Functio laesa

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Sotto un pallido spicchio di luna, l'odore della notte invade l'aria come un lupo secolare. Io lo seguo fino al portone di casa e, tra uno sbuffo e uno sbadiglio, m'infilo al suo interno. Affronto le scale come l'ultima barriera interposta tra mia moglie e il turno di notte, apro la porta, calpesto il parquet, ma qualcosa tramuta l'attesa in un'esitazione profonda.
Si tratta di gemiti, dalla stanza da letto.
La paura scioglie le catene, serpeggia libera, s'incunea tra gli spazi fino a spiare la scena attraverso il pertugio della porta socchiusa.
Lei è lì, ansante sotto un corpo che, per mancanza di fantasia e forse anche di voglia, ripete i movimenti che da anni eseguo con metodicità.
Barcollo fino al bagno, vomito nel lavandino immacolato, libero il portasciugamani e lo porto con me. Di lì a poco spalanco la porta, sferro un colpo netto, osservo la testa di lui aprirsi come un uovo à la coque e il volto di lei imbrattarsi di sangue e cervello, e... mi sveglio.

Metto a fuoco, il tempo per rendermi conto di aver avuto un incubo. Scatto in piedi, passo il badge sul rilevatore elettronico e mi tuffo nel buio. Corro attraverso la notte, l'odore acre, l'uscio, le scale e la porta di casa. Sul parquet mi muovo come un funambolo, fino a sentire incudine e martello vibrare al ritmo di alcuni gemiti. Vado in bagno, libero il portasciugamani, spalanco la porta, sferro un colpo e osservo mia moglie, da sola sul letto. Mi getto sulla sua fronte arrossata, calda e turgida. Penso ai circuiti del dolore interrotti, e alla perdita di ogni funzione vitale.
Ma come potevo evitarlo? I sospetti erano legittimi, e dannatamente fondati. E poi non è colpa mia se si stava lamentando. Ha sempre avuto il sonno agitato, lei...

Marco Di Tola