Il tomo di Avoun Acisif

Il grande blu si riversò nel rosso, e nel cielo si diffuse un liquido tramonto.
La scrivania correva a più non posso per tutta la stanza, sulle sue quattro gambe era molto veloce e tutti gli oggetti che vi si trovavano sopra erano aggrappati per non cadere.
«Vieni qui, maledetta segatura incollata!» gli urlò mago Agiustut. Ma la scrivania proprio non voleva saperne. Scaraventò qualche sedia per bloccarla in un angolo, ma anche queste se la diedero a gambe e la porta le aiutò a fuggire, serrandosele subito dietro le sue ante.
«Infingarda di una porta, pure tu ti ci metti!»
«Ma padrone, cosa vuole fare?» domandò la porta con i battenti di sbieco.
«Voglio che tutto sia normale, è possibile?» urlò frastornato il poveretto.
«Ma come normale?» domandò la parete di fronte. Il suo volto era scolpito nell'incurvatura della carta da parati. «E' tutto normale, mi sembra».
«Non ho proprio voglia di parlare con i muri, mi dispiace!» esclamò molto stanco Agiustut.
Non ce la faceva più. Si sedette sulla poltrona e anche il tavolo si fermò. Tutti tirarono un momentaneo sospiro di sollievo. Il respiro del mago era pesante e la poltrona credette di fare opera buona gonfiandosi e sgonfiandosi, per aiutarlo. Ma Agiustut, esausto, si mise quasi a piangere e chiese: «Vi prego, state fermi».
«Oh! Il padrone piange!» dissero sottovoce gli uccellini sul davanzale, e anche gli alberi piegarono le loro fronde per vedere quella novità.
«E perché piange?» domandò il pioppo.
«Non so... è molto strano ultimamente» gli rispose la quercia. «Le cose cambiano. E forse anche Agiustut, dopo cinquemila anni, vuole dare una spolverata. È così stremato ultimamente che nulla gli va più bene».
«Puoi dirlo forte», confermò la scrivania, alla quale fecero eco tutti i sopramobili del camino in un unico sottaciuto accenno.
«BASTAAAA!» esplose infine il mago.
Tutti fecero silenzio, e il mago, dopo un quarto d'ora si addormentò.
Il buio scese velocemente sul possesso del mago Agiustut e la Luna sbucò da oltre le purpuree nubi: «Buona notte» gli disse.
Le stelle ammiccarono.

Quando si svegliò rinvigorito la mattina successiva, il mago era deciso a trovare quel dannato tomo che aveva messo in qualche strano posto. Non volle rivelare la sua intenzione a nessuno, perché altrimenti, figuratevi voi cosa sarebbe successo.
Cercò di fare mente locale, ma una cosa si ricordò per certo! Lo aveva nascosto in un buco da qualche parte, sul quale aveva lanciato l'incantesimo Scordarello che serviva, appunto, a far dimenticare dove fosse stato riposto quel volume. Quindi era un incantesimo che si ritorceva su di lui.
L'avesse pensato prima! Ma ora doveva darsi da fare e smottare cielo e monti per trovare quel piccolo volumetto marrone, con la polvere nei tagli della copertina di cuoio.
«Buongiorno padrone Agiustut!» lo salutò la torre con quanto conteneva. Il mago, per tutta risposta, si turò le orecchie e sorrise a destra e a manca. Poi cominciò la sua ricerca.
Spostò una sedia, ne spostò un'altra – anche se esse si fecero da parte volontariamente – e nulla. Chiese prima alla credenza di spostarsi per vedere che cosa ci fosse dietro, ma nulla solo polvere, poi fece lo stesso con la scrivania, la libreria maggiore e la libreria minore. Chiese alle librerie di enumerare tutti i volumi che contenevano, ma nulla! Di quel libro nemmeno l'ombra.
«Se ci dice cosa cerca possiamo aiutarla» gli disse il pavimento.
«Direi proprio che non è il caso» gli rispose stizzito il mago. «Posso fare da solo!»
Il pavimento scrollò le spalle, e dal momento che spalle non aveva sobbalzò tutto. Spostando ogni mobile.
«Ti prego!» gli disse il mago.
«E' proprio di cattivo umore» dissero i muri sottovoce al pavimento, il quale confermò con una piccola scrollatina.
«C'è il terremoto!» disse Agiustut seccato.
Ad un certo punto, pensando al terremoto, gli venne un'idea fantastica. Si chiese: ‘Dove nasconderei quel libro se lo dovessi sottrarre oggi ad occhi indiscreti?’
«Ci sono!» disse trionfalmente.
Il mago scese le scale che dissero: «Oh, il padrone ha fretta. Presto presto, stendetevi». Gli scalini si appiattirono facendo scivolare in tutta fretta il mago giù per tutta la torre, e giunse al piano terra – giusto davanti all'uscita – con un ruzzolone.
«Ma siete ammattite?!» domandò Agiustut furioso. «Potevo rompermi l'osso del collo!»
Gli oggetti furono tutti davvero molto tristi per aver costituito un tale pericolo. Gli si presentò, allora, un attaccapanni con appeso uno stetoscopio, una borsa medica e tanti oggettini allegri che gli chiesero: «Possiamo servire?»
«No, grazie» rispose seccamente il mago. «Non mi sono rotto niente, anche se ci sono andato vicino».
Dunque uscì dalla torre e la guardò sotto la luce del sole. Alta, imponente, in pietra nera, bellissima! Era una torre magica ovviamente, e se ne stava in piedi senza bisogno di fondamenta. L'aveva costruita in una notte ordinando alle pietre di mettersi assieme.
Erano belli i tempi in cui quella magia gli serviva per fare cose utili e non c'era nulla di esagerato in tutta la sua vita.
Ma ora non se ne poteva davvero più! Sarebbe dovuto cambiare proprio tutto!
«Torre!» chiamò il mago.
La torre gli si piegò incontro e gli chiese: «Sì padrone?»
«Dovresti spostarti almeno di trenta metri più in là, verso il bosco, per favore».
La torre non oppose alcuna resistenza e passo dopo passo, con un rumore come se stesse crollando, si spostò di quanto richiestole. E sotto la torre, come aveva pensato, c'era quello che cercava.
Era lì, in una buca. Protetto da un panno umido di stoffa.
Lo prese e tolse la stoffa. La copertina di cuoio marrone, bella e aggraziata, semplice, gli rivelò il titolo: ‘Avoun Acisif’.
Finalmente l'aveva trovato.

 

Un bisbiglio corse ovunque, tra i muri della torre e tra tutti i mobili in essa contenuti, gli alberi si trasmisero la notizia di foglia in foglia e gli uccelli in volo si fermarono a guardare in giù. Le nuvole fecero largo al sole che volle osservare meglio, e anch'esso disse: «Sì, è veramente così. L'ha trovato!»
Il mago ne accarezzò la copertina, e lo aprì. Si concentrò, inspirò e lesse: «Che tutto si trasformi e che tutto si fermi, il qui diventi lì e il lì diventi qui. Avoun Acisif. Avoun Acisif. Ais isoc ehc!»
E tutto si fermò. «Torre torna al tuo posto!» le ordinò con voce imperiosa. Ma nulla accadde!
«Torre, obbedisci. Torna dove eri prima». Niente, solo il canto normale degli uccelli e il fruscio del vento tra le foglie.
«Stupido d'un mago,» si disse. «Prima di cambiare tutto avrei dovuto far tornare la torre al suo posto». Ma il mago scrollò le spalle e se ne tornò a riposare.

Fabrizio Valenza