La ballata dell'angelo sterminatore

My name is Death and I excel, I can open the gates to heaven or hell
-Camper Van Beethoven-

 

<<E’ questa la casa?>>
<<Certo.>>
<<Ne sei sicuro?>>
<<Sicurissimo>>
<<Entriamo.>>
<<Come facciamo? La porta è chiusa.>>
<<Non lo so, tu trova il modo di farmi entrare>>
Una di quelle solite case di merda.
Vecchia, sporca, consumata dallo smog.
Una casa come le altre, senza arte nè parte.
<<Allora, hai finito?>>
<<Aspetta...>>
<<A che piano abita?>>
<<Secondo.>>
<<Perfetto.>>
<<Ecco... si è aperta... che serratura di merda...>>
<<Che cazzo ti aspettavi?>>
Saliamo le scale d’ingresso.
Nulla di che... la portineria terribilmente vecchia sotto un portico grigiastro.
Saliamo le scale tranquillamente.
Primo piano.
Secondo piano.
Siamo davanti all’ingresso del suo appartamento.
Dietro di noi, il buio.
E’ chiaramente la sua porta... si sentono i rumori e la musica.
<<Cazzo... sta facendo una festa...>>
<<Tanti auguri.>>
Toc, toc.
<<Chi è?>> la voce è di una ragazza.
<<La Morte.>>
Ci apre una ragazzina di 16 anni.
Una specie di dark, con il mascara che le cola dagli occhi e col sorriso stampato dall’alcool.
<<Ah, ah, ah. Entrate; siete amici di Oliver?>>
<<Molto di più, piccola. Permesso...>>
Entriamo nell’appartamento.
E’ tenuto bene ed è anche molto grande.
La musica è alta; c’è un po’ di gente.
Cinque o sei ragazzi... dieci ragazze... undici... ce ne una che sta vomitando nel cesso.
Apro la porta della sala.
Ragazzi che ballano con delle canne in mano.
Ci sono delle candele sul tavolo, vicino alla birra e il fumo sale verso delle strane lampadine verdi.
La musica è davvero alta.
Ci guardano perplessi, ma continuano a ballare.
L’odore di hasish è presente ovunque.
Arrivo davanti a una porta bianca.
La apro; è la cucina. Ci sono due che si stanno baciando.
La chiudo.
Apro un’altra porta.
E’ la sua stanza.
Ci sono due candele sul mobile di fianco al letto.
Lui è nel letto con una ragazza, entrambi mezzi nudi.
<<Bella festa...>>
Un poster dei Beatles è appeso sopra il letto.
<<Chi cazzo sei?>> mi dice.
La ragazza ridacchia.
E’ fattissima; avrà sì è no 15 anni.
La musica è sempre più alta.
Il mio socio chiude la porta.
Lui accende la luce del comodino.
Gli tiro una testata.
Cade all’indietro, con la bocca aperta.
Prendo il fazzoletto che avevo in tasca e glielo ficco in gola.
Non può più parlare.
La ragazza canticchia.
La musica è sempre più alta.
Lui cerca di alzarsi.
Gli pesto la mano e lo tengo per terra.
<<Coltello.>>
Il mio socio mi passa il coltello.
Lui mi fissa.
Gli sfregio la guancia destra.
Mugugna.
Il sangue gli cola dal viso.
Lo sento tremare di paura.
Il mio corpo vibra, come se avessi le ali.
Chiudo gli occhi e gli sfregio anche l’altra guancia.
La ragazza ride.
La musica è sempre più alta.
Lui scalcia.
Gli do un calcio sul ginocchio.
Chiude gli occhi per il dolore e lacrima.
Mi si aprono le ali e sorrido.
Faccio un respiro profondo e poi mi avvicino verso il suo orecchio.
Bisbiglio.
<<... ti ricordi di me?...>>
Fa di no con la testa.
<<... e della mia ragazza?...>>
Gli sussurro il nome di lei nell’orecchio.
Sgrana gli occhi e tenta di gridare.
Mi guarda fisso, con il volto insudiciato dalle lacrime e dal sangue.
E’ tutto rosso.
Gli prendo il braccio.
Gli stringo la mano e lo guardo con dolcezza.
Alzo la lama e gli taglio l’avambraccio destro.
Un taglio profondo.
Chiude gli occhi; per il dolore.
Ho preso un’arteria e il sangue mi zampilla sulla camicia.
Gli prendo l’altro braccio e faccio la stessa cosa.
Con velocità gli sfregio il torace e lo sterno.
La ragazza si è addormentata.
La musica è altissima.
Chiudo gli occhi, apro le braccia come se stessi per spiccare in volo.
Quando li riapro, affondo la lama nel suo addome.
Lui è sempre più rosso e mi guarda con terrore.
Respira ancora.
Lo fisso.
<<Ma quanto ci metti?>>
Estraggo la pistola, monto il silenziatore e gli sparo in fronte.
Il mio socio apre la porta.
Usciamo dalla stanza.
Il mio socio la richiude.
Passiamo per la sala.
Ci si avvicina un ventenne barcollante.
Mi pulisco le mani sulla sua maglietta.
Biascica solo: <<... fico...>>
Apro la porta dell’appartamento.
Esco.
Esce il mio socio.
Sul ballatoio si sente ancora ridere.
Al primo piano si sente ancora la musica.
Usciamo dalla casa.
Bella festa.

Jacopo Costa Buranelli

Jacopo Costa Buranelli, nato a Milano nel 1983, diplomato presso il Liceo Classico G. Berchet e attualmente iscritto al corso di laurea in Filosofia. Lavora per la casa editrice Flashbook come adattatore di manhwa (fumetti coreani) e articolista. Per il momento non ha un sito personale, ma solo un blog presso: https://robwilco.ilcannocchiale.it.