Velocemente

Corri ragazzo corri che l’uomo nero arriva.
Il ragazzo correva in mezzo ad un campo di fiori, con la speranza di andare lontano, di salvarsi.
Corri ragazzo corri che l’uomo nero si avvicina, mentre le gambe non ti reggono più e il fiato inizia a mancare. L’uomo nero se lo sarebbe preso in un campo di fiori, di giorno, ma voleva dargli ancora l’illusione di potercela fare.
Il ragazzo correva pensando che quello non era uno scherzo: si stava giocando la vita. Aveva voluto fare l’uomo duro, invece si ritrovava a scappare come un vigliacco. Lui non era un vigliacco, però aveva tanta paura, una cosa nuova per uno che era sempre stato il primo, il più coraggioso. Non si sarebbe aspettato una reazione alle sue parole e allo schiaffo che aveva dato, abituato com’era a dominare. Tutto era successo velocemente, troppo, troppo anche per uno “sveglio” come lui.
Correva il ragazzo, sudato e pieno di paura sotto un sole d’agosto che avrebbe dovuto farlo risplendere.
L’uomo nero avanzava, lentamente, mentre il ragazzo perdeva terreno in mezzo ad uno splendido campo di fiori, bello anche per un uomo nero.
Il ragazzo crede ancora di potercela fare, malgrado non sentisse più le gambe e il respiro si faceva pesante. Il mare era vicino e con un tuffo si sarebbe salvato.
Correva con tutte le sue forze, il ragazzo, correva senza voltarsi, per non guardare in faccia quella creatura venuta fuori all’improvviso e che si era preso la sua bella. La creatura, l’uomo nero, se lo sarebbe preso e gli avrebbe fatto scontare quelle parole e quello schiaffo che non aveva proprio sopportato.
Il ragazzo era scappato prendendo su quello che aveva vicino, i pantaloni e una camiciola bianca tipo picciotto. Nel fienile c’era poca luce e non aveva visto l’uomo nero entrare, però il suo grido lo aveva terrorizzato e aveva iniziato a correre per la campagna senza scarpe, tenendosi i pantaloni con la mano, senza voltarsi, per non morire di paura. Una mano sulla spalla, un grido. L’uomo nero era arrivato e lo aveva fermato.
Il ragazzo era caduto e tremava tutto, cercando il suo coltello nelle tasche, costretto a guardare quello che non avrebbe voluto. Aveva riconosciuto il viso ma la voce era diversa, completamente al di fuori di ogni suo pensiero. La paura era diventata terrore, che gli bloccava muscoli e parole, lasciando ancora un margine ai pensieri di una mente che andava sciogliendosi. Il coltello sarebbe stato inutile, come lo era ogni suo sforzo di reagire all’umiliazione che stava subendo.
L’uomo nero lo aveva fatto inginocchiare e gli aveva messo in bocca un membro enorme che cresceva, scendendo nella gola, fino allo stomaco e ancora più giù. - Allora ti piace, puttana!- diceva l’uomo nero.
Il ragazzo stava soffocando, sentiva che non ce l’avrebbe fatta, ma, purtroppo per lui, l’uomo nero non aveva ancora finito. La sua agonia sarebbe stata veloce per il tempo ma lunghissima per lui. L’uomo nero gli aveva tolto i pantaloni e l’aveva messo “a pecora”, carponi. - Che botta di culo, ragazzo! Vedrai che ti piacerà. – scherzando l’uomo nero, passandogli la mano tra le gambe.
Il ragazzo era teso, immobile, tutto sudato, con il suo membro dritto e turgido come non mai. - Allora già sei eccitato! Tranquillo, non ti farò male.- continuando a ridere. L’uomo nero aveva appoggiato il suo grandissimo membro sull’entrata inviolata del ragazzo che non voleva dargli la soddisfazione di gridare.
L’uomo nero lo aveva capito e si stava arrabbiando. - Urla puttana, urla! - Con un forte colpo l’uomo nero infilò tutto nel ragazzo che urlava disperato il suo dolore e la sua disperazione, non sapendo che pure il vento si era tappato le orecchie per non sentire. Quel membro enorme lo aveva sfondato e lo stava passando da parte a parte, arrivando ad uscire dalla bocca. Che morte! Quello non era morire da uomini: l’ultimo pensiero del ragazzo. L’uomo nero aveva finito. In mano aveva il coltello del ragazzo. Un colpo e via. Un grido, un po’ di sangue e una risata. Finalmente era tornata se stessa, aveva ripreso le sue sembianze di bellissima ragazza nordafricana. Rideva e ballava, avvolta dal caldo sole di Sicilia in mezzo a quel campo di fiori chiari in armonico contrasto con la sua carnagione scura. Ballava velocemente, al ritmo di una musica che sentiva solo lei. Tutto era passato: lo schiaffo e le parole del ragazzo erano andati, come lui del resto, ancora con gli occhi sbarrati dal terrore. Che sorpresa vedere che l’uomo nero era la sua bella! Arin aveva conquistato il suo bel ragazzo nella sua Tunisi, nella parte vecchia della città, quella ancora araba. Lo aveva fatto innamorare, lo aveva fatto godere e lo aveva seguito nella sua splendida isola. Lei era la sua conquista, il trofeo della puntata in Africa, un’altra ragazza che aveva subito il fascino, che lo aveva fatto sentire “masculo”. Lui credeva di dominarla ed era convinto di poterla trattare come aveva fatto con le sue conquiste paesane. Invece no! A lei piacevano certi modi, però non sopportava esser chiamata puttana e peggio ancora detestava gli schiaffi. Il ragazzo, dopo averla mostrata in giro se l’era portata nella casa di campagna. Tutte le sue donne erano passate per il fienile e a tutte aveva insegnato quella che considerava la cosa più bella, oltre che atto dovuto di sottomissione a lui. Nella penombra del fienile le faceva spogliare davanti a sè, a testa bassa, poi si slacciava i pantaloni, le faceva inginocchiare e glielo appoggiava sulle labbra appena aperte, infilandolo poco alla volta, poi avrebbero dovuto fare loro. Se non erano capaci allora voleva dire che lui era stato il primo cui si erano concesse fino a quel punto. Allora le faceva fermare e “le istruiva”. Arin invece era diversa, ci sapeva fare. Questo non gli piaceva. - Puttana!- E uno schiaffo che l’aveva fatta andare giù, dietro una balla. Poi il grido e la fuga nel campo, per finire morto inculato da una ragazza tunisina diventata improvvisamente uomo nero. Il sole ammirava Arin, avvolta solo dai suoi raggi, e anche il vento si era risvegliato per godere di lei, che continuava a ballare in mezzo al campo di fiori in orgasmo sfiorando il suo corpo.
Arin era padrona del suo destino e di quello altrui, libera di vivere solo per il suo piacere. Doveva ringraziare chi le aveva permesso di fare e diventare come il più terribile degli orchi, quell’uomo nero che minaccia i sonni dei bambini. Lei non aveva paura dell’uomo nero, ne era affascinata e avrebbe voluto sfidarlo, guardandolo negli occhi, proprio come non le permetteva suo padre e quello che avevano scelto per lei come marito. Invece no, le andò bene, perché la bella Arin conobbe l’uomo nero che le fece un bel regalo per ringraziarla della fantastica notte passata insieme. Una notte di luna piena, con un cielo splendente, ma nero e senza stelle. Lei stava tornando a casa, l’uomo nero vagava per le strade di una Tunisi fredda, che sembrava avesse previsto il suo arrivo. Vagava pensando alla prossima anima da prendere, comunque, senza grosse possibilità di scegliere. Invece la bella Arin gli comparve davanti all’improvviso e anche per lui fu quasi uno shock. Fermi, l’uno di fronte all’altra, incapaci di fare e di pensare. Lo aveva riconosciuto e lo guardava negli occhi, affascinata come quando era piccola. L’uomo nero era sorpreso, quasi intimorito da quella ragazza che reggeva il suo sguardo senza paura, spiazzato nel sentire la sua voce. - Ti aspetto da una vita. Voglio essere tua, adesso - Lei fece scivolare in terra il suo vestito e l’uomo nero se la prese, avvolgendola nel suo mantello. Era la prima volta che si concedeva ad un uomo ed era felice di farlo con quello dei suoi sogni.
L’uomo che veniva dalle tenebre si lasciava guidare dall’ardore di quella ragazzina che si era concessa a lui senza remore e senza chiedergli altro che possederla, in tutto e per tutto. Era sua e lo sarebbe stata per sempre, anche al di fuori del suo regno. A questo pensava una parte di sè, mentre l’altra era presa dal vortice con Arin, che sarebbe potuto continuare all’infinito. Alla fine l’uomo nero le diede una piccola parte di sè, per diventare come lui ogni volta che avrebbe voluto e che l’avrebbero fatta arrabbiare. Da quella notte l’inizio della nuova vita della ragazza, che sarebbe diventata padrona del suo destino ed avrebbe potuto disporre di quello altrui a suo piacimento, in tutto e per tutto. Lei non capì subito le sue parole ed il potere che avrebbe avuto. Iniziò a rendersene conto quando vide realizzato il suo primo desiderio: non avere più padroni.
Curiosa e leggera riuscì a vedere negli occhi del suo promesso sposo e di suo padre il piacere, il possesso, la sorpresa ed infine il terrore, provando una sensazione “privilegio” degli uomini che le era tanto piaciuta.

Davide De Felicis