Serenità

Vagava solitario per le strade, perso nella notte gelida e nei suoi pensieri che turbinavano taglienti come le fredde folate di vento provenienti dall'altopiano a nord della città.
Non era solito uscire così tardi la sera, ma negli ultimi tempi stava cambiando radicalmente le sue abitudini; a causa di varie vicissitudini che gli erano cascate addosso come un'improvvisa valanga, come un treno merci lanciato alla massima velocità, stava venendo risucchiato in un insano vortice, una paranoica follia che lo spingeva verso direzioni ignote e casuali. Il suo lavoro andava male, la sua vita sentimentale andava peggio, per non parlare della carriera di musicista che dava sempre maggiori frustrazioni; e dato che il destino, o chi ne fa le veci, non sembrava ancora soddisfatto, era morto pure il piccolo topolino bianco che per anni gli aveva tenuto compagnia coi suoi modi di fare incomprensibili, ma divertentissimi. E non ce la faceva più a resistere.
Da tanto tempo ormai era alla ricerca di quella cosa che chiamano serenità. La cercava dappertutto: in un buon libro, nel giro armonico di qualche brano, girovagando senza meta per i quartieri degradati della sua città, assumendo psicofarmaci e antidepressivi, cambiando interessi e compagnie quasi ogni settimana, facendo scritte dissacranti nei confronti del sistema sui muri di casa, in bagno, in cucina e perfino in camera da letto.
Ma niente di tutto questo riusciva a tenerlo tranquillo per più di qualche ora. La sua mente era distratta da mille pensieri, il suo corpo sempre più teso e affaticato da un groviglio di tensioni estenuanti; ormai era lo stress a farla da padrone nella sua vita. Stava impazzendo, e il lato più tragico di questa già troppo tragica situazione era che se ne rendeva pienamente conto; per certi versi ne era attirato come da una calamita, quasi affascinato dalla perversione di questa pazzia che lo pervadeva.
Quella notte era uscito di casa in preda a un'angosciante frenesia, col cuore che stantuffava all'impazzata; i battiti rimbombavano martellanti su fino alla testa, in un complesso contrappunto aritmico e pulsante. In mente solo un obbiettivo chiaro, preciso: trovare finalmente la serenità alla quale anelava oramai da troppo tempo.
Il suo aspetto trasandato non doveva essere dei più rassicuranti: una maglietta strappata, logora e scolorita dal sudore, jeans sdruciti e macchiati di vernice spray, fango e chissà quali altre sostanze organiche, scarpe da tennis scollate, consumate, bucate e, ad un esame olfattivo neanche troppo accurato, anche terribilmente fetide.
Una nota positiva? Il suo vestiario era perfettamente intonato all'ambiente suburbano in cui si trovava in quel momento: alla scarsa luce dei pochi lampioni scampati chissà come alle sassate dei vandali di periferia si intravedevano figure di vagabondi e barboni, poveri pezzenti, ubriachi o drogati, che avevano fatto di quegli angoli di strade e marciapiedi la loro casa, per tetto una scatola di cartone se si era fortunati, vestiti di stracci, loro stessi come unica compagnia.
Già si vedeva parte anch'egli di quel mondo oscuro, abbandonato e solitario. Era solo questione di tempo. Questi uomini, ormai solo parvenze di persone, lontane somiglianze di esseri umani un tempo presenti e rispettabili, non erano riusciti a trovare la serenità, e forse la stessa sorte era riservata anche a lui. Questione di tempo. Solo questione di tempo.
Si accingeva a svoltare l'angolo, con lo sguardo perso nell'infinito vuoto delimitato dalle sue falcate irregolari, quando si scontrò con una donna. Da principio la sua apatia gli impedì di alzare gli occhi. Non ne aveva la forza di volontà necessaria, era troppo concentrato a cercare la serenità nel dondolio instabile della sua incerta andatura. Fermo, alzò la testa soltanto quando essa lo chiamò per nome. E, per quel che poteva ricordare, nessuno conosceva più il suo nome. Nemmeno lui stesso.
Prese forma e colore sotto i suoi occhi quasi all'improvviso. Capelli neri e sciolti che ricadevano sulle spalle, occhi grandi e azzurri incastonati in un viso chiaro e stupendo, una lunga veste nera e vaporosa, lei gli si piazzò davanti impedendogli di proseguire, illuminata a stento da guizzanti riverberi di luce remota e tremolante. Cercò di fissarla negli occhi, ma non riusciva a capacitarsi delle sconvolgenti sensazioni che lo pervasero in quell'istante. Scosso da brividi freddi e mai provati, annichilito di fronte all'immensa energia che la donna emanava e che sentiva, potente, penetrare in sè come una radiazione, rimase immobile aspettando un qualsiasi evento capace di fermare questo flusso inconcepibile di forza proveniente dagli occhi della donna, dalla sua persona. La sua voce giunse chiara e ferma, calda e melodiosa, come da un'apparizione mistica e irreale.
- Sono la serenità - disse, posandogli una mano sul petto.
Lui non riusciva a muoversi, a parlare. Lei, con la mano bianca dalle dita affusolate protesa in avanti, appariva immensa, forte, sicura. Una mano che riusciva senza sforzo a tenerlo fermo, a impedirgli ogni movimento, a tenerlo sospeso in quel limite vago che separa il passato dal futuro, in un presente labile ma destinato a durare per un'eternità.
"Sono la serenità", aveva detto. Lo aveva detto in modo inconfutabile, ovvio; non si poteva fare a meno di crederle. Non si poteva far altro che annuire, trattenendo il respiro.
In quelle poche parole erano nascosti milioni di significati, tutti differenti e uniti a formare un'unica, immensa verità. Lei era la serenità. Lo era sempre stata, lo era in quel momento, lo sarebbe stata per sempre. Lei era la serenità.
"Lei è la Serenità!". Quella frase aveva cominciato pian piano a vibrare nella sua mente, nella sua testa, come un'eco profonda. Era il suono metallico e armonioso di mille campane, un sincrono perfetto di precisione cosmica, un continuo crescendo di natura celestiale. La convinzione che la donna fosse la serenità si radicò in lui saldamente, come una pianta antica, secolare, prendendo il posto del folle groviglio di pensieri che lo stava corrodendo dall'interno.
"Lei è la serenità. Io cerco la serenità. Ho trovato la serenità".
- Ti ho cercata da tanto tempo! - furono le uniche parole che fuoriuscirono, in un impeto doloroso e liberatorio, dalle sue labbra, mentre lei continuava a tenere la mano ferma e forte sul petto di lui. - Mi hai trovato - rispose - e adesso non ti lascerò mai più...
Lentamente la donna cominciò a dissolversi in una fitta nebbia scura, un'immagine fumosa ed evanescente, ma tuttavia consistente e palpabile; prima piano, poi sempre più velocemente, l'ombra penetrò in lui, come un rivolo d'acqua scura assorbito dalla sabbia, fino a riempirlo nel profondo della carne e dell'anima. E il suo corpo, prima fremente e scosso da tormentosi brividi, ritornò calmo, i suoi nervi tesi si rilassarono, il turbinio dei suoi pensieri si placò, lasciando finalmente spazio alla pace, alla quiete, alla serenità.

 

"Un'altra tragedia avvenuta stanotte, nella periferia della città. Nella prima mattinata di oggi è stato rinvenuto il cadavere di un uomo non ancora identificato, deceduto per probabile assideramento dovuto al..." Così cominciava il primo titolo delle notizie di cronaca al telegiornale. Davvero, non ne potevo più. Ero stanco di tutte queste notizie terribili, guerre, malattie, crolli della borsa, stragi della mafia, attentati religiosi, bambini uccisi dai loro stessi genitori. Stanco di tutta questa vita falsa e anonima. Stanco dell'ipocrisia delle persone e dell'assoluta mancanza di valori e di ideali. Dove stava andando a finire questo nostro pazzo mondo?
Avevo proprio bisogno di un po' di calma, un po' di serenità...

Alessandro Garau