Un momento di pace

Niente da fare!
La macchina non ne voleva sapere di rimettersi in moto. Per fortuna aveva fatto in tempo a piazzarla in un piccolo slargo, sul lato della Provinciale.
Provò a girare la chiave ancora una volta.
Il rumore che ottenne, più che quello di un motorino di avviamento, sembrava quello di un vecchio enfisematoso con la tosse.
Era chiaro che la batteria era andata.
"Ci mancava solo questa!", sbuffò nervosamente, cercando il cellulare nella sua valigetta.
Era il degno seguito di una settimana perfino peggiore di quelle che l'avevano preceduta!
Finalmente trovò il telefono.
"Ma porc…! Non c'è campo!!", esclamò.
La rabbia salì di colpo, come un'improvvisa fiammata.
Quando ebbe finito di sbattere violentemente i pugni contro il volante si guardò intorno, come per verificare che nessuno l'avesse visto.
Ma nessuno poteva averlo visto: era solo, fermo sul lato di una Strada Provinciale, circondato dai campi arati e improduttivi di Novembre. E soprattutto da una nebbia così fitta che non permetteva di vedere oltre venti metri scarsi… era tale da sembrare in grado di ingoiare tutto: luci, suoni, perfino le onde elettromagnetiche del cellulare!
Scese dall'abitacolo, fece ansioso un giro intorno alla macchina, come per verificare chissà che cosa. Il rumore dei suoi passi risuonava sordo, come se la nebbia, lì intorno, lo fagocitasse con ingordigia.

Si fermò davanti al cofano. Sapeva che se l'avesse aperto non avrebbe concluso nulla, per cui si risparmiò quella inutile fatica.
La macchina ferma era, in fondo, solo il più recente dei suoi problemi: c'erano gli avvocati di sua moglie (o meglio… ex moglie) che lo stavano spennando fino all'ultimo centesimo; poi c'era la banca, che continuava a perseguitarlo con le rate del mutuo con cui si era pagato le ultime ferie; inoltre c'era il suo lavoro insoddisfacente e senza prospettive, con quell'isterica della capo ufficio che lo vessava in continuazione; e poi c'erano i genitori, vecchi e arteriosclerotici, i vicini rompiscatole, i colleghi insolenti, i vigili urbani, le tasse, il mal di schiena…
La sua vita era un inferno.
E ora ci si metteva anche quella dannata macchina, a piantarlo a piedi in mezzo al nulla, circondato solo da quella maledetta nebbia che ingoiava tutto.
Urlò al mondo tutto il suo odio ed il suo risentimento.
Come risposta ottenne solo un gran silenzio.
Le corde vocali gli bruciavano.
Sentì il suo respiro, da affannoso che era, farsi, più lento e prolungato. Inspirò l'aria umida e fresca di quel pomeriggio di Novembre. Si rese conto di sentirsi un po' meglio.
Intorno a lui c'era solo quel panorama grigio e ripetitivo. Alle sua orecchie non giungeva altro suono che quello prodotto dal suo respiro. Niente auto in arrivo, niente voci, niente cinguettii, niente di niente.
Solo allora si accorse che il nervosismo e l'angoscia se n'erano andati. Erano usciti dal suo corpo con quell'urlo e l'onnivora nebbia li aveva subito ingoiati, come tutto il resto.
Era come svuotato di ogni sentimento negativo.
Si guardò nuovamente intorno. Ciò che vide gli parve, ora, come un piccolo mondo tutto suo. Una realtà di una ventina di metri di raggio dove lui era il re, e tutto il resto, compresi i suoi problemi, non poteva raggiungerlo.
Si sentì estremamente rilassato, in pace con se stesso e con il mondo.
Camminò avanti a sé per qualche passo, godendosi il suono delle sue scarpe, come se fosse una melodia che suonava solo per il piacere delle sue orecchie.
Aprì le braccia ed inspirò profondamente, ad occhi chiusi, l'aria di quel pomeriggio novembrino. Come se fosse un delicato profumo, destinato solo ed esclusivamente alle sue narici. Si sentiva leggero.
In fondo, pensò, non tutto il male veniva per nuocere: se la sua macchina non si fosse fermata non avrebbe potuto godersi quel momento di pace. Una cosa di cui, si rese conto, aveva un disperato bisogno da molto tempo.
Avrebbe davvero voluto che quel momento fosse durato in eterno.
L'auto grigia, a fari spenti, lo falciò improvvisa come una mazza da golf con la pallina, scagliandolo parecchi metri più in là, a lato strada, e svanendo senza alcun rumore, ingoiata dalla nebbia dalla quale era emersa un quarantina di metri più indietro.
Lui rimase lì, riverso sulla strada, come un giocattolo rotto. Sul volto restava disegnata la medesima beata espressione che aveva un istante prima.
La stessa di chi ha avuto un suo grande desiderio, finalmente, soddisfatto.

Fabrizio Vercelli