L'incarnazione del male

Quando rientrai, la casa era sottosopra. Mobili sfasciati, piatti in frantumi sparsi sul pavimento, vetri distrutti, vestiti in disordine, buttati ovunque qua e là.
Il panico stava per cogliermi, quando udii un pianto.
"Steve!" pensai spaventato.
Erano le 22.30, Steve sarebbe dovuto essere a casa di Jessie, la baby-sitter che doveva accudirlo per quella sera; attraversai rapidamente il soggiorno, cercando di evitare i cocci di bicchieri e chissà cos'altro che ostacolavano la mia corsa. Piangeva molto forte. Era proprio il mio piccolo Steve.
"Quella maledetta Jessie... ma che diamine ha combinato?..."
Volai su per le scale ed entrai nella camera del bambino, al piano superiore.
Mi soffermai un istante... c'era qualcosa di molto strano. Sbattei le palpebre, incredulo: la stanza era perfettamente in ordine. Nulla era fuori posto, ogni cosa era intatta così come l'avevo lasciata quella mattina prima di recarmi al lavoro. Ma la luce del lampadario era più bassa, più tenue.
Steve non c'era, non era lì; uscii nel corridoio, e giunsi finalmente nella mia camera da letto.
Era seduto per terra, davanti al letto, che piangeva.
-Steve, amore del papà... cos'è successo? Stai bene?- lo presi in braccio, coccolandolo affettuosamente e riempiendolo di baci.
Lui mi guardò perplesso, per poi nascondere il viso arrossato dal pianto sotto il mio braccio.
Ero preoccupatissimo, ma lui pareva star bene, era sano e salvo.
-Amore mio, come stai? Dov'è Jessie?-
Alzò lo sguardo, mi fissò terrorizzato e poi si mise a osservare la porta che si apriva sul bagno. Singhiozzò, mentre cominciava a tremare.
Lo feci scendere, e mano nella mano arrivammo dinanzi all'uscio che il bambino continuava a guardare impietrito.
Spalancai la porta. Le gambe mi cedettero, caddi seduto sul pavimento. Steve mi lasciò la mano, e tornò davanti al letto, nascondendo la testa in mezzo alle gambe.
Avevo la bocca spalancata, il respiro troncato: Jessie era un pò dappertutto. Vedevo i suoi piedi nudi spuntare dalla vasca, ma la parte superiore del corpo era per terra, di fianco al lavello, in un lago di sangue quasi totalmente raggrumato.
I suoi occhi spalancati erano fissi su di me, vitrei.
Deglutii a fatica, sentivo il mio stomaco ribellarsi allo spettacolo che avevo davanti.
Indietreggiai di qualche centimetro, stavo per svenire. Non sentivo nulla, mi sentivo vuoto. "Non esiste, non può essere vero" mi dissi.

Mi alzai, vacillando. La testa mi girava.
Osservai Steve, che dondolava in qua e in là sulle gambe, con le mani sulle orecchie per non sentire nulla. Mi avvicinai a lui.
Una mano raggrinzita spuntò di colpo da sotto il letto, e lo afferrò alla caviglia.
Steve rimase impassibile.
Piano piano uscì il braccio, nudo, di un colore livido. In alcuni punti aveva delle macchie nere, marce.
Ero immobile, non riuscivo a muovermi.
Il braccio si fermò improvvisamente.
Smisi di respirare.
Steve si tolse le mani dalle orecchie, e mi guardò, sorridendo. Poi, con una mossa rapida, il braccio lo tirò versò di sè.
Scattai verso il mio bambino, per poterlo afferrare, ma ormai era scomparso nel buio sotto il letto.
Mi rialzai più in fretta che potei, e con tutta la forza che avevo lo sollevai di un poco; vidi un piedino di Steve, strisciare inerte, sfuggire dalla mia vista. Lasciai andare il letto, che toccò il pavimento con un tonfo sordo. Fiondai la testa sotto il letto, per vedere cosa diavolo stesse succedendo. Facevo tutto in maniera meccanica, era come se non fossi io a muovermi, ma qualcun'altro. Io ero uno spettatore esterno, che si limitava ad osservare la scena.
Non riuscivo a vedere niente, era tutto troppo buio.
Decisi allora di spostare il letto, ma fu tutto inutile. Qualcosa lo teneva ora saldamente ancorato a terra.
Urlai. Non credevo a quello che stavo vivendo, ma dovevo liberare Steve.
Respiravo affannosamente, quando sentii dei passi dietro di me.
Era Jessie, nuda.
Aveva il corpo di nuovo saldato insieme, ma una ferita nera lo tagliava in due, all'altezza della vita.
Sorrise, mentre avanzava verso di me. Camminava lentamente, in maniera incerta. Pareva un bambino che muove i primi passi.
Aveva una scritta sulla fronte, disegnata col sangue.
Lessi: "BEELZEBUB".
Un brivido di orrore mi percorse la schiena.
"Il diavolo..." pensai. "Il diavolo è in casa mia".
-Sì Ben.- gracchiò improvvisamente Jessie. La sua voce gutturale pareva provenire dal fondo di una caverna. Era sicuramente di un altro mondo.
-Il tuo caro Steve è con lui ora.- tossicchiò, ridendo.
Il cuore mi batteva a mille; la creatura che aveva le sembianze di Jessie era ormai a un paio di metri da me.
-Il tuo tenero bambino è con il Signore delle Mosche. E' stato proprio lui a volerlo qui nella tua casa.- sussurrò.
Feci per dire qualcosa, ma vidi Steve comparire da dietro di lei, con il capo chino.
Alzò lo sguardo, e i suoi occhi spenti mi gelarono il sangue. Socchiuse le labbra, e iniziò a vomitare sangue. Colava lento e viscoso sul suo mento, per poi cadere sul pavimento.
Feci per avvicinarmi a lui, ma fu proprio il mio stesso bambino a impedirmelo: iniziò a urlare con tutto il fiato che aveva in gola. Gridava contro di me. Mi tappai le orecchie, per non sentirlo.
E mi venne in mente che anche Steve poco prima lo stava facendo; anche lui forse non voleva sentire il Signore delle Mosche che lo chiamava verso le tenebre.
Beelzebub.
Jessie lo afferrò da sotto le ascelle e lo prese in braccio. Gli schioccò un bacio sulla fronte, e quello che una volta era il mio bambino smise di urlare. Si coprì il volto con le sue piccole manine.
-E' il prescelto.-
Guardai la ragazzina. Era stata lei a parlare?
-E' il messia delle tenebre.- pronunciò quella frase con la voce più roca e profonda che avessi mai sentito prima di allora.
-E' colui che governerà con il Signore delle Mosche l'oscurità. E' l'angelo caduto che avrà il dominio sul fuoco che non emana luce. Sulla vita che è morte. Sul male come nessuno qui lo conosce.-
Steve tolse le mani dal viso. Era diverso. Non era più lui neanche fisicamente. Sembrava vecchio, delle rughe solcavano la sua pelle da bambino.
Ero scioccato. Non pensavo più a nulla, la mente vuota.
Caddi ai loro piedi, esausto.
Jessie spalancò la bocca, alzando lo sguardo al cielo. Chiuse gli occhi.
Un rumore sinistro giunse alle mie orecchie. Un ronzio, ecco cos'era.
Uno sciame di mosche uscì di colpo dal corpo della ragazza, e lo avvolse, nascondendo anche quello del messia delle tenebre. Il mio bambino.
Sentivo una presenza alle mie spalle.
Beelzebub.
Emanava una tale forza che riuscivo a percepirla anche senza che la vedessi.
Vidi la sua ombra proiettata a terra. Aprì le enormi ali che gli partivano dalle spalle, e le sbattè emanando un flash di luce. Gli occhi mi si chiusero, e svenni.
Potevo sentire in lontananza una risatina maligna. E il ronzio di mosche che si allontanava, inabissandosi nelle profondità della terra.

Andrea Sartore