Il gioco

Aprii la finestra. Fui investita da una ventata d’aria.
- Alzati, che è tardi.- dissi – E non far finta di dormire. –
Marco era rannicchiato sotto la trapunta della carica dei 101. Si stiracchiò ed emerse da sotto i dalmata.
- Ciao mamma. –
Quegli occhi seri.
- Ciao. Dai, sbrigati, ti preparo il latte. –
Mi guardò. Il faccino dannatamente serio.
Ti prego, non mettermi paura anche oggi.
- Stanotte papà è tornato a trovarmi. –
Possibile che quel bambino fosse così spietato? Pazienza, ci vuole pazienza, mi dissi. Mi sedetti sul letto e gli presi la manina.
- Amore, ti ho detto che papà non c’è più. E’ andato in Paradiso assieme a tutti gli angeli.–
Le sue iridi di fuoco sembrarono inghiottirmi.
- No. Papà è ancora qui. E dopo andrà all’Inferno, e tu lo sai. –
Rabbrividii.
- Ma cosa dici? Papà è una persona buona e le persone buone vanno in Paradiso..-
- Bugiarda! Me l’ha detto papà! I morti suicidi vanno all’Inferno!-
Sollevai la mano in aria e la abbattei su quel visetto paffuto.
- Smettila di dire queste brutte cose! Papà è in Paradiso, hai capito? Basta!-
Aprii il primo cassetto del comò, tirai fuori un maglione e un paio di calzoncini e lo chiusi con un tonfo. Marco trasalì. Buttai i vestiti sul letto.
- Hai deciso di farmi impazzire? Muoviti a vestirti e vieni in cucina!!-
Uscii dalla stanza di corsa. Appoggiai le mani alle pareti strette del corridoio e presi fiato.
Calma, devi stare calma.

La morte di Sandro era stata inaspettata. Il trio della famiglia si era spezzato. Una delle persone più importanti della mia vita era sparita di colpo lasciandomi sconvolta, impaurita, sola. Ed era stato ancora peggio per Marco. Soffriva di allucinazioni, diceva di vedere il padre e di riuscire a parlare con lui. Diceva che papà era ancora a casa nostra, che si sentiva tanto solo, che aveva paura perché presto sarebbe dovuto andare all’Inferno.
All’inizio mi convinsi che fosse vero. Pensai che il mio bambino avesse dei poteri paranormali e riuscisse a parlare con Sandro. E allora ascoltavo i suoi vaneggiamenti, facevo delle sedute spiritiche che secondo lui mi avrebbero permesso di comunicare con mio marito. Non ricevetti mai nessun segno, nessuna conferma, niente che potesse darmi la prova definitiva. Marco però continuava a dire di vederlo, continuava a riferirmi quelli che secondo lui erano i suoi messaggi.
Ero sempre più impaurita. Soffrivo molto per la mancanza di Sandro e desideravo credere di averlo ancora accanto. Marco continuava con la sua fissazione. A un certo punto mi dissi che dovevo smetterla di aggrapparmi alle illusioni, dovevo guardare in faccia la realtà. Il mio Marco soffriva di una qualche strana forma di schizofrenia infantile e dovevo portarlo da uno psichiatra prima che la malattia gli avesse fatto marcire del tutto il cervello.
Così avevo cercato un bravo psichiatra che aveva fissato un appuntamento per venerdì 31 ottobre, di pomeriggio.
E venerdì è oggi.
Inspirai a fondo e andai in cucina. Presi dallo scaffale una tazza, la posai sul tavolo. Mi costrinsi a tenere gli occhi bassi. Aprii la scatola di corn flakes.
Non guardare in alto non guardare in alto!!
Li versai nella tazza riempiendola per metà.
Non guardare in alto non guardare in alto!!
Annaffiai i cereali con abbondante latte tiepido. Misi il pentolino sulla cucina. Posai un cucchiaio sul tavolo.
Non riuscii a fermare gli occhi. Era più forte di me. Si posarono sull’orologio a cucù. Sulla grossa crepa che c’era nel quadrante. Sulle sue lancette ferme. Sandro non sopportava il ticchettio di quell’orologio, diceva che era snervante. Gli sembrava una bomba ad orologeria. Ma era un’importante cimelio di famiglia e dovevamo tenerlo in casa. Dopo la sua morte lo avevo trovato rotto. Prima di suicidarsi si era tolto il piacere di spaccarlo.
Il mio sguardo si alzò. Si posò sul lampadario. Quel lampadario. Sentii le lacrime salirmi agli occhi.

 

Il giorno della sua morte, Sandro mi aveva telefonato di mattina presto.
- Ho un po’ da fare in ufficio, – mi aveva detto – quando esci dal lavoro puoi andare tu a prendere Marco?-
Mi venne in mente che avrei dovuto fare benzina, il serbatoio era quasi vuoto. Gli dissi di sì, certamente.
- Allora, ci vediamo dopo. –
Lo disse in un modo strano. C’era un lieve tremito nella sua voce, ma non me ne accorsi. Stavo pensando che il benzinaio era a pochi isolati dalla scuola e ci avrei messo poco tempo. Fu l’ultima volta che sentii la voce di mio marito.
Dopo il lavoro, come previsto, avevo fatto benzina e poi ero andata a prendere Marco a scuola. Lui mi aveva mostrato entusiasta l’elefante di carta che la maestra gli aveva insegnato a costruire.
- E mi ha insegnato pure a fare la ranocchia! – aveva aggiunto trionfante.
Parcheggiai sotto casa pensando che il frigorifero era praticamente vuoto e che quel pomeriggio avrei dovuto fare la spesa.
- Oggi ti faccio vedere come si fa la rana, mami. Mi sono fatto dare dalla maestra un foglio di cartoncino verde!-
Gli rivolsi un sorriso affettuoso, chiedendomi cosa diamine avrei cucinato a pranzo. Meno male che Sandro sarebbe rimasto tutto il giorno in ufficio, mi dissi, così avrei dovuto racimolare solo due porzioni di cibo. Via, una porzione e mezzo.
Aprii la porta ed entrai in cucina col bambino in braccio.
E lo vidi.
La prima cosa che scorsi furono i suoi piedi, i mocassini marroni della domenica. Non ebbi bisogno di guardare il resto per capire cosa era successo, ma lo feci comunque. Guardai Sandro che penzolava dal lampadario, legato per il collo dalla cinta dell’accappatoio. La sedia rovesciata a terra. Aveva la bocca aperta. Gli occhi spalancati.
Impiccato, disse una vocina nella mia testa.
Restai paralizzata. Il mio Sandro. Dovevo coprire gli occhi del bambino perché non vedesse. Dovevo chiamare la polizia, un’ambulanza, qualcosa. E invece non feci niente. Me ne restai lì impalata, con Marco in braccio, a fissare il cadavere di mio marito.

 

- Mamma.. -
Smisi di fissare il lampadario. Marco era sulla soglia. Indossava ancora il pigiama celeste.
Calma, devi stare calma.
- Tesoro, perché non ti sei vestito? Devi andare a scuola. -
- Mamma non ti arrabbiare.. -
Inspirai. Mi abbassai in modo da poterlo guardare negli occhi.
- Non sono arrabbiata. Spiegami solo perché non ti sei ancora vestito. –
Mi prese la mano e mi tirò verso la sedia.
- Siediti. E’ importante. -
Deglutii, ricacciando dentro le lacrime. Mi sedetti, preparandomi a sentire i suoi vaneggiamenti.
- Stanotte papà mi ha parlato. -
- Papà non ti può parlare perché non c’è più e.. -
- Mamma, non interrompermi. E’ importante. -
Annuii. Mi sfuggì una lacrima.
- Ha detto che oggi è l’ultimo giorno. Stanotte gli angeli verranno a prenderlo e lo porteranno all’Inferno. -
Annuii di nuovo.
- E non vuole andarci. Si sente tanto solo sai? Vuole stare con noi. Dice che ci ama e non vuole stare senza di noi. –
- Ho capito. Ma tu oggi devi andare a scuola. -
- Non ce n’è più bisogno. -
Calma, calma, calma.
- E perché? –
- Perché dobbiamo andare con papà. –
Scoppiai in singhiozzi e lo abbracciai.
- Perché mi fai questo, Marco? Mi stai prendendo in giro? –
Marco si staccò dalla mia stretta e mi asciugò le lacrime con la manina.
- Non piangere più, mamma. Ora tutto questo finirà. Papà mi ha detto come fare. Dobbiamo fare un gioco. -
Si sedette sulle mie gambe.
- Chiudi gli occhi. –
- Marco, smettila. Lo sai benissimo che..-
- Ti prego, mamma, chiudi gli occhi. Devo farti il gioco.-
Sospirai. Il mio bambino! Com’era ridotto! Sandro era un’egoista. Mi aveva lasciato sola. E aveva fatto impazzire il mio bambino.
Chiusi gli occhi.
Poggiò le piccole dita sulla mia fronte. Cominciò a cantare una cantilena infantile massaggiandomi le tempie. Dapprima mormorava solo un informe la la la. Poi cantò delle parole che mi ghiacciarono l’anima.
- Eravamo in tre nella casa, casa mia, l’orologio si fermò ed un collo si spezzò..-
Vidi me stessa mentre spalancavo gli occhi e gli mollavo un ceffone, lo afferravo e lo conducevo a forza nella sua stanza, gli infilavo i vestiti e lo portavo a scuola. Non mi avrebbe trascinato nella sua pazzia, oh no. Quel pomeriggio lo avrei portato dal medico e tutto sarebbe stato risolto.
Invece restai immobile, paralizzata come quel giorno. Non riuscivo ad aprire gli occhi!!
E sentii qualcosa di terribile. Senti di nuovo il ticchettio dell’orologio. Aveva ripreso a funzionare! Com’era possibile?
Marco continuava con la sua cantilena. Mi sentivo avvolgere da quel massaggio alle tempie. Il ticchettio continuava, mi tuonava nella mente.
Eravamo in tre nella casa, casa mia, l’orologio si fermò ed un collo si spezzò..
Tic tac tic tac…
Eravamo in due nella casa, casa mia, l’orologio si fermò e una testa sanguinò..
Tic tac tic tac…
Ero solo io nella casa, casa mia, l’orologio si fermò e una testa sanguinò...

 

Avevo le viscere bloccate dall’angoscia. Cercai ancora di muovermi ma non ci riuscii. Provai ad aprire gli occhi. Le palpebre erano terribilmente pesanti, come in quei sogni in cui ti senti gli occhi bloccati dal torpore.
Finalmente li aprii.
E lo vidi.
- Sandro! – dissi, con la voce strozzata dalla paura – Sei vivo!–
Aveva la bocca aperta e gli occhi spalancati, proprio come quel giorno. Cercai di alzarmi per correre da lui, ma non riuscii. Sandro fece un passo verso di me. Indossava i mocassini della domenica. Marco continuava a cantare.
- Sandro, parlami. Com’è possibile che tu sia vivo!?! –
E Sandro parlò.
- Ho bisogno di voi. Perdonami. –
Solo allora focalizzai quello che aveva in mano. Una falce. Come avevo potuto non vederla prima? Era tutto così sfocato... Sandro continuò ad avvicinarsi.
Tic tac tic tac…
E allora capii.
- No! Non farlo! – gridai.
Lui continuava ad avvicinarsi, gli occhi spalancati.
- Non farlo! –
Eravamo in due nella casa, casa mia, l’orologio si fermò e una testa sanguinò..
Sollevò in alto la falce, sopra la mia testa. Il ticchettio si arrestò.
Sandro calò la falce.

 

Mi sollevai a sedere e buttai le coperte a terra. Fissai il buio della stanza. Il mio cuore galoppava furioso in sincronia con il beep beep della sveglia.
Era un sogno. Nient’altro che uno stupido sogno!
Risi. Un sogno molto realistico. Dovevo essermi fatta prendere dalle fantasticherie di Marco. Ero una persona facilmente suggestionabile.
Tastai alla mia destra. Mi salì un nodo in gola quando mi accorsi di essere l’unica a dormire sull’ampio letto matrimoniale. Eh già, la morte di mio marito non era solo un sogno.
Accesi la luce e staccai la sveglia. Infilai la vestaglia. Guardai il calendario. 31 ottobre 2003. La data era cerchiata. Accanto c’era una nota scritta con la mia grafia incerta. Appuntamento col dottor Marsani, 16.00.
- Che idiota, - imprecai – me ne ero dimenticata! –
Andai in cucina e misi a scaldare il latte. Entrai nella stanza di Marco e aprii la finestra assaporando l’aria fresca del mattino.
- Alzati, che è tardi.- dissi.
Mi sedetti sul letto e scostai il piumino della carica dei 101.
- E non far finta di dormire! –
Marco si stiracchiò.
- Ciao mamma. – mi disse, fissandomi con i suoi occhi seri.
- Ciao. Dai, sbrigati, che ti preparo il latte. –
Mi chiesi se fossero rimasti calzoncini puliti nel cassetto. Feci per alzarmi, quando Marco disse:
- Stanotte papà è tornato a trovarmi. –
Possibile che fossero tutte macabre coincidenze? Inspirai a fondo. Non dovevo farmi prendere dal panico. Dovevo lasciar parlare il bambino e non innervosirmi. Quel giorno lo avrei portato dallo psichiatra e tutto si sarebbe sistemato.
Gli presi le manine.
- Davvero? – gli dissi.
- Già. E mi ha detto delle cose molto importanti. –
- Cioè? –
- Molte cose.. ma te le spiegherà. Adesso devo farti un gioco. -
Deglutii a vuoto.
Calma, devi stare calma.
- Che genere di gioco? –
Mi guardò col suo faccino serio.
-  Chiudi gli occhi. –

Morgana