The Void

Era già mattina inoltrata eppure il sole aveva fatto capolino solo poche volte, coperto sempre da immensi nuvolosi grigiastri che non promettevano nulla di buono. Solamente verso le undici e mezza qualche tenue raggio di luce iniziò a filtrare e a rincuorare i poveri disperati che certamente non avrebbero preferito una bella raffica di pioggia, l’ennesima di quel mese così insolitamente piovoso.
A un lato della strada, un piccolo bar era frequentato da pochi clienti. Due erano al bancone e chiacchieravano a ruota libera dei fatti propri; uno era al centro della sala, come incerto su cosa fare; l’ultimo era a uno dei tavoli, il giornale spiegato davanti a sé e la tazza di caffè fumante lasciata incustodita, come se all’ultimo momento avesse deciso di non volerla più.
In quel momento il barista iniziò a passare tra i tavoli per ritirare i soliti oggetti lasciati dai fastidiosi clienti, fazzoletti appallottolati, bicchieri bevuti per metà, pacchi di sigarette vuoti e lasciati là a riposare.
Come per una coincidenza, il cliente col giornale davanti chiamò il cameriere, che conosceva da tanto, mentre il cliente indeciso finalmente si poneva davanti al bancone, in attesa.
- Mi hai chiamato, Antonio?
- Sì - rispose l’uomo chiamato Antonio. - Ho saputo dell’ultimo colpo di The Void. Anche stavolta ha colpito la banca della strada all’angolo.
- Sì, si è fatto un bel bottino - il cameriere, Roberto, annuì. Era un giovane sulla trentina, il corpo snello, il viso vivace e simpatico.
- Anche stavolta è stato colto in flagrante - continuò Antonio - e anche stavolta è riuscito a seminare tutti i suoi inseguitori. L’ultima volta ne aveva un bel numero, sai. Qui dice che aveva vari passanti e due carabinieri che per caso si trovavano lì.
- Per caso, eh? - Roberto fece una risatina, mentre faceva un cenno al cliente in attesa al bancone.

Il cliente al tavolo abbassò il giornale rivelando un volto decisamente giovane, quasi infantile, in contrasto col corpo di trentenne alto e ben proporzionato, e due occhi scuri che saltellavano da una parte all’altra, quasi incapaci di fissarsi su un punto. Si posarono prima su Roberto, poi sul giornale, poi sulla tazza di caffè ancora immacolata, poi ancora sul giornale.
- Anche stavolta è corso nel quartiere est - continuò, poggiando per un attimo il giornale sulle gambe. Si sentì un debole fruscio mentre Roberto liberava il contenuto di alcuni tavoli. - Il quartiere est è facilissimo da tenere d’occhio, e infatti era quello che pensavano anche i due carabinieri, probabilmente. Avranno creduto di tenere in pugno The Void, questa volta. Hanno raccontato che l’inseguimento è durato qualche minuto. Erano sicuri di non averlo mai perso di vista.
- E invece? - domandò Roberto. - Non ho letto quella parte dell’articolo, solo il primo pezzo.
- Qui dice che i due carabinieri hanno visto The Void entrare in una via, una via che termina in un vicolo cieco. C’è solo una porta che conduce a una villetta, ma niente altro. Non ci sono altre uscite.
- Facile, sarà entrato di là - disse Roberto, e rientrato al bancone prese l’ordinazione dell’ultimo cliente. Antonio rimase a pensare, poi, quando Roberto tornò a riordinare i tavoli, riprese:
- Nella villetta abita un professore di storia e filosofia. Lo conosci, ha scritto un paio di libri, neppure niente male... il professor Farris.
- E questo Farris che dice? The Void è entrato di là? Magari l’ha minacciato di tenerlo nascosto fino a quando i poliziotti non se ne andavano.
- Qui dice che nella casa c’era solo il professore, e che lui ha negato che qualcuno avesse bussato alla sua porta. I carabinieri hanno fatto una perquisizione anche abbastanza accurata della villetta, ma non hanno trovato nessuna traccia del ladro.
- Non è che è sgusciato via mentre quelli aprivano le porte di tutte le stanze? Ho visto la villetta da fuori ed è bella grande. Devono essere un bel po’ di metri quadri.
- No: in ogni caso sarebbe stato visto da tutti quelli che erano rimasti all’inizio della via, un bel po’ di passanti.
- E dietro la villetta?
- In quel momento c’era un gran numero di passanti anche là. E nessuno ha visto niente.
- La villetta è stata controllata proprio bene? Mi pare molto strana questa cosa!
- Anche a me. Ma successivamente è stata effettuata un’altra ricerca: ma né un tempo maggiore né un maggior numero di uomini ha potuto cambiare la situazione.
- Un bel mistero, no?
- Già proprio un bel mistero. Credo che andrò a parlare a una certa persona, adesso. - Antonio si alzò dal tavolo, sorseggiò il caffè ormai freddo e lasciò alcune monete vicino alla tazza finalmente vuota. - Tieni il resto, Roberto. Buona giornata - e poggiato il giornale da una parte uscì con trepidazione.

 

Mezz’ora dopo era nell’ufficio di un comandante dei Carabinieri, un amico di vecchia data.
- Anche tu sei venuto a lamentarti di questo mistero? - gli domandò l’amico in un tono scherzoso che celava abbastanza male un certo fastidio.
- No, no - fece Antonio. - Vorrei solo sapere qualche particolare in più, se non ti dispiace.
- Tutti i particolari li puoi trovare sul giornale - l’altro ne prese uno quasi con stizza. - Questi giornalisti. Abbiamo un ladro che rapina una banca, che scappa e che trova rifugio in una via. Non riusciamo a prenderlo una, due volte, e ora ne fanno un eroe nazionale. The Void, il vuoto, lo chiamano.
- Il vuoto non ha consistenza, pure sappiamo che c’è - fece Antonio, e annuì con un limpido sorriso. - Però è strano che non lo prendiate mai. Ogni volta si rifugia in una via e d’un tratto sparisce. Come lo spieghi?
- Ci sono tante spiegazioni possibili - ribatté l’altro, col tono insicuro di chi teme che non ve ne sia nessuna.
- Però avete perquisito la villetta, avete messo sotto torchio il professore, quel Farris... non mi verrai mica a dire che ci sono botole segrete da qualche parte?
- No, non verrò a dirtelo, perché non ce ne sono. Ci sono posti che non abbiamo controllato, perché era inutile: troppo piccoli per una persona. A quel punto non aveva neanche senso. The Void è descritto da tutti come una persona di statura media: impossibile che si rincantucciasse lì dentro.
- Meno male. Non l’avrei sopportato. E allora?
- E allora continuiamo a battere tutte le piste. Stai tranquillo che una spiegazione esiste.
- Sicuro. - Si alzò. - Spero che tu la trovi il prima possibile, perché non vorrei vederti braccato dall’intera cittadinanza, assetata di spiegazioni che tu non le puoi dare.
Sorrideva, ma parlava con un fondo di verità, e l’amico lo sapeva bene, molto bene.
- Lo spero anch’io. Ma dove vai?
- Vado a fare alcune chiacchiere con un... conoscente. Credo che sia l’unico a saperne più di tutti di questa storia.

 

Il professor Farris era un uomo sulla cinquantina, alto, magro, il viso brillante e intelligente, gli occhi diretti e profondi, gli occhiali luccicanti, i lunghi capelli grigi lasciati attorcigliare dietro la nuca.
- Non sarà un altro poliziotto, o giornalista? - aveva domandato con scherzoso timore.
- No, no. Un semplice curioso, affascinato dai fatti - aveva risposto Antonio.
Ora regnava un lungo silenzio. Il professore guardava il pavimento davanti a sé, meditabondo.
- Ho letto anch’io di tutti questi fatti strani - disse poi senza alzare lo sguardo. - Ma le giuro che non ho la minima idea di chi possa essere quel criminale.
- È sicuro di non averle aperto la porta, quella mattina? - domandò Antonio.
- No, no davvero. Non avevo certo voglia di dare asilo a un pazzo, braccato da tutti.
- Oh certo, certo. Ed è altrettanto sicuro che non si sia acquattato qui dentro, nascosto in qualche luogo inaccessibile?
Il professore scoppiò a ridere.
- La mia è una villetta modesta. Non ci sono luoghi inaccessibili, come lei dice. Forse lo sa già, ma la polizia ha effettuato una perquisizione che io ho trovato accuratissima, eccellente, quasi rasente la perfezione.
Gli occhi di Antonio brillavano mentre saltellavano dal professore ai libri in un mobile a fianco e di nuovo al professore.
- Peccato, speravo di aver scoperto il segreto di tutta questa vicenda. Lo sa che mi appassiona moltissimo? - e si alzò per avvicinarsi ai libri.
- Non stento a crederlo - commentò il professore compiaciuto.
Antonio scorse i vari titoli dei libri scritti dal professore.
- Sa che ho trovato i suoi titoli veramente intriganti? Quasi mi calamitavano fino alla libreria. - I suoi occhi saltellavano con gusto da Il piacere dell’esistenza a Pena e solitudine ad ancora L’esistenza del nulla.
- Li ho letti e riletti parecchie volte. Beh, arrivederci professore. Spero che ci rivedremo presto.
- Ah sì? - le palpebre si alzarono lievemente.
- Lo spero per me, di fatto - e un attimo dopo la porta fu richiusa alle sue spalle.

 

- Credo di aver trovato la spiegazione - annunciò quella stessa mattina nell’ufficio del comandante.
- Ah sì? E quale sarebbe?
- Devi venire con me in casa del professore. È lì la spiegazione.
- Davvero? In quella casa? Ma se...
- Non importa. Dobbiamo sbrigarci. Un attimo di più, e l’intera vicenda potrebbe non avere più soluzione.

 

Il professore rimase sorpreso nel vedersi piombare in casa tutti quei carabinieri.
- Mi pareva che qui aveste finito - disse, e il tono allegro della mattina era sparito.
- Occorre fare solo una piccola verifica - disse Antonio, mentre i suoi occhi si appuntavano su ogni oggetto del grande salotto, dal tavolino alla poltrona di raso alla libreria a lato.
- Bisogna controllare in cassaforte. È lì la chiave del mistero.
I suoi occhi si fermarono sul professore. Il cambiamento di Farris fu evidente a tutti.
- Vi presento - disse Antonio arretrando di un passo con gesto teatrale - il geniale delinquente che tutti voi conoscete come The Void. È qui davanti a voi, è sempre stato davanti a voi: anche quella mattina rimase sempre con voi, addirittura vi aprì la porta, perché eravate entrati in casa sua!
Silenzio di sgomento e sorpresa.
- Il professore è The Void?
- Se non mi credete controllate pure nella cassaforte. E se non trovate prove sufficienti, potrete sempre fare qualche domanda al professore qui presente sui suoi movimenti bancari.
Non aveva ancora finito di parlare, che un carabiniere fece cenno al comandante di venire a dare un’occhiata: il suo sguardo era foriero di grandi notizie.
Un attimo dopo, il contenuto della cassaforte fu deposto su un tavolo, alla vista di tutti: un cospicuo bottino frutto di tante imprese genialmente conclusesi in una apparente sparizione nel nulla.
- Una sola domanda: perché l’ha fatto? - domandò poi il comandante.
Il professore guardò a terra, sorrise, e non disse nulla.
- Io credo che la lettura di questo libro vi potrà essere molto utile - intervenne Antonio. - Posso avere il vostro permesso, professore, di prendere questo vostro preziosissimo lavoro?
- Consideratelo un mio regalo - disse questi, sempre sorridendo.
- Benissimo, allora. - Una copia del volume “L’esistenza del nulla” passò dalle mani di Antonio a quelle, un pochino titubanti, del comandante. Questi fissò il libro come meravigliato.
- Credo di essere un pochino a digiuno di queste letture - confessò ad Antonio quando furono tutti fuori dalla villetta.
- Oh, non importa - Antonio gli appoggiò una mano sulla spalla. Sorrideva come un bambino. - Non ti preoccupare, per quelle c’è sempre tempo. Sono senz’altro preferibili a una folla inferocita che chiede spiegazioni che tu non le puoi dare, no?

Alessandro Maxia

Nato a Cagliari il 23 gennaio 1987. Diplomato al liceo scientifico e matricola all’Università di Cagliari di Scienze della Formazione. Appassionato da sempre di lettura e scrittura, anche se questa è stata esplorata solo di recente (primi lavori a partire dal 2000, i primi “seri” dal 2003). Alcuni racconti pubblicati da giornali locali, uno nel 2004 e uno nel 2007. Unica convinzione: migliorare sempre perché c’è ancora molto da fare.