Randy l'imbecille

Lo chiamavano così in famiglia, Randy l’imbecille, non per fargli cosa sgradita, ma perché imbecille lui lo era davvero, e per quei due vecchi immigrati Italiani di basso ceto sociale e bassa cultura, chiamare imbecille un ritardato era cosa normale, così come lo era per i fratelli di Randy che, per non presentare il fratello alle amiche del college, lo chiudevano in soffitta con la scusa di un gioco a cui, dicevano loro, partecipavano tutti gli abitanti di Sheffield.
Il gioco valeva la candela insomma: il vincitore avrebbe vinto la pubblicazione di una poesia.
Allora Randy l’imbecille si lasciava chiudere in soffitta per partecipare al gioco de “A chi sta più zitto” indetto dalla cittadina di Sheffield per proclamare il poeta dell’anno. Il fatto che Sheffield non avesse mai avuto poeti che avessero pubblicato qualcosa, il fatto che nessuno sapeva mai niente di questo gioco quando ne faceva atto ai ragazzi che incontrava, e a cui chiedeva sempre se anche loro scrivessero poesie, passava del tutto inosservato all’occhio di Randy. Era il gioco de “A chi sta più zitto” e tutti dovevano star zitti, dovevano far finta di non sapere.
Perché Randy stava al gioco pur stando ore in silenzio e al buio? Scusate se non l’ho ancora detto, ragazzi: Randy l’imbecille era un poeta.
Scriveva appena finito di caricare il fieno la mattina per il Signor Dutes. Si sedeva nel suo piccolo sgabello di legno fatto da papà Francesco, ed iniziava:

 

Cielo dai pani di bianca farina...

 

Una sola frase! Sì, una soltanto, che non riusciva mai a finire perché passava tutto il tempo a pensare alla rima successiva, fino al momento in cui, la madre, lo chiamava per la cena.
<<Imbecille, smetti di scrivere e torna a tavola>>, gridava la madre dalla grondaia, così Randy accartocciava il suo foglio e si incamminava a mangiare la sua zuppa.
<<Hai scritto la seconda strofa della tua poesia, Imbecille, o sei ancora al pane e al cielo?>>, ridacchiava il più grande dei fratelli.
<<Trovare la giusta rima è difficile>>, affermava Randy fissandolo quieto come sempre, <<non posso scrivere se prima non mi verrà l’ispirazione, e ci vuol tempo per l’ispirazione, bisogna aspettarla. Io l’aspetto, ho tempo io, e ne ha anche il cielo>>.
Il fratello scoppiò in una grossa risata:
<<Anche i tuoi neuroni prendono tutto il tempo, Imbecille>>.
Ma uno schiaffo fece sputar fuori dallo stomaco del ragazzo, il pezzo di pane che stava ingurgitando:
<<Non parlare di nerroni a tavola mentre si mangia>>, rispose Papà Francesco ritornando alla posizione di capotavola affamato.
<<Neuroni Papà, li abbiamo studiati al college alla lezione del professor Stanley>>, si ricomponeva il ragazzo.
<<Il professore di cui parlavi con quelle ragazze mentre giocavamo a...>>, sorrise Randy che fu subito bloccato dal fratello più piccolo, che tirò un tozzo di pane e disse lui di giocare a fare il cane e di prenderlo.
<<Di cosa parlava vostro fratello?>> chiese il Padre.
<<Niente Pà, è solo Imbecille>>, rispondeva Mario, il fratello maggiore.
Allora Randy si alzava, aiutava la Madre a sparecchiare e poi chiedeva:
<<Posso tornare a scrivere, Mamma?>>, e la Madre con sguardo amorevole lo accarezzava e rispondeva di andare e di diventare un grande poeta.
“Cielo dai pani di bianca farina...”, e lì si fermava ad aspettare fissando il foglio e pensando, volando su nel cielo a sporcarsi di quella farina, e modellando quei pani per far sì che tutti gli uomini che sapessero ancora sognare vedessero le mille forme da lui create. Il giorno in cui i Marinelli andavano in città per vendere il fieno, puntualmente i fratelli di Randy portavano con sè, a casa, due ragazze dal college, così come, puntualmente, iniziava il gioco de “A chi sta più zitto”, ma stavolta con nuove regole.
<<Senti Imbecille...>> disse Mario, << ... stavolta non solo dovrai stare zitto quassù in soffitta, ma dovrai imparare a non parlare mai del gioco e di ciò che accade qui dentro. Mai e per nessun motivo, hai capito? Dovesse cascare il mondo, tu non ne parlerai mai e starai zitto... starai zitto fino a quando noi staremo su questa terra, hai capito imbecille? Solo allora il gioco potrai considerarlo terminato>>, si calmò e abbassò il tono della voce per non far accorgere alle ragazze della presenza di Randy, <<così potrai pubblicare non una, ma due volte le tue poesie>>. E così fece Randy che stette in silenzio ansioso per il nuovo premio e le nuove regole.
I fratelli Marinelli erano conosciuti in città per la loro fama da Casanova, ma si diceva che facessero giochetti strani con le ragazze, tipo “il gioco del carretto e l’asino” o “la massaia e il contadino”. Inventavano vere e proprie storie che facevano impazzire le ragazze che andavano con loro più “per la fantasia con cui si faceva sesso”, che per le loro doti effettive.
Quel giorno era il turno di Marry e Cherry, due biondine del secondo anno che erano le due ragazze incappate per caso nel “castello dei Fratelli Sbudella”.
Sì proprio così, visto che si festeggiava Halloween, avevano avuto la bella idea di addobbare la casa con catene, sangue e interiora del bue scannato il giorno prima per venderlo al mercato della carne.
Iniziò il gioco e subito, i due ragazzi, cominciarono ad impaurire le ragazze che scappavano dalle catene dei loro giustizieri. Marry si nascose nel pagliaio mentre Cherry preferì la soffitta.
Il nostro Randy sentì la scala scricchiolare e pensò che il gioco fosse finito, così aprì la porta e... Cherry: la ragazza più bella che i suoi occhi avessero mai visto. Bionda dal seno prorompente, labbra lucide e trucco leggero, pelle bianca come quei panetti di farina che ogni giorno incontrava nel cielo, ed occhi azzurri come quello stesso cielo.
<<Ciao>> disse Cherry, <<e tu chi saresti?>>.
Randy stava per dire una delle sue parole balbettanti quando si ricordò del gioco: <<Sta zitto>> ripetè a se stesso, <<è una trappola per farti perdere, probabilmente anche lei sta giocando>>.
Restò in silenzio, ma non le levò gli occhi di dosso nemmeno per un attimo, forse Randy l’imbecille si era davvero innamorato.
<<Sei muto o cosa?>> esclamò la ragazza che strappò via di mano il foglio a Randy e con un gesto di stizza lo mandò a quel paese, tornando al gioco di paura e sesso con i Fratelli Marinelli.
Randy scese le scale in silenzio cosciente di poter perdere al gioco a cui da tempo giocava, ma per la bella Cherry avrebbe corso il rischio: e poi doveva recuperare la sua poesia.
Le ragazze furono catturate dai due fratelli che si indirizzavano verso il momento finale della serata: il sacrificio. Mario strappò i vestiti delle due ragazze eccitate all’idea di essere legate sulla mototrebbia del Signor Marinelli, battezzata per quell’occasione, “macchina delle vergini”, anche se di vergine lì c’era ben poco non c’è che dire, ma era un gioco e il gioco è fatto di fantasia.
Mario si mise alla guida, mentre Jerry, vestito di un mantello nero e cosparso di sangue di bue, recitava delle finte preghiere. Randy sbirciava eccitato le due ragazze.
Mario mise in moto la macchina infernale.
<<Spegni quella roba Mario, non sai portarla>>, disse Jerry smettendo di recitare quei versi senza senso, <<spegni e continuiamo>>.
La mototrebbia cominciò a muoversi, mentre le due ragazze cominciarono a preoccuparsi.
<<Siete matti o cosa?>>, disse una di loro stanca del gioco, <<fateci scendere>>.
<<Non so fermarla, cazzo, non so fermarla!>> iniziò a gridare Mario mentre la macchina si avvicinava sempre di più alla parete del pagliaio.
Cominciarono le grida e i due ragazzi entrarono nel pallone. Mario cercava di manovrare i comandi mentre Jerry tentava invano di liberarle dai nodi. Durò tutto un istante, fino a quando Jerry inciampò su una balla di fieno e Mario si buttò dalla mototrebbia. Le grida delle due ragazze durarono un attimo e poi la figura più sconvolgente che Randy avesse mai visto: due corpi squarciati da tonnellate di ferro che finirono diritte su una parete di lamiera legno e travi d’acciaio.
Quando la polizia arrivò sul posto c’erano budella ovunque e i due ragazzi che vomitavano sulla mangiatoia per i porci.
Randy invece era seduto che scriveva, pensando al viso celestiale della sua Cherry.

 

<<Avanti imbecille, tu hai visto tutto, racconta come sono veramente andate le cose>>, implorava Mario in aula di tribunale.
<<Avvocato, chieda al suo cliente di fare silenzio>>, interruppe l’implorare il giudice.
Ma Randy sapeva che doveva stare zitto e non dire niente a nessuno, sapeva che tutti lì giocavano al gioco de “A chi sta più zitto”, e che i suoi fratelli volevano convincerlo a parlare, tutti lì volevano convincerlo a parlare, ma lui no, non avrebbe ceduto. Non avrebbe passato tutti quei giorni in silenzio, chiuso in soffitta, per poi perdere il sogno di pubblicare la sua poesia. Così stette in silenzio il giorno in cui i due fratelli furono arrostiti sulla sedia elettrica: non era stato forse il fratello, quel giorno in cui lo chiuse in soffitta per l’ennesima volta, a dir lui quelle precise parole? <<Dovesse cascare il mondo, tu non ne parlerai mai e starai zitto, starai zitto fino a quando noi staremo su questa terra, hai capito imbecille? Solo allora, il gioco, potrai considerarlo terminato>>.
Tutti in città sussurravano e Randy sapeva di essere diventato famoso, perché il gioco era finalmente terminato e la sua poesia era finalmente uscita sul giornale. Una vera pubblicazione. E tra i mille sussurri e sguardi indiscreti, un bel giornale esposto da Jaco il giornalaio:
<<Ragazzi stuprano e uccidono a sangue freddo due liceali durante un rito satanico, nella mano quasi staccata dal braccio di una delle due ragazze, certa Cherry Mc Carthy è stata trovata un'unica richiesta d’aiuto, un foglio con su scritto “CIELO DAI PANI DI BIANCA FARINA”, un aiuto al cielo, forse >>.
Già ragazzi miei, perché Randy, nonostante tutto, non aveva aggiunto parola alcuna alla sua poesia adesso pubblicata, d’altronde, come lui stesso diceva: “Ci vuol tempo per l’ispirazione, bisogna aspettarla. Io l’aspetto, ho tempo io, e ne ha anche il cielo”. E il tempo premia anche gli imbecilli, se solo hanno la pazienza di aspettare.

Alessandro Cascio