L'indole giocosa di un gatto

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Mia nonna lo ripeteva spesso, ogni volta che prendevo in braccio il gatto:
"Tieni lontano il volto dalle sue zampe! Può graffiarti o portarti via un occhio".
"Figuriamoci" pensai.
Con il mio gatto facevo di tutto. Gli tendevo gli agguati, mi nascondevo dietro la parete e gli mostravo solamente le dita della mano. Lui s'incuriosiva, veniva vicino e al momento giusto cominciavo a lottare, una lotta impari, certo. Lui era un micino curioso e i suoi artigli non entravano in profondità.
Anche mio padre lo ripeteva spesso, ogni volta che mi vedeva annusare il gatto.
"Tieni lontano il volto: lui vede le ciglia sbattere, pensa che siano un gioco e cerca di afferrarle!"
"Figuriamoci!" pensai.
A sette mesi il mio gatto aveva già perso tutta la sua curiosità. I giochi non lo attiravano. Non gli tendevo più gli agguati e pure lui sembrava stanco di nascondersi dietro la siepe e avvinghiarsi alla gamba mentre passavo.

Qualche volta sembrava risvegliarsi in lui l'indole giocosa che lo aveva caratterizzato da piccolo ma i suoi denti ora affondavano nella carne e gli artigli tracciavano lunghi solchi sulle braccia.
Un giorno s'accovacciò sulle mie gambe, presi ad accarezzarlo ma lui voleva solo dormire. Riuscii a prenderlo per il collo e lo sollevai. Improvvisamente ebbi un pensiero:
"Potrei schiacciare forte. Il suo collo sta dentro nel mio pugno, devo solo premere e poi potrei ricominciare con un altro cucciolo di gatto".
Lui non sembrava per nulla impaurito. Aveva un'espressione simile a quella di Gatto Silvestro, rassegnata, docile.
"Che strani pensieri che mi passano per la testa" dissi guardandolo.
E fu l'ultima cosa che vidi. Aveva ragione mio padre: le ciglia gli erano sembrate un gioco e rapidamente affondò gli artigli nei miei occhi.

Paolo Perlini