Gelida estate

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Di quell’estate ricordo soprattutto il gelo.
Forse, come adulto, dovrei fare una lista più razionale delle cose che vi racconto, ma la prima sensazione che mi torna alla mente e’ il brivido freddo che provavo quando i nostri genitori ci portavano al Grande Centro Commerciale.
Lo scorrere delle porte automatiche, il soffio d’aria calda che ci spingeva all’interno della galleria principale. E poi il morso dell’aria condizionata sulla pelle nuda delle gambe e delle braccia.
Era proprio la possibilità di godere del refrigerio gratuito che ci spingeva ogni sera verso il grande complesso di negozi, in un'estate torrida come non mai.
Il rito era completato da un gelato per ogni bambino e da mezz’ora di libertà nel labirinto luminescente delle vetrine. I grandi sedevano sulle panchine attorno alla fontana centrale e chiacchieravano rilassati, sorseggiandosi una bibita; noi, tribù eterogenea di bimbi, dai sette ai dodici anni sciamavamo via, felici.

La seconda cosa che ricordo, è il grande blackout.
Non il primo né il peggiore di quelli che seguirono, ma fu quello che ci colse impreparati.
Nel buio che ricoprì come una coperta la città ogni piano d’emergenza, anche quello più scrupolosamente progettato, fallì miseramente.
Il passaggio dalla luce all’oscurità fu istantaneo.
Un attimo di silenzio, l’attesa del ritorno alla normalità. Poi l’idea che non si trattasse di un evento momentaneo si insinuò nei pensieri della gente.
Il mormorio divenne rumore che divenne grido che divenne vetrina infranta e calpestio.
L’ultima cosa che ricordo è il viso della bimba mai più ritrovata.
Ogni tanto ritorno al Centro Commerciale: ora è solo un edificio fatiscente, rovine e macerie che risalgono all’era degli sprechi.
Ritorno, ma solo di giorno, perché la sera mi sembra di sentire un grande freddo nonostante la temperatura media ormai superi i quaranta gradi.

Giancarlo Manfredi