Il mondo

Corse per qualche metro ancora, si nascose dietro ad un angolo freddo, lo stavano cercando. Ansimava vistosamente, era vecchio e cocciuto, ma la sua freddezza d’animo non sarebbe stata sufficiente quella volta, non più come lo era stata in guerra tanto tempo prima. Sentiva i loro passi sulla strada umida, in mezzo a quel intrico di palazzi nei Suburbs, sua terra natale.

 

Che caldo...

 

Ricominciò a correre dopo aver ripreso un po’ di fiato, era lento e goffo, ma continuava imperterrito nella sua fuga, doveva nascondersi. Saltò giù da un cancello dopo averlo scavalcato con estrema fatica e con una forza datagli solo dalla sua paura, vide un cassonetto, ci si buttò dentro, tanto rumore. La pioggia non era forte, almeno non abbastanza da coprire il trambusto del metallo arrugginito.

 

Cristo, fa troppo caldo qui...

 

Aspettò, secondi, minuti, tanti minuti, sbirciò fuori dal cassonetto senza preoccuparsi del forte ed amaro olezzo: doveva uscire da lì, o lo avrebbero trovato, avrebbero capito la fonte del rumore e lo avrebbero trovato.
Decise di uscire, di nuovo il rumore assordante, le sue braccia non erano in grado di sostenere il peso di quei enormi portelloni.

 

Non ce la faccio più...

 

Ancora qualche metro, sapeva esattamente dove si trovava, ma non sapeva dov’erano loro, giovani e veloci; un vicolo, vide la strada a qualche decina di metri di fronte a sè, fece per ricominciare a correre ma una mano gli strinse la spalla fino a farlo urlare mentre un’altra tentava di soffocare le grida.

 

Dio mio basta...

“Ciao, vecchio, volevi forse fuggire, ma noi non ti volevamo fare niente, vero fratelli?”
Una risata agghiacciante percorse la schiena del barbone, circondato da cinque ragazzi ubriachi e forse fatti da qualche pastiglia.
“Ragazzi, non volevo offendervi, su in fondo siamo tutti amici qui, quella bottiglia di whisky ve la rendo volentieri...”
Gli arrivò un pugno in pieno volto, sentì la cartilagine del naso spezzarsi come un bastone di fragile legno ed il caldo irritante del sangue che gli scendeva dalle narici bagnate dalla pioggia.
“Zitto, stupido... Non dovevi portarci via quello che è nostro! Ora pagherai.”
Sentì dei passi, in mezzo a quel fragore di risate si avvicinò una sesta figura, aveva una spranga in mano.

 

Le luci della sala si accesero, il cinema mi sembrava più piccolo del normale, forse era per il troppo caldo. Non avevo voglia di continuare a vedere quello splatter di violenza allo stato puro e gratuita, decisi quindi di andare a casa, o forse in un qualche pub a bere, in fondo cos’è il cinema, solo finzione.

 

Uscire da un cinema durante l’intervallo di un film non era per me tanto inconsueto, anche perché fino a quel momento i film che davano erano a dir poco orrendi e spesso ero tanto disgustato da essere costretto ad andarmene.
Il tempo di arrivare alla mia auto era poco, ma la pioggia battente, non troppo forte per fortuna, mi dava fastidio, così impiegai qualche minuto di più per raggiungere il parcheggio umido.

 

Uno sbadiglio fuoriuscì dalla mia bocca come una presenza malvagia che incute morte nelle membra del guidatore notturno, pensai fra me che era meglio sbrigarsi.
Feci per azionare lo sblocco automatico delle serrature quando sentii un sibilo, o un urlo femminile provenire da lontano, qualche decina di metri forse, direttamente da un vicolo. Fu quasi automatico in me rimettere le chiavi in tasca per andare a controllare, e incautamente non mi accorsi di sei ombre che si stagliavano dietro di me, e anche se me ne fossi accorto non ci avrei badato molto, in fondo cos’è la vita, solo finzione.

Paolo Cortese