Posare nudi
sul tavolino ghiacciato di un obitorio, per poi farsi ammazzare dal delirio onnipotente
del tuo artista, era cosa da manicomio. Eppure così avevo scelto. O meglio: lui mi aveva
scelto, una mattina, tra le nebbie dei navigli. Mi seguiva avvolto nella sua scura
mantella. Era un bel ragazzo. Già temevo che m'avesse scambiato per uno di loro. Io non
lo ero, anche se non stavo con una donna da tempo. Cristina, il mio unico amore, s'era
schiantata contro la parete rocciosa di una galleria, qualche inverno fa. E da quel giorno
amo passeggiare per i nostri navigli, miei e suoi, davanti alla nostra chiesa, tra un bar
e un bicchiere di troppo. Proprio lì, magnetico e disponibile, Victor mi venne a cercare.
Moro, grande, abbronzato. Tutto faceva pensare fuorchè un lontano emigrato ungherese. Mi
aveva detto che erano giorni che mi teneva d'occhio, e gli piaceva il mio incedere. Il mio
camminare. Il mio personalissimo modo di muovere le dita.
Io gli risi in faccia.
Che voleva?
Faceva il pittore, e un anziano mecenate milanese lo aveva accolto a casa sua. E capii
molto. Volevo andarmene. Mi bloccò: voleva dipingermi. Un nudo d'autore. Avevo subito
capito dove voleva arrivare il bel Victor. Volevo andarmene e in fretta. Ma bruciò di
nuovo la mia fuga.
-Ti saluta Cristina.-
Lo presi! Lo afferai per le spalle! Lo guardai dritto in quegli occhi sereni e naturali!
Poi lo seguii. E mi trovai nudo sul tavolo di un obitorio. Freddo, senza vita, come i
corpi che vi avevano preceduto.
Victor dipingeva.
Io posavo.
Cristina, mi fissava dalle sue spalle, compiacendosi del dipinto.
Poi, mi abbracciò, gelida. Mi morsicò sul collo, per amarmi e per portarmi con sè.
A dipinto concluso, anche Victor abusò del mio corpo. Ma ormai non m'importava nulla. La
morte era estrema, ma dolce. La voluttà crudele che m'attanagliava, non mi permetteva di
intendere e volere. Accettai il mio nuovo destino. Senza combatterlo. Mi lasciai a loro,
nel giorno dei morti, e tornai nel mio mondo come uno di loro.