La bestia che gridò amore nel cuore del mondo

Brutta notte quella, molto brutta. Era in notti come quella che la gente del paese si teneva lontana dalla montagna, che si barricava in casa, che gli uomini si armavano di fucile e vegliavano sulla famiglia. La storia si ripeteva ogni mese, quando il disco lunare brillava alto nel cielo.
“Attento alla montagna, non avvicinartici mai!” raccomandavano i vecchi del paese, ”non uscire per nessun motivo domani, c’è luna piena!”
Cosa ci fosse di realmente spaventoso nessuno sembrava saperlo, poiché nessuno aveva mai avuto l’ardire di avvicinarsi alla misteriosa montagna, eppure, da essa, nelle notti di luna,  il vento portava urla angoscianti, alcune delle quali non sembravano neppure giungere da bocche umane, tanto erano bestiali.
Le donne si facevano il segno della croce e pregavano Sant’Antonio di preservarle dall’orrore che si nascondeva ai loro occhi.
Questa era la mentalità retrograda e bigotta di Gressoney Saint Jean, Val d’Aosta, nel 1963.

Ma andiamo a vedere il motivo di tanto orrore, addentriamoci sulla montagna.
Incontriamo un bellissimo paesaggio rischiarato dalla tenue luce lunare, un fiumicello, boschi...
Saliamo ancora sulla montagna e lo troviamo, imponente e inquietante. E’ un carcere...
Da dentro sentiamo urla animalesche, disumane. Forse le paure della gente giù in paese non sono del tutto infondate...
Si respira un’aria strana qui intorno, pesante. L’atmosfera è magnificamente inquietante.
Ci accorgiamo subito che c’è qualcosa che non va, e non è solo per le grida sovrumane che provengono dalle finestre sbarrate. Ci sono i fari accesi, guardie tutt’intorno, una jeep sta perlustrando la zona.
<<Dov’è andata?>> dice uno imprecando sommessamente contro Dio.
<<Non possiamo permetterci che si allontani. Ci manca solo che una di quelle belve arrivi giù in paese e possiamo considerarci finiti.>>
Dentro al carcere la situazione non è migliore. Uomini e donne che ululano, gridano come in preda a un atroce evento che solo la luna ha deciso. Alcuni sono accasciati per terra e tremano.
Una guardia sta camminando nervosamente nel corridoio.
<<Non bastava il casino che dobbiamo sopportare ogni mese>> diceva tra sé e sé. <<Ci mancava anche questa!>>
Dentro una cella un uomo sbraita alla finestra, rivolto alla luna contorcendosi in spasmi micidiali,  sfidando le capacità contorsionistiche del corpo umano. Avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene allo sventurato spettatore, ma ormai le guardie che vivevano lì notte e giorno erano abituate a simili spettacoli. A volte perfino si divertivano a deridere quei poveretti dannati dalla luna e tanto vorrebbe riuscire a fare l’uomo che sta passando. Ma questa non è la notte giusta. C’è un evaso a cui pensare.
<<Sta’ zitto tu!!>> grida alla semi bestia, sbattendo forte il manganello sull’inferriata della cella. Per tutta risposta questi si volta di scatto e fissa l’uomo in volto facendogli gelare il sangue nelle vene.
Quel mostro ha gli occhi di un pallore mostruoso, incredibilmente gelidi. E vuoti.
Si volta e torna a ululare alla fredda luna.
“Non mi ci abituerò mai...” pensa la guardia. “Altro che stare qui giorno e notte, non mi abituerò mai a queste cose...”
E le ricerche proseguono.

 

La ragazza che corre la chiameremo Lillie. Non che sia poi così importante il suo nome, almeno per adesso. L’importante è che Lillie corre, corre veloce nel bosco notturno mentre la pallida luce lunare risalta fioca sulle foglie degli alberi.
Indossa solo una vestaglia leggera, nient’altro.
“Non ci torno là”
E corre. Corre veloce, senza pensare. Il suo viso è un'espressione di ansia, paura ma anche felicità. Quell’accenno di libertà che non ha ancora avuto il piacere di gustare.
“Non ci torno là! Io sono libera!”
Man mano che scende a valle il bosco si dirada e le grida disumane provenienti dal carcere si attenuano.
“Io sono libera! Come allora scappai da lui, io sono di nuovo libera!”
Il paese è poco distante, avrebbe trovato rifugio.
Ansima. Ansima forte.
“Vado nel paese, lì mi accoglieranno!”
Ma avrebbero molto da sospettare di una ragazza che arriva in paese seminuda in piena notte. Forse non le conviene... Non conviene niente. Solo morire può esserle conveniente.
“Sì, la morte... non voglio più stare sotto quell’uomo, non voglio più stare sotto nessuno!!”
Presto la troveranno, lo sa... come l’avevano trovata l’altra volta, sarebbe stato di nuovo così.
“Voglio andare via da tutto!!”
<<E dove?>> le risponde la luna.
Lillie si ferma. Alza gli occhi e la luna è immobile, al suo posto, candida e inquietante come sempre.
<<Lasciami andare, Luna!”
<<Ma dove vuoi andare?>> le risponde.
Non può continuare. Si accascia sul prato umido.
Ansima ancora, più forte.
Si accorge di avere un caldo incredibile, nonostante siamo nella gelida notte di novembre.
<<Ma dove vuoi andare... Se ancora non conosci la differenza tra Dio... e me.>>
La luna adesso ha un volto, è quello di un... non lo sappiamo. E’ una maschera bianca di compassione e fredda brutalità. Il caldo e l’affanno aumentano. Si toglie la veste di dosso e inizia a boccheggiare.
<<Non farmi questo!! Luna! Non...>>
Uno spasmo che le contrae tutto il corpo.
<<Ti prego, lasciami andare! Non voglio che mi trovino!! Non voglio tornare dentro!!>>
Ma la luna altro non è che un disco pallido, silenzioso.
I cani in lontananza. Stanno arrivando. Vengono a prenderla per riportarla in quell’inferno.
<<Sono stata SUCCUBE di un uomo per troppo tempo!! Non voglio tornare! Là c’è lui che mi aspetta!!”
Altri spasmi. Sta sudando. E’ la bestia che sta uscendo.
La schiena inizia a squarciarsi in un dolore atroce mentre un ennesimo spasmo micidiale la fa piegare su se stessa.
Le sente che armeggiano per uscire dalla sua schiena, un tempo splendenti, adesso un grumo enorme di sangue.
Non le interessa più che la trovino, non le interessa più niente... vuole solo che quel dolore atroce finisca.
Per la prima volta si trova a pregare Dio che la salvi da questa dannazione. Lei, la ribelle, lei che prega Dio! Ma né da Dio né dalla pallida luna ottiene risposta.
Caldo insopportabile, fuoco.
Spasmi micidiali.
Contrazioni.
Escono. Escono dalla sua schiena, si innalzano maestose al cielo.
Paura.
Terrore.
Dolore.
Svenimento.
Morte.

 

Luci. Vediamo delle luci che si avvicinano. Sono delle torce. Riconosciamo tre uomini, indossano le uniformi delle guardie carcerarie.
<<Ecco, forse ci siamo!>> dice uno.
Le torce illuminano qualcosa per terra.
<<E’ lei... l’abbiamo trovata di nuovo>>
<<Mmmh... anche stavolta è andata...>>
Vediamo per terra uno scheletro bruciacchiato, ancora fumante. La mandibola aperta e le orbite vuote... E le ali, ali aperte, angeliche che fanno contrasto con l’orrore richiamato da quel cadavere.
Uno dei tre scuote la testa.
<<Lo sai, bella, che non puoi scappare. La luna sa sempre dove sei.>>
<<Anche l’altra volta la trovammo in queste condizioni>> dice un altro.
<<Sono passati millenni...>>
Le tira leggermente un’ala e questa si stacca dal corpo scheletrico per rimanergli in mano. Si scompone,  perdendo tutta quella celestialità che aveva.
<<Potevi essere un angelo, Lilith, ma hai rifiutato il ruolo che ti era stato affidato>>.
Se ne andarono lasciando lì il cadavere, ben sapendo che sarebbe tornato al carcere chiamato Eden.
La luna ghignava beffarda nel suo quieto pallore.

Amon