La vasca

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2004 - edizione 3

Girò la chiave nella toppa ed entrò in casa.
Dov’era Anna? Dieci anni. E mai una sera senza baci sulla porta.
La cucina era vuota e silenziosa. Chiamò ancora la moglie, forse era scesa a comprare la cena.
Cercò un post-it attaccato al frigo, non c’era.
La casa senza figli è una casa troppo silente, pensò. Era il suo tarlo. Sono sterile, ho un tumore.
Ci deve essere un motivo. In dieci anni, mai una gravidanza, si diceva sempre con maggior tormento.
Svitò la moka e la riempì d’acqua fino alla valvola.
Da tempo pensava al suicidio. Poi il pensiero della moglie lo calmava.
C’era lei, sorridente, premurosa.
Pronta a dirgli dopo ogni test “Non temere, Dio ci darà questa gioia”.

Era bella sua moglie. L’amava, resisteva per lei.
Riempì il misurino di caffè. I pensieri neri gli appannarono la vista e girandosi rovesciò il barattolo sul pavimento. Un esercito di formichine nere, si disse. Era solo caffè.
Smadonnò e andò a prendere l’aspirapolvere.
Azionò l’elettrodomestico.
Qualcosa ostruiva il sacchetto.
Sentì un rumore interno.
Materia che inceppava il meccanismo.
Anna ci tirava su qualsiasi cosa, sorrise.
Smontò il sacchetto.
Sembrò a posto.
Al tatto sentì qualcosa di solido.
Forse un kleenex appallottolato.
No.
Non era solido.
Infilò un dito nel sacchetto scuotendolo verso il basso.
Sentì umido. Una cosa appiccicosa gli colò per la mano.
Era molle.
La tirò fuori.
Nella mano apparve una pallina di sangue, polvere e pelucchi.
Un topino morto. Anna aveva tirato su nel sacchetto un animaletto morto.
Incredibile.
Poi capì e la mano col feto iniziò a tremare con orrore.
L’acqua colava dal bordo della vasca.
Fermo sulla porta, di Anna, vedeva il braccio bianco sfiorare le piastrelle.

Angelo Di Sarno