Una scena sensazionale

Nulla gli importava se non trovare cibo a sufficienza per la sua famiglia. La scorta invernale si stava esaurendo, e le prede stavano diventando sempre più difficili da cacciare.
“Stanno diventando furbe” - pensò con un ghigno - “ma la furbizia non può competere con l’intelligenza”. Nonostante questa sua rassicurazione personale, i morsi della fame si fecero sentire prepotentemente mentre varcava le soglie della foresta di Deadland.
Gli vennero i brividi. La foresta si componeva di uno strano miscuglio di alberi, fiori, erbe e frutti avvelenati; l’aria era pestilenziale e molte delle aree all’interno della foresta formavano strani vortici di melma che avrebbero inghiottito anche un orco.
La foresta di Deadland poteva contare un’impressionante varietà di odori putrescenti che le conferivano un aspetto ancora più sinistro e a nulla serviva pensare che molti degli esseri che cacciava avevano fatto della foresta il proprio rifugio, perché quasi nessuno osava sfidare i vortici melmosi o avventurarsi fin lì nella caccia.
Gli occhi divennero due fessure mentre varcava la soglia della foresta e si addentrava tra alberi marciti e frutti ricoperti di vermi. Non aveva idea di quanto tempo avrebbe impiegato a rifornire le scorte alimentari, ma aveva la sensazione che non ci sarebbe voluta l’intera notte per scoprirlo.

Godran ne approfittò per guardarsi intorno mentre si dirigeva verso una piccola radura dove, un tempo, avrebbe trovato riparo dagli improvvisi temporali della zona, sotto le fronde di alberi rigogliosi.
Ora, quella stessa radura, non aveva altro che qualche ciuffo di erba ingiallita e piena di liquido purulento, l’aria odorava di marcio e di ferro, come se fosse scorso molto sangue e non fosse ancora del tutto scomparso l’odore della morte.
Ad un tratto, nel suo campo visivo, veloce come un fulmine, comparve qualcosa di indefinibile che scomparve con la stessa velocità con la quale era apparso.
Godran pensò perfino di esserselo immaginato, ma poi capì che non soltanto le sue prede avevano deciso di abitare la foresta, ma anche altre creature, nonostante la consapevolezza che non avrebbero potuto trovare cibo per molto tempo.
“O mangiare, o essere mangiati” - pensò Godran, dilatando la mente sino ad affinare tutti i sensi.
Gli parve di sentire dei gemiti provenire da poco lontano, ma erano soffocati, e non era certo che si trattasse proprio di quello; tuttavia era meglio dare un’occhiata.
Si avviò da quella parte e ad ogni passo i gemiti continuavano... sembrava ci fossero più prede nello stesso posto... intente a zittire i gemiti, come se sapessero che avrebbero attirato l’attenzione di qualche mostro.
Alla fine li vide: una madre con un neonato fra le braccia.
Il piccolo piangeva con insistenza, forse alla ricerca di un po’ di latte, ma la madre non sembrava disposta ad accontentarlo. Sedeva sciatta contro un albero e parecchio sangue formava una pozza tra le gambe.
Sembrava esausta, ed era scossa da brividi intensi, come in preda a febbre altissima.
Il neonato piangeva e la madre, preoccupata, tentava di calmarlo. Più il neonato piangeva, più la madre sembrava disperata. Anche il piccolo era avvolto dal sangue, così Godran capì che una delle sue prede aveva appena dato vita ad un cucciolo di uomo, e mentre si leccava le labbra, il suo stomaco prese a brontolare più forte e più minaccioso di prima.
Gli occhi da rossi divennero di brace, i muscoli si prepararono al balzo per poter godere del lauto pasto, la bava cominciò a colargli dalla bocca mentre pregustava con il pensiero la carne fresca...
In un momento si ritrovò in bocca li arti inferiori della donna che, appena percepito il pericolo, già stava per morire dissanguata. Godran non provò neanche ad azzannarla alla gola, non gli importava che urlasse, lui voleva qualcosa di succulento come il piccolo bocconcino che la donna teneva ancora fra le braccia.
Lo addentò e con furia cominciò a sbattere la testa da una parte e dall’altra, per staccare il cucciolo di uomo dalla donna. Sentiva in bocca il sapore della carne e coglieva ogni attimo per assaporare il sangue che colava dal boccone.
Recise, con un colpo secco, in un secondo, quello che doveva essere il cordone ombelicale della sua preda, che ancora la teneva legata al piccolo e rivoltante cumulo di sangue e ossa e carne del suo piccolo.
Inghiottì con quanta più fetta possibile il resto del neonato, compresa la testa, affondando i denti e soffocando gemiti di soddisfazione.
Alzò di scatto lo sguardo e annusò l’aria... oltre all’odore del sangue percepiva anche un altro odore, odore di altre prede che si avvicinavano fameliche...
Decise di lasciare la donna, dissanguata, lì dov’era e di non portarla con sé. Ora che era sazio avrebbe provveduto a portare la scorta per la sua famiglia attraversando l’unico sentiero visibile della foresta e che portava direttamente alla terra di Zarghur. Da quel momento sarebbe stato libero di cacciare altre prede senza fastidiose interruzioni.
Si allontanò adagio, con un sorriso soddisfatto, colando un po’ di sangue, verso Zarghur, consapevole che dietro i suoi passi lasciava altri terribili esseri ad occuparsi, interamente, della donna.

 

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“Basta così” - gridò il regista al megafono - “era una scena perfetta... Perfetta!!! Fate una pausa di 15 minuti, dopodichè faremo le altre riprese. Per ora, grazie a tutti”.
Il sospiro di sollievo si levò unanime, finalmente un po’ di riposo.
La donna accasciata vicino all’albero si alzò e sorridendo andò verso il suo caravan per rinfrescarsi il trucco e mangiare qualcosa.
Il resto del cast avvicinò Jordan e, con grandi pacche sulle spalle, espressero il loro entusiasmo per la scena appena girata.
“Sei stato grande!” - “Congratulazioni Jordan” - “E tutto quel sangue? Sembrava vero...” - “Sì, a me sono venuti davvero i brividi quando ho visto come ti mangiavi il piccolo Paul”.
Complimenti continuarono a sprecarsi fino a che Jordan, esausto, raggiunse il suo camper e vi salì per riposare. Non aveva mai fatto niente del genere davanti a un così grande numero di persone, e l’emozione di quel momento lo riempì di puro spirito adrenalinico...
“Ora devo riposare, tra 15 minuti si torna a girare” - pensò mentre si guardava allo specchio e si ripuliva il viso dal trucco e dal sangue.
Dal set giunsero voci concitate, sentiva le urla di una donna e pensava che fosse ancora Shirley in preda ad uno dei suoi attacchi di panico dopo una ripresa particolarmente emozionante.
Tempo qualche minuto sentì bussare con veemenza alla porta del suo camper e aprì, trovandosi di fronte il regista, Calloway.
“Jordan, abbiamo un problema, e anche grosso. Sembra non ci sia traccia di Paul, hai visto per caso se qualcuno può essersi avvicinato a lui sul set, dopo le riprese?”
“Non ne ho idea, Cal. Appena hai dato lo stop, io mi sono diretto qui e c’era tanta gente intorno che si complimentava... non saprei davvero”.
“Ne sei sicuro, Jordan? Ecco... il bambino non può essersene andato da solo, è un neonato, per la miseria!”
“Pensi forse che me lo sia mangiato sul serio?”
“Sciocchezze. Dobbiamo trovarlo, ti unisci alle ricerche?”
“Tra un istante, Cal. Finisco di struccarmi e arrivo”.
Con un cenno della testa, i due uomini si salutarono e Jordan rientrò nel camper.
Si avvicinò di nuovo allo specchio e si tolse il cerone da scena, dopodichè si sciacquò la bocca dal sangue che aveva bevuto e digerì la cena.
Sorrise, unendosi al resto della troupe, come se nulla fosse.

Enrica Rizzi