La cavità

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

E', il risveglio, una lunga fuga dalle paludi dell'inconscio.
(Larve d'incubo ancora s'attardano nei crepuscolari recessi del dormiveglia).
Dove sono?
Stesa nell'oscurità.
Ma non è il mio letto.
E' una cavità. Cupa e umida.
Posso avvertire l'acqua (acqua densa, vischiosa e - Dio - quanto nauseabonda) nonostante l'ottundimento delle mie percezioni tattili.
Una strana (eppure, ancora fioca) sensazione di fastidio, a contatto con la mia pelle nuda.
Non vedo nulla. E stento a muovermi.
E sento...
(Claustrofobia...)
Come se l'ombra fosse solida.
(Opprimente... Invasiva...).
E si andasse appressando attorno al mio corpo...
(Santuario di carne del quale ancora non ho ripreso pieno possesso...)

Che succede? In che modo sono finita qui?
Non ho ricordi. La mia mente divaga ogni qual volta tento di concentrarmi, di ripescare nella memoria.
(Porte che segregano gli spettri dell'insano... Porte che non debbono essere aperte).
Forse sto sognando.
Una sensazione di bruciore sempre crescente, che trapassa dal semplice fastidio alle soglie del dolore.
Una fitta.
Non sto sognando. Riesco a fatica a recare una mano alla gamba.
DOV'E'?! Dov'è la mia gamba?
Una contrazione.
E mi ritrovo immersa nell'acqua che brucia.
Che sta succedendo?
Voglio...
DOLORE.
ATROCE.
Dove sono le mie gambe?
Le pareti mi stringono.
Possibile?
Possibile che...?
...
Signore, no. NON QUESTO! TI PREGO.
Non questo...
Non voglio morire in un fottuto stomaco...
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!

Alessandro Avanzi