Non erano nervi!

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Le mani, scosse da un tremito incontrollabile, sudavano mentre Alberto cercava la toppa con la chiave; finalmente riuscì ad aprire la porta. Non appena dentro, la richiuse di colpo, appoggiandovisi contro. Ansimando, allentò la cravatta, passandosi poi la mano sul viso. Il sudore gli gelava la faccia, gli correva in rivoli lungo la schiena. Stette lì, a occhi chiusi, il cuore che martellava nelle orecchie e pareva volesse volar via dalla gabbia toracica, come un uccello impazzito che sbatte le ali contro le sbarre nel disperato tentativo di fuggire.
Il respiro correva su e giù, su e giù, a pompare aria ai polmoni ansimanti. Con cautela riaprì gli occhi. Lo accolse la stanza, linda e ordinata come l'aveva lasciata due ore prima. Due ore? O un secolo!? Il letto, il tavolino, l'armadio contro la parete in fondo, rassicuranti, ordinati. Lentamente, il respiro smise di correre; allora, forse, era stato un sogno l'orrore fuori dalla porta. Allora, forse, era stato... qualcosa, un'evasione della mente.

Aveva lavorato troppo, negli ultimi tempi, e poi Silvia, scappata con quel ballerino... Sì, sì, era così. La Creatura informe che gli si era materializzata di fronte all'improvviso, mentre tornava a casa, poteva essere un parto della sua fantasia sovreccitata. Era così, certamente, era stato uno stupido a spaventarsi, ma ora era tutto a posto… Un calmante, ecco, avrebbe preso un calmante. Erano solo nervi, nient'altro che nervi scossi. Barcollando, si avvicinò al letto e vi si buttò, lanciando via le scarpe.
Una risata rauca, profonda e terrificante, che pareva provenire dalle viscere stesse della terra, gli strappò il cuore, e il letto, fattosi mani e bocca, lo inghiottì, precipitandolo nella gola umida e calda, giù, sempre più giù...
Nella stanza si sentì un "Borp", e fu tutto quello che rimase di lui, oltre alle scarpe.

Anna Maria Esposito

Sono Anna Maria Esposito, sono nata nel 1964, anche se, in qualche luogo sperduto, devo aver perso i venti che non mi sento addosso; sposata da quattordici, ho un figlio, Fabio, di nove anni; sono un avvocato, anche se non esercito perché lavoro in un Ente previdenziale da quasi cinque anni, lavoro che mi fa capire come mai Bukowski non abbia resistito nel suo fino a maturare la pensione e mi fa meravigliare di come abbia tenuto duro fino a cinquant'anni! Scrivere è una necessità, lo è sempre stata. E' un tormento, a volte un torcibudella, una dannazione, un'ossessione e, spero, non uno strazio per chi dovrà leggermi. Sono io. Le mie aspirazioni? Scrivere, e potermi dedicare alla scrittura a tempo pieno, lasciando il lavoro che mi fa star male, fisicamente e spiritualmente, ogni mattina dal lunedì al venerdì.