale di autonomia, poi si sarebbero sviluppati alla fase finale entro le successive ventidue ore.
No pensai, o mio Dio no... loro erano dentro il complesso da poco meno di un’ora ma l’incidente era avvenuto circa sei ore fa e il mostro aveva mangiato in abbondanza considerando che nel complesso non c’era anima viva ma una marea di sangue.
Poi un tonfo acuto mi fece tornare alla realtà e mi tolse dai miei pensieri. La mia squadra scattò in piedi armi in pugno.
Poi un altro tonfo seguito da uno più potente.
La porta iniziò a tremare, dai cardini si staccarono dei pezzi di intonaco.
Poi dei ruggiti e di nuovo un tonfo, la porta si ammaccò, deformandosi nel centro.
Poi diverse grugniti.
Ecco dove era il bastardo pensai, era andato a chiamare rinforzi... gli embrioni che si erano schiusi.
Stavo per riflettere su una via di fuga ma era troppo tardi, la porta cedette cadendo al suolo con un pesante tonfo mentre Katiusha si riversava all’interno in centinaia di esemplari, forse migliaia.
Iniziammo ad urlare e a sparare all’impazzata ma non servì a niente.
Era la fine.

Fabio Rondino