La mano

A Henry avevano tolto le bende da tre settimane ma ancora non si era abituato all’idea. E si chiedeva se si sarebbe mai abituato. La cosa era stata accolta con finto entusiasmo quando gli era stata proposta ma ora che se la trovava di fronte si rendeva conto di non essere più in grado di recitare. Avere davanti agli occhi quella “cosa” appartenuta a chissà quale sventurato lo turbava non poco.
Era stata soprattutto sua moglie a convincerlo a percorrere quella strada.
Oltretutto la situazione era resa ancora più deprimente dal perdurare dello stato di atrofia nella quale l’arto era ancora immerso. Le ore giornaliere di ginnastica riabilitativa avevano sortito qualche effetto ma ovviamente ci sarebbero voluti mesi, forse anni per riacquistare una funzionalità accettabile.
I segni della cicatrici, seppure la medicina moderna avesse compiuto passi da gigante, erano decisamente evidenti, quel braccialetto rosso-viola era ancora ben visibile ed era ben lontano dall’assumere un colorito simile al resto dell’epidermide del corpo.
Più guardava quel palmo, quelle dita, quelle unghie e meno la sentiva sua, quella mano non poteva essere sua, non avrebbe mai considerato quel pezzo di cadavere un prolungamento del suo avambraccio.
Sua moglie lo aveva festeggiato al suo ritorno a casa, gli aveva fatto trovare una splendida torta di fragole e panna, la sua preferita, lo aveva abbracciato facendogli sentire quanto lo amava ma lui non aveva avuto il coraggio di toccarla con quella mano. Non aveva permesso che “qualcun altro” le toccasse il corpo. Non lo avrebbe mai permesso!
E il visino dolce della sua piccola Stephanie non sarebbe entrato in contatto con un pezzo di cadavere!
Per la sua piccola bambina non doveva esistere un’altra mano sinistra da stringere, non doveva affezionarsi ad una mano diversa da quella di suo padre.
“Vedrà, la sua vita tornerà come prima, l’incidente sarà solo un brutto ricordo...” gli aveva recitato quel medico durante i colloqui preliminari.
E lui ascoltava inebetito con quel sorriso idiota, pensando a chissà cosa, senza avere il coraggio di replicare, di dire che non voleva pezzi non suoi attaccati al corpo.
Ma ben presto, quel sorriso si era spento, a mano a mano che i risultati degli esami davano risultati positivi la sua recita andava affievolendosi. Avrebbe voluto cancellare tutto, rinunciare e restare con il moncherino per il resto della sua vita. Ma non poteva ignorare il sorriso ritrovato della moglie alla notizia che avevano trovato un possibile arto per fargli riacquistare la totale indipendenza, non voleva farle pensare di avere a che fare con un egoista, voleva tornare quello di un tempo e farle dimenticare quella brutta parentesi della loro vita.
Ma tutto questo era stato solo un’utopia. Sapeva già che non sarebbe riuscito a conviverci.
Aveva addirittura sperato che il suo corpo la rigettasse e che i medici fossero costretti a staccarla nuovamente.
Invece tutto era andato nel migliore dei modi, purtroppo!
E adesso lei era lì con lui, quella mano gli stava attaccata e lo seguiva dappertutto... e doveva anche mantenerla in forma con quegli odiatissimi esercizi di riabilitazione.
Era l’unica cosa che le faceva fare, continuava a lavarsi con una mano sola, continuava a farsi aprire le bottiglie dalla moglie... lui, nella sua mente, continuava ad avere una mano sola!
Quella mattina si era alzato di buon’ora, aveva trascorso una splendida notte con sua moglie, dopo tanto tempo sembravano aver ritrovato la serenità. Appunto, “sembravano”!
Lui non era affatto sereno! Si era reso perfettamente conto che lei, la mano, era passata sulla pelle della moglie, l’aveva accarezzata come un depravato che, approfittando della penombra, agisce indisturbato.
Quell’arto, appartenuto ad un perfetto sconosciuto, aveva superato il limite, non poteva tollerare oltre. Il corpo di sua moglie non poteva essere toccato da nessun altro che non fosse lui!
Appoggiato al lavandino guardava negli occhi la persona riflessa nello specchio. Sapevano entrambi che non poteva sopportare oltre.
Quella “cosa” si era insinuata nella sua vita, aveva preso posto accanto a lui e adesso... aveva toccato sua moglie, la sua dolce Catherine. Toccata da un pezzo di un cadavere.
Dio, al solo pensiero gli venne un conato di vomito.
Sputò nel lavandino. Aprì il rubinetto e si mise a guardare l’acqua che spariva nel buio delle tubature.
Spostò lo sguardo. La mano era semichiusa, termine ultimo del suo braccio sinistro.
“Idiota!” pensò “Non sa nemmeno fare un pungo da uomo, se ne sta lì senza un perché... Non sa essermi utile in nessun modo. Sei solo un peso per me, te ne rendi conto, vero?”
Doveva aver parlato ad alta voce senza accorgersene.
“Caro, va tutto bene?” chiese la voce assonnata di Catherine dall’altra parte del muro, al calduccio sotto le coperte.
“Sì, non preoccuparti, continua a dormire... È tutto a posto...” rispose Henry senza convinzione, mentre si specchiava sul rasoio da barba che impugnava con la “sua” mano, quella vera!
Aveva la barba di due giorni, doveva tagliarsela, non gli piaceva rimanere con il viso non rasato.
Ma prima doveva fare una cosa più importante ed urgente!
Appoggiò la lama sul dorso del braccio all’altezza del polso, sopra quella cicatrice che segnava il confine tra il suo corpo e quello dell’estraneo.
Come un dilettante suonatore di violino iniziò ad agitare l’archetto rudimentale avanti ed indietro. Nella sua mente iniziò una macabra cantilena... Triste ma allo stesso tempo liberatoria.
Il dolore accompagnava quella sinfonia mentre la carne iniziava a dividersi, mentre il lavandino prendeva il colore del sangue come un camaleonte che si mimetizza nell’ambiente circostante.
Interruppe per un momento il suo concerto personale per prendere un collant della moglie dal cesto della roba sporca e si legò il polso. Non voleva certo morire dissanguato!
Riprese a suonare!
La lama si aprì un varco tra vene e tendini con molta facilità, il suo rasoio era davvero in buone condizioni, era contento di averlo tenuto sempre affilato e pulito. Ora lo stava ricompensando di tanta cura.
Dovette metterci un po’ più di energia quando arrivò alla giuntura dell’ulna e del radio con la mano ma alla fine riuscì a superare l’ostacolo.
L’intruso si staccò finalmente da lui e proseguì la sua strada verso il centro del lavabo.
Un sorriso apparve sulle labbra di Henry mentre osservava l’acqua che circondava quell’oggetto privo di vita.
Fece un altro nodo al collant che abbracciava il moncherino, chiuse il rubinetto e uscì dal bagno.
Guardò il corpo della moglie che dormiva nella penombra della stanza. Finalmente erano di nuovo in due, non c’era più nessun intruso tra loro!
Si avvicinò al letto e si infilò sotto le lenzuola.
Catherine sentì il corpo freddo del marito che era tornato e gli si avvicinò.
La mano di Henry le accarezzò il viso scostandole i capelli, portandoglieli dietro l’orecchio. Si avvicinò alle sue labbra e la baciò.
Lei sorrise e si mise a cavalcioni sopra di lui, aveva notato una luce diversa nei suoi occhi, sentiva che qualcosa era cambiato. Ma non sapeva ancora che cosa! Era contenta di aver ritrovato finalmente il suo caro marito, non aveva più lo sguardo cupo e sofferente.
... Fu allora che lo vide!
Non poté fare a meno di urlare! Di scatto scese dal letto.
“Cosa diavolo hai fatto? Sei impazzito?” lo sguardo fisso sul collant divenuto ormai un lembo inzuppato di sangue.
“Amore, stai calma! Siamo di nuovo soli! Quell’idiota se n’è andato... Per sempre! Si era insinuato tra noi ma io l’ho cacciato per sempre! Non tornerà più!”
“Dio! Tu sei pazzo! L’incidente ti ha fatto saltare anche qualche rotella!” urlò in lacrime.
Un pianto arrivò dalla stanza posta in fondo al corridoio.
“Calmati tesoro! Hai svegliato la bambina...” disse Henry in tono irritato, non capiva la reazione della moglie. Aveva cacciato quell’essere estraneo e lei come lo ringraziava? Dandogli del pazzo e urlando? Aveva anche svegliato Stephanie!
Scese dal letto anche lui e fermò la moglie che stava uscendo dalla camera per andare dalla figlia.
Con la mano destra l’aveva afferrata per il collo e l’aveva tirata all’indietro facendole perdere l’equilibrio. Cadde sul morbido, sul loro letto matrimoniale.
“Lasciami andare! Sei solo un pazzo! Fammi andare da mia figlia!”
Stavolta fu lui a mettersi a cavalcioni su di lei.
Con il moncherino le bloccava una spalla contro il materasso e con la mano le bloccava il collo.
“Perché non vuoi capire? L’ho fatto per noi! Non potevamo vivere con quella cosa tra noi!”.
“Ti sembra un comportamento da persona normale andare in bagno e tagliarsi la propria mano?”.
“NON ERA LA MIA MANO!!!” inveì contro di lei. “Quella cosa non era mia, me l’hai fatta attaccare ma io non l’ho mai voluta, è stata solo tua l’idea! Ti vergognavi di andare in giro con uno storpio, vero? VERO???”
Ma lei non replicò...
Aveva stretto con troppa energia il collo della moglie...
Ma adesso non aveva tempo di pensarci, doveva andare a controllare la figlia che piangeva nell’altra stanza!

Etanolo

Abito a Cesate (Mi) e sono un grande appassionato di filmografia horror! Visto che da parecchio non riesco a trovare un film del genere che mi piaccia davvero fino in fondo, ho deciso di mettere su carta ciò che mi piacerebbe vedere. E ho pensato di condividere questi racconti anche con altri. Pubblico le mie opere anche sul blog fiabedallacripta.splinder.it