Il libro

La strada davanti a lui scorreva a folle velocità. Era vagamente consapevole che il minimo errore, la più piccola delle indecisioni gli sarebbe costata la vita. Era la cosa che lo preoccupava di meno. Non aveva tempo. Le sue mani stringevano convulsamente il volante della macchina sportiva sbiancando il loro colorito roseo. Cominciava a capire il consiglio di Alice, quello che era sempre in ritardo. Le luci dei lampioni scorrevano velocissime, parzialmente riflesse dalla curvatura delle sue lenti quando, sfiorato il paraurti di un tir, si gettò a velocità folle alla destra di una grossa berlina che, come una comare stizzosa, procedeva entro i limiti di velocità per nulla intenzionata a dare strada neppure al diavolo in persona. Pensò che forse era già troppo tardi. Tutto era iniziato due mesi prima e all'inizio era stato fantastico. Lui era uno scrittore praticamente fallito, che aveva pubblicato una sola volta su una rivista per uomini e che da un po' di tempo aveva permesso che la bottiglia cominciasse a dettare legge nella sua vita. Aveva la sensazione, quando cercava di forzare la spessa nebbia che avvolgeva quel periodo, che avesse addirittura accarezzato l'idea di farla finita, di mandare tutto al diavolo in un colpo solo. Letteralmente. Dio, nemmeno sessanta giorni prima. Poi aveva trovato il suo libro. Non il suo... il Libro. Lui non credeva a cose del genere, quelle erano cazzate per fusi di testa… ma non poteva onestamente dire che lui non lo fosse sempre stato, e che in quei giorni lo fosse ancora di più. "Merda" Bonfonchiò piazzava una frenata violenta e improvvisa come una fucilata imponendo al muso della sua macchina di seguire quella maledetta strada.

Il libro. Sembrava un libro come tanti. Lo era all'esterno, con la sua copertina di un marroncino appena sbiadito, la sua aria di volume vecchio ma elegante, il suo spessore dignitoso ma non da mattone russo. Non lo era all'interno. No, dentro era tutto fuorchè normale. Lui se ne accorse tre giorni dopo averlo visto sul banchetto di quello zingaro dalla pelle arsa e olivastra, solcata da rughe che avevano cancellato qualsiasi possibilità di stimarne l'età, che gli aveva detto una sola frase: "E' un affare." Mentre gli scriveva il prezzo su un pezzo di carta. Non ricordava quanto l'avesse pagato, a dirla tutta non ricordava di averlo pagato. Però aveva scoperto che all'improvviso sapeva di nuovo scrivere e che se lo faceva la bottiglia non riusciva più a rintracciarlo. Dopo una settimana si rese conto però che non era farina del suo sacco. Se ne accorse perché trovò nell'indice del libro il titolo del suo nuovo racconto. Era lì, parola per parola, stampato a suo nome. Era rimasto assolutamente interdetto, attonito. Così aveva deciso di andare a fare un giro, di schiarirsi le idee. Era sceso ma nel piccolo cortile interno di casa al posto della sua vecchissima utilitaria di seconda mano aveva trovato questo mostro che adesso cercava di ribellarsi alla strada, che sembrava non volerlo portare a destinazione. All'inizio aveva pensato che qualcuno avesse parcheggiato la macchina al posto della sua poi il portiere, guardandolo come venisse da un altro pianeta, gli aveva confermato che era proprio quella, il mostro, la sua macchina. Lì aveva capito molte cose. La prima lo folgorò ricordandogli che aveva scritto proprio il giorno prima di un tizio che possedeva l'auto dei suoi sogni. Una sportiva. Era assolutamente fuori di testa.
Tornò improvvisamente al presente schivando per miracolo un autobus color marrone vomito che lampeggiò come un albero di natale in segno di protesta. La macchia bianca al volante doveva essere la faccia dell'autista. Dal giorno della macchina fece diversi esperimenti scrivendo di essere ricco, bello e famoso. Il suo improbabile genio della pagina non fu altrettanto veloce come con la macchina ma non lo deluse. Solo che quel maledetto non era disinteressato: com'era quel vecchio detto? Nessuno ti dà niente per niente? Beh lo aveva per un attimo dimenticato: il successo era una droga irresistibile e lui non era mai stato un santo. Si era accorto solo una settimana prima di quale fosse il prezzo. Era però troppo tardi. Aveva scritto di vincere premi letterari importanti, di avere tutta la gloria possibile. Per ogni pagina in cui scriveva di ricevere un premio arrivava sul mondo un cataclisma. Sembrava il pensiero di un paranoico… ma non era tutta quella storia una paranoia per matti?
Ancora una volta faticò per un attimo a controllare le ruote della sua macchina-mostro in un loro ennesimo tentativo di insurrezione. Stavolta sorpassò un caravan alla velocità del pensiero. Altre strombazzate. Non aveva più scritto niente da quando aveva capito che terremoti ed eruzioni erano il suo dono al mondo. Ma il Libro non aveva voluto saperne. Lui aveva provato in tutti i modi. Aveva buttato quell'infernale cosa per ritrovarsela sulla scrivania tre ore dopo. Si era legato le mani ma da sole quelle avevano trovato il modo di spezzare i legacci. Era arrivato a fratturarsi, con una sofferenza spaventosa, le dita della mano destra. Le fratture si erano composte e risaldate in meno di tre minuti. A lui era rimasto solo il dolore alle articolazioni e le mani che continuavano a scrivere non appena possibile. In quella lotta impari fatta di tentativi disperati e perdenti in partenza il Libro era riuscito a spuntare il minimo indispensabile. Quella mattina si era aperto da solo. Tutte le pagine erano completamente bianche. Si erano sfogliate da solo in un bianco e crepitante sfoggio di candore intonso per fermarsi all'impaginatura centrale. Lì era scritta un'unica frase. Si era alzato con una mano davanti alla bocca dilaniato dal terrore e aveva acceso il televisore. Aveva capito subito dove andare. Si era precipitato fuori e aveva iniziato la sua corsa. Era diretto a circa cinquecento chilometri da casa. Lì, in quel posto, sarebbe stata inaugurata la più grande centrale nucleare d'America. Su quelle due pagine a caratteri trionfanti calcati da una gioia feroce gli erano state estorte cinque parole: "Oggi ho vinto il Nobel."

Massimo Guetti