L'ultima erezione

C'era fumo, odore di alcool, qualche ubriaco e una gran tristezza nel bar vicino alla stazione.
Marie entrò aprendosi l'impermeabile di plastica che era solita indossare nelle serate di pioggia come quella. Sulla strada, quando non si trovavano clienti, quando le uniche macchine che si avvicinavano erano quelle piene di ragazzetti che ti prendevano solo in giro urlandoti dietro insulti. Quelle erano notti in cui era meglio andare a rifugiarsi in qualche bar e aspettare un nuovo giorno.
Questo era quello che pensava Oreste quando la vide entrare.
Era bella, ma di una bellezza che può stancare. Il viso affusolato, le gambe ben scolpite ma un po' troppo corte per i suoi gusti. Aveva i capelli bagnati a ciocche che le si appiccicavano il viso, qualche fiocchetto colorato in testa e un vestito ridottissimo.
La vide togliersi l'impermeabile, appoggiarlo sull'appendiabiti che non usava mai nessuno per paura di essere derubato, e sedersi al bancone. Ovviamente tutti gli occhi erano puntati su di lei, su quella figura femminile, sconosciuta agli avventori del bar e ricordo di qualche sogno erotico ormai lontano.
Oreste non era tipo da rimorchiare qualcuna così, una sera, non avendo niente di meglio da fare. E poi di donne ne aveva già avuto abbastanza.
Un matrimonio terribile, infernale, assieme ad una donna che gli si era incollata addosso fin da quando avevano vent'anni, si era fatta mettere incinta e sposare. Lui aveva sopportato per anni, decine di anni, poi era esploso ed era andato via di casa.
Era passato un mese e Oreste non ne aveva più saputo niente. Almeno riusciva a vivere la sua vita in tranquillità, da solo, certo, ma con la consapevolezza di essere libero, perlomeno da legami morali verso suo figlio e la sua ex moglie.
Passava tutte le sere al bar, si era fatto una ristretta cerchia di amici con i quali parlava di calcio e di donne.
L'entrata della ragazza aveva sconvolto l'ordine definito e immutabile del bar.
Era una puttana, si vedeva lontano un chilometro. A Oreste sembrava anche di averla già vista lungo i viali frequentati da prostitute e clienti in una sera in cui si sentiva solo. Non succedeva spesso, a volte però la solitudine e la compagnia della sua mano lo mettevano di cattivo umore. Allora andava a cercare compagnia. Necessariamente giovane e molto carina. Solo una volta era andato con un trans, mica era un ricchione lui, però non aveva potuto resistere alla tentazione di provare. Era stato interessante.
La ragazza si era appena seduta, aveva ordinato qualcosa che assomigliava ad uno di quei cocktail del cavolo che servivano nei locali per giovani, una di quelle porcherie che il barista cercava di propinare a tutti. Ma gli altri erano degli intenditori come lui: solo birre nostrane. Opportunamente ghiacciate.
Gigi Luce, un tipo allucinante che puzzava di sudore anche la mattina alle otto, le si avvicinò sorridendo. Aveva in mano un whisky annacquato e mostrava senza vergogna le sue mani callose e sporche di grasso.
Si sedette vicino alla ragazza cingendole le spalle con il braccio. Oreste immaginò il fetore che dovevano sprigionare le sue ascelle. Dalla sua posizione non poteva sentire quello che si stavano dicendo, sta di fatto che lei lo allontanò sorridendo, fece un rapido giro con lo sguardo, si alzò e andò spedita verso di lui.
Oreste rimase immobile, la guardava diritta negli occhi. Intanto pensava, cercava di trovare qualcosa di dire.
E se fosse diretta in bagno? No, è dall'altra parte, poi è otturato da anni.
E se volesse solo d'accendere? Le do l'accendino e attacco a parlarle di quello che fa, che non fa e di quello che si aspetta per il futuro e dell'avvento dell'euro.
La ragazza gli arrivò davanti, aveva la sua vagina all'altezza del naso. I tavolini del bar erano piuttosto bassi. E la ragazza era alta, bella figliola dopotutto.
"Posso sedermi qui?" disse con un vago accento ungherese.
"Certo, accomodati".
Tutto il bar aveva gli occhi rivolti verso di loro. Oreste era sicuro che nelle patte di tutti i presenti ci fosse una generosa erezione.
"Io mi chiamo Marie" disse lei.
"Piacere, Oreste".
"Come mai te ne stai tutto solo in un angolo?"
"Mi andava di stare per i fatti miei..." disse Oreste finendo la birra.
"E non ti andrebbe un po' di compagnia..." disse Marie.
Era una puttana, lo sapeva, l'aveva capito dal primo momento che l'aveva vista. Ora, per avvalorare la sua ipotesi si aggiungeva l'odore del suo profumo, fastidioso, da due soldi, il trucco eccessivo e la proposta di compagnia facile.
"Non ho soldi da spendere stasera" disse Oreste.
"Io non voglio soldi, quello solamente se sto lavorando, ma ora sono in un momento di relax, ero venuta a prendermi qualcosa da bere, ti ho visto e allora mi sono detta..."
"Perché non fregare qualcuno di questi sfigati" disse Oreste interrompendola.
"...No, non volevo dire questo, ma se lo credi non importa... volevo solo un po' di calore in questa notte così fredda. Comunque è stato un piacere, Oreste".
Si alzò, non lo degnò di uno sguardo, prese il suo impermeabile e sgusciò fuori dal bar. Si era lasciato scappare un'occasione, una ghiotta occasione. Il suo cervello urlava che non era il caso di fare troppo il difficile, di vedere fregature dovunque, anche in una bella ragazza che cercava solo la vicinanza di qualcuno per non sentirsi troppo sola.
Si alzò in fretta, buttò un paio di banconote da diecimila sul bancone e salutò tutti rapidamente.
Fuori faceva freddo e la pioggia aveva riempito l'aria di un'umidità maleodorante. Rimase per qualche secondo a guardarsi intorno. Il suo alito si condensava in una piccola nuvola grigiastra. Non c'era traccia della ragazza. Come si chiamava? Marie.
Peccato, adesso che ci aveva ripensato. Forse lei non ne aveva più voglia, o forse si era già trovata qualcun altro che le facesse compagnia. Qualcuno che non facesse il difficile come lui.
Sentì un rumore di passi subito vicino l'angolo.
"Speravo che ci avessi ripensato" sentì dire.
Era lei, stretta nell'impermeabile di plastica, con i capelli all'indietro, con il suo trucco esagerato. Una folata del suo profumo gli arrivò a quella distanza.
"Bè, ho pensato che un'occasione del genere capita raramente... a uno della mia età".
"Allora, dove mi porti?" disse Marie avvicinandosi.
"A casa mia, ovviamente!"
In macchina Marie gli raccontò tutta la sua vita. Nulla ci eccezionale, era la solita vecchia storia della ragazza scappata via dal suo paese, era nata in un paesino vicino Budapest, in cerca di fortuna nel nostro paese. Arrivata in Italia le avevano offerto un paio di ruoli in fotoromanzi scadenti, poi era finita sul marciapiede.
"Un giorno me ne andrò via... io ci spero ancora" disse.
Oreste la ascoltava. Si lasciava trasportare dal racconto triste della ragazza. Avrebbe voluto raccontarle anche la sua storia, ma per il momento non gli sembrava il caso. Troppa tristezza nelle parole di Marie, troppa malinconia per un passato povero ma felice in contrasto con un presente e un futuro ricco di incognite.
La casa di Oreste era in disordine. Il classico disordine che si avverte nelle case quando manca una donna. Tutto sembra in armonia, ma il tocco femminile si nota dai particolari. Troppa polvere a terra, l'aria viziata dalle sigarette e dagli odori di cucina.
"Accomodati, vuoi qualcosa da bere?" disse Oreste.
"No... anzi, dammi una coca-cola..."
"Ora controllo se ce n'è ancora...."
Oreste tornò con due bicchieri. Una coca per lei, un whisky per lui.
"E tu? Non mi dici niente di te?" chiese Marie.
"Che ti devo dire... niente di speciale, faccio un lavoro normale, non ho particolari passioni, sono divorziato, anzi, ancora separato visto che la mia ex moglie non vuole mandarmi i documenti..."
"E perché vi siete lasciati?"
"Io l'amavo, un tempo l'amavo veramente, poi col passare del tempo la sua è diventata una vera mania, non faceva più niente se non aveva la mia approvazione o se non ero presente... quella donna ha una vera ossessione per me... e io mi sentivo oppresso, non riuscivo a respirare..."
"E non ti fa piacere che una donna ti ami così tanto?"
"Sì, ma l'amore va dosato, centellinato. Troppo amore ti uccide, ti tarpa le ali..."
Marie si avvicinò e gli poggiò una mano sulla coscia. Oreste capì il segnale e la baciò con passione.
Rimasero così, lingua su lingua mentre le mani si muovevano rapide alla ricerca di carne liscia da sfiorare e palpare. Oreste sentiva il sapore della sua bocca: salato, un po' sgradevole.
Lei, rapida, gli slacciò la patta dei pantaloni e scese già con la bocca avida e rossa. Oreste si lasciò cadere sullo schienale del divano mentre con una mano le spingeva la testa sempre più in basso e con l'altra si abbassava i pantaloni fino alle caviglie.
Lei disse con la bocca piena: "Andiamo di là".
Marie scivolò in camera da letto leggera e furba.
Oreste si sdraiò. Il freddo del piumone gli fece venire la pelle d'oca.
Marie continuò la sua affamata performance. Ogni tanto alzava lo sguardo per guardarlo negli occhi. Lui si sentiva eccitato da quegli sguardi lascivi.
Ormai il suo pene era gonfio, pulsante e vivo al massimo dell'erezione.
Marie si tolse l'impermeabile e lo lasciò scivolare a terra mentre già si slacciava i bottoni del top. Oreste la vedeva lavorare di lingua sulla sua cappella tesa allo stremo, martellargli i testicoli con rapidi colpi di mano, stringendoli quanto basta per sentire il contatto morbido dei polpastrelli.
Chiuse gli occhi e piegò la testa all'indietro.
In un misto di eccitazione, godimento allo stato puro, provò una sensazione aliena, troppo sgradevole. D'improvviso il dolore aumentò fino a diventare insopportabile. Alzò la testa e vide Marie con il suo pene in mano, nell'altra un coltello e sangue dappertutto. Sul letto, su di lui, nella bocca di Marie, sui suoi vestiti, sul suo cazzo ormai reciso di netto.
Cercò di urlare, più di paura che per il dolore che improvvisamente era scomparso. Dalla sua bocca uscì soltanto un flebile rantolo un po' acquoso.
Marie sghignazzava, era scattata in piedi, ancora con il suo pene in mano.
Oreste si portò le mani sul pube e cercò di stringere quello che rimaneva di quell'appendice carnosa che schizzava sangue come una fontana. Ma il sangue gli scendeva dai polpastrelli, si infilava tra le sue dita serrate, gli rendeva le mani appiccicose.
"Perché?" disse implorante mentre si stringeva in posizione fetale e sentiva che le forze gli mancavano.
"Per tua moglie Anna... lei me lo ha chiesto, voleva darti una lezione, voleva che non vivessi senza di lei..." sghignazzò Marie accarezzando il suo pisello, portandoselo sulle guance.
Oreste non pensava lucidamente, la vita gli stava sfuggendo via assieme a tutto quel sangue misto a urina. Anche il contenuto del suo intestino gli stava scivolando via riempiendo il letto di materia fecale color verde.
Una patina gli era calata davanti agli occhi, il viso della sua assassina era sempre più appannato. Poteva vederla mentre baciava il suo cazzo, si passava il sangue sul corpo disegnando figure che assomigliavano ai tatuaggi indiani. Lo stringeva alla base per non fargli perdere l'erezione.
Poi chiuse gli occhi. Per sempre.

 

Una ragazza suonò al campanello di un appartamento in periferia.
Era tutta bagnata, indossava un impermeabile di plastica e qualche fiocchetto colorato tra i capelli.
Aprì una donna sulla cinquantina, dimessa, con delle profonde occhiaie e un brutto vestito marrone.
"Ciao, Marie" disse la donna. "Entra!"
"Ti ho portato quella cosa a cui tenevi tanto... te l'ho fatto imbalsamare, dimmi che ne pensi" disse Marie.
Tirò fuori un pene imbalsamato. Un feticcio perfettamente conservato, ancora eretto, liscio come se fosse di plastica, rosso sulla cappella, grasso e pasciuto.
"Grazie, è il suo, lo riconosco..."
La donna lo prese in mano, lo accarezzò un attimo compiacendosi della perfetta erezione, poi si sdraiò sul divano, alzò la gonna e, con la mano tremante per l'emozione, lo inserì delicatamente nella sua vagina rasata e pulsante.

Danz