Lassù sulle montagne

Arrivo sul ghiacciaio prima di mezzogiorno. Sono da solo, non ho voluto che altri dividessero con me l’onore di questa scoperta.
È l’ennesimo avvistamento, lo so. Ma so anche che questa volta le notizie sono più dettagliate, la fonte è fidata. Sento che è la volta buona.

 

Seguo le coordinate segnate sulla carta geografica che sto consultando, c’è segnata una X, che indica un punto che dovrebbe trovarsi a pochi metri da me. Pochi secondi e la vedo.
Non può trattarsi di un falso. È un’orma gigantesca, non può essere stata lasciata da un animale e neanche da uno scarpone. E non può trattarsi di uno scherzo perché è da anni che nessuno arriva fin qui.
È lui, deve trovarsi qui intorno.
L’abominevole uomo delle nevi, lo Yeti, Bigfoot, chiamatelo come volete.

 

È una vita che lo cerco, ho dedicato tutta la mia esistenza alla sua ricerca, ed è come se avessi vissuto fino ad oggi solo per arrivare a questo momento.
Non sono solo su questo ghiacciaio, lui deve essere a pochi metri da me, ma ancora non lo vedo.
Sono armato. Controllo che nella pistola sia inserita la siringa per addormentarlo.
E poi controllo che anche il fucile sia carico. Di pallettoni veri, però. Non posso sapere se si addormenterà con i sedativi, e non esiterò un secondo ad ucciderlo, se sarà necessario. Vivo o morto, la cosa più importante per me è scoprire tutti i suoi segreti.
Com’è possibile che esista ancora un essere così antico?
Ce n’è uno solo o un’intera razza?
Perché ne viene visto solo uno alla volta?
Com’è possibile che non siano ancora morti?
E se muoiono, dove sono i cadaveri?
Sento che sto per conoscere tutte le risposte.

Ecco, succede qualcosa. Il ghiaccio sotto di me comincia a tremare, via via sempre più forte.
Di qualsiasi cosa si tratti, è silenziosa, solo il peso tradisce la sua presenza.
Il ghiaccio continua a muoversi, sta uscendo qualcosa da sotto.
Arriva! Vedo un’ombra che si avvicina. È lui, è lui! Finalmente lo vedo, purtroppo non ho il tempo per godermi questo momento storico, e neanche per pensare che sono un privilegiato e che diventerò famoso in tutto il mondo. Devo muovermi.
È enorme, molto più grande di quanto pensassi, sarà quasi tre metri. È completamente coperto di un vello scuro, anche sul volto, come un gorilla, ma è molto più agile e più sottile. Non assomiglia a nessuna scimmia conosciuta, assomiglia più ad un uomo incredibilmente peloso ed alto.
Ho azionato la macchina fotografica, spero che la luce non sia troppo forte. Qui è tutto circondato da un bagliore accecante, però riesco a vederlo bene.
Anche lui mi ha visto, si sta avvicinando, non sembra minaccioso ma non posso permettermi imprudenze. Armo la pistola. Miro alla gamba. Sparo la siringa col sedativo. Lo colpisco.
Lui si blocca per un attimo, non emette nessun suono, ma non mi sembra intontito.
Con calma afferra la siringa e la getta via. Non perde sangue, e soprattutto il sedativo non ha fatto effetto. Continua ad avvicinarsi, adesso si fa minaccioso, agita le braccia.
Sono costretto ad arretrare, ma non posso permettermi di fuggire perché la superficie ghiacciata è molto più favorevole a lui. L’unico aspetto positivo è che sembra solo, non ce ne sono altri.
Sono riuscito ad inserire un’altra siringa nella pistola, stavolta miro al braccio.
Niente. Adesso ho la certezza che i sedativi non hanno nessun effetto su di lui, se non quello di farlo infuriare. Continua ad avvicinarsi.
Provo a nascondermi, ma su questo territorio è impossibile.
Non ho scelta, armo il fucile, miro alla testa. È così vicino che non posso sbagliare, penso che potrei provare a stordirlo e basta, ma non posso permettermi il rischio.
Non vorrei farlo, ma in questo momento è più importante salvarmi la vita.
Premo il grilletto, senza rimorsi.
La sua testa va in frantumi sotto i miei occhi, lui crolla a terra. È morto.
Ho ucciso l’uomo delle nevi, forse l’unico esemplare al mondo. Avrei preferito prenderlo vivo, ma anche così è una scoperta sensazionale. Ora devo trovare il modo di trasportarlo.
Ma a questo punto succede qualcosa. Il cadavere del mostro sta cambiando. Sembra che si stia sciogliendo come neve al sole.
È come se andasse in rapidissima decomposizione, quasi che tutti i suoi secoli presentassero il conto in una sola volta. Questo spiegherebbe come mai non è stato trovato nessun cadavere, ma devo fare in modo che si conservi qualcosa.
Fotografo i resti, poi prendo delle coperte e cerco di raccoglierli.
Prima ancora di decidere cosa fare, a terra rimangono solo delle macchie che il ghiaccio provvede velocemente ad inghiottire.

 

Poi comincia ad accadere qualcosa. Avverto una specie di vertigine. Sono inchinato sul ghiaccio, ma non sento più il freddo, sento però tutte le articolazioni che si ribellano.
Provo ad alzarmi, ma il mio corpo non risponde più.
Provo a gridare qualcosa, ma dalla mia bocca esce solo un rantolo. Con orrore mi accorgo di avere ingoiato la lingua, penso che sono sul punto di soffocare, ma poi le mie narici si allargano e riesco a percepire l’aria ghiacciata in un modo che non avevo mai provato.
Sento le mie carni che si straziano, e io non posso fare niente.
Il mio corpo sta cambiando, e la mia mente si allarga. Riesco a pensare a cose che prima non mi avevano sfiorato, all’immensità degli spazi, al mio ruolo nel mondo.

 

Quando riesco a rialzarmi, la montagna è ai miei piedi.
Sono alto almeno tre metri, gli abiti e le attrezzature del mortale che tanto sembravano importanti giacciono a terra, in pezzi.
Il mio corpo è coperto di vello scuro, non posso specchiarmi ma so come sono. So chi sono.
L’abominevole uomo delle nevi, lo Yeti, Bigfoot, chiamatemi come volete.
Sono antico come il mondo, non posso parlare ma raccolgo in me i pensieri di tutti quelli che mi hanno preceduto. Io sono tutti quelli che mi hanno preceduto.
Perché l’uomo delle nevi esiste da quando esiste il mondo, ed esisterà fin quando il mondo esisterà.
Non posso morire. Mi possono uccidere, ma io risorgerò nel corpo del mio assassino.
Perché uno dovrà sempre rimanere.

Guido Del Duca