La fotografia

E' possibile innamorarsi di una fotografia? In realtà succede a tutti di invaghirsi di persone viste solo in fotografia. Ma di solito sono attori, attrici o modelle.
Lui, invece, si era proprio innamorato di una persona comune. E l'aveva vista solo in quella foto. Sembra stupido, a dirlo così. Una cosa da adolescenti. E dire che aveva ormai superato i quaranta. Eppure, appena aveva posato gli occhi sul volto di lei, qualcosa gli era scattato dentro. Da inguaribile romantico qual era, aveva sempre creduto nella teoria dell'anima gemella, dell'altra metà della mela, cose che per i più erano, al massimo, curiose favole per bambini ingenui. Ma lui non era certo ingenuo. Non poteva dire di non aver vissuto. Dall'infanzia in miseria, con sua madre che si arrabattava come poteva per farlo studiare, alle difficoltà con i coetanei, sia per il suo carattere timido e riservato che per l'evidente differenza esteriore, che lo emarginava dagli altri ragazzi, tutti di famiglie benestanti e vestiti alla moda. Aveva dovuto sudare per uscire dalla miseria. Dal ghetto invisibile che ti cuciono addosso.
Adesso poteva dirsi arrivato. Era un professionista affermato, scrupoloso e stimato, e il suo lavoro gli rendeva parecchio, soprattutto da quando aveva deciso di mettersi in proprio.
Ecco perché non riusciva a spiegarsi questo rigurgito di romanticismo in un animo come il suo, indurito dalle cicatrici della vita.
Alla fine aveva dovuto arrendersi all'evidenza. Si era innamorato di quella ragazza. Non era solo la sua bellezza che lo aveva colpito. Anzi, a dire il vero non era particolarmente bella. Era quello che provava guardandola. Come se l'avesse riconosciuta. Come se la sua vita, finora, fosse stata solo una lunga attesa di questo incontro magico. Intravedeva nei suoi occhi profondità che aveva smesso da tempo di cercare nella vita normale, negli incontri casuali di tutti i giorni. Ne era sicuro. Si era trovato di fronte alla sua anima gemella.

Ne ebbe ulteriori conferme quando riuscì a rintracciarla e iniziò a seguirla, tutti i giorni. Scoprì che Karen, così si chiamava, aveva molte cose in comune con lui. Amava leggere - la vedeva spesso in un parco, seduta su una panchina, immersa in un libro -, andare al cinema o a teatro. Sempre senza suo marito. Eh, sì, perché era sposata. Come del resto lo era lui. Si era sposato, come spesso diceva tra sé e sé, per inerzia. Dopo un lungo fidanzamento, con una brava ragazza, che non gli rendeva la vita difficile e non lo assillava. Forse era stato così anche per Karen, perché usciva troppo spesso da sola. Sembrava non condividere nulla col marito.
In poco tempo riuscì a sapere tutto di lei. Usciva di casa alle 7.10, prendeva la metropolitana e arrivava in ufficio alle 7.50. Lavorava come "editor" in una casa editrice. A pranzo, di solito verso le 12.45, usciva con una collega, quasi sempre nello stesso bar, dove ormai la conoscevano tutti. Alle 13.30 rientrava in ufficio. Di solito finiva di lavorare alle 17, poi si fermava in qualche negozio o in una libreria, a volte andava fino al parco e si fermava lì a leggere un paio d'ore. Adesso stava leggendo una raccolta di racconti di Carver. Ormai sapeva tutto di lei. Il suo colore preferito doveva essere il nero. Era vestita molto spesso di nero. O forse perché sapeva che le stava bene. Le piacevano il gelato al cioccolato, la pizza, la cucina indiana, gli animali. Eppure non aveva un animale che le facesse compagnia. Si accontentava di accarezzare i cani o i gatti che passavano vicino a lei nel parco. Le avrebbe regalato lui un cane, che le facesse compagnia tutto il giorno.
Brutto segno. Stava iniziando a fantasticare. Pensava di essere troppo vecchio, ormai, per fantasticare su una persona a cui non aveva nemmeno rivolto la parola. Ma in fondo non c'era nulla di male. Era tutto solo nella sua immaginazione, per ora. Però avrebbe desiderato che si avverasse. Era sempre più convinto che il suo istinto non lo aveva tradito e che quella era la donna ideale per lui, la donna che avrebbe potuto farlo felice.

 

Aveva deciso. I tempi erano maturi. Ormai doveva trovare solo il momento e il posto giusto per avvicinarla. Solo a pensarci provava una fitta allo stomaco e il suo cuore palpitava impazzito, come non gli capitava da molti anni.
Accadde una sera. Lei era seduta su una panchina, in un angolo del parco che i fitti alberi isolavano dalla strada. Sentiva le gambe tremare mentre le si avvicinava. Quando lei lo vide arrivare, sorrise. Sorrise davvero. Non era una sua impressione. Allora aveva ragione lui. Anche lei lo aveva riconosciuto. Anche lei aveva visto in lui, con una semplice occhiata, quello che aveva sempre cercato.
Non si accorse di nulla. Il proiettile la colpì dritta al cuore. In pochi istanti era priva di coscienza. Pochi minuti dopo giaceva riversa sulla panchina.
L'uomo svitò il silenziatore e ripose la pistola nella tasca del cappotto.

 

In piedi sul molo, il vento che gli scompigliava i capelli, stava guardando per l'ultima volta la fotografia. Nelle favole avrebbero vissuto per sempre felici. Ma lui era un professionista, non poteva rifiutare l'incarico per cui il marito di Karen lo aveva pagato. Per cosa, poi? Per un ridicolo sogno adolescenziale?
Si tolse dalla tasca un accendino e diede fuoco alla fotografia.
Ho fatto la cosa giusta. Si disse mentre solo un angolino di carta bianco restava tra le sue dita.
Sì, ho fatto la cosa giusta.
Ripeteva tra sé, mentre un vuoto, dentro di lui, in profondità, stava crescendo.
Intorno, i gabbiani volavano alti, spaventati dalla sua immobilità.

Pierluigi Porazzi