L'armata

Quel suono: ritorna, come lo scalpiccio di piccoli piedi scalzi. Leggero. Dal vuoto oltre la stanza giungono fievoli sospiri, mormorii. Per un attimo, spio nel buio impenetrabile del corridoio... basterebbe alzarsi e accendere la luce per convincersi che è tutta immaginazione. Ma non posso andare controllare, non posso smettere! Le parole si affollano nella mente... rumori soffocati piano si avvicinano; la mano vola sul foglio... minuscole dita accarezzano le pareti. Le sento, come se le vedessi.

 

Ma di cosa ho realmente paura? Forse, di dover rinnovare quei momenti, anche solo qui, su un foglio di carta sporco. L'opprimente sensazione che sia stato tutto vano... Non ci sei più e, sì, ho voluto te ne andassi, più di ogni altra cosa! Eppure adesso torno a parlarti, a cercare un contatto. Lo devo... E' beffardo il destino. La casa è vuota, ma conto mentalmente i passi che mi separano dalla tua stanza, e... qualcuno li calpesta! E' un rumore regolare, cadenzato. Quasi una marcia. Ma quale esercito è così discreto? Butto un'occhiata veloce al letto: le lenzuola sono a terra, attorcigliate. Non le ho volute su di me, né stanotte, né la scorsa, mai più. E cambiarle non sarebbe bastato. Sarebbero sempre state sporche: l'acqua non lava sudore e vergogna. Cambiarle ogni mattina perché sembrassero pulite non serviva, mamma... Capiresti, se ci fossi ancora?

Se... Eppure nessuno potrebbe togliermi l'idea malsana che mi tormenta! Erano passate solo poche ore da che i poliziotti avevano lasciato la casa, e già ogni soddisfazione per averli giocati spariva. C'ero riuscito! Non solo tu, tu, eri finalmente, per sempre, lontana, ma in più nessuno aveva capito cosa avevo fatto! Ma non bastava, non era abbastanza. Mancava qualcosa. E sapevo, che se quel qualcosa non fosse stato fatto al più presto, sarei tornato a sentirmi lo stesso, sbagliato, anche senza te. Quello di prima, e non volevo. E allora ti ho scritto: ieri ho scritto tutto quello che non ho mai avuto il coraggio di dirti, le parole che neanche quando mi eri davanti così, finalmente inerme, ho potuto confessarti. Che genere di terrore dà la forza di uccidere ma non quella di guardarti negli occhi mentre, lo so, avrei potuto farti ancor più male che con quel coltello, solamente parlando? Ah, che liberazione! Ma stamattina, sul tavolo, c'erano solo fogli bianchi. Dove sono le mie parole segrete mamma? Che fine hanno fatto stanotte? Le cose non dette, le frasi più sporche, che non avrei mai osato... Forse dovevo. Desideravano venire da te! E... traditrici, ora, sono da te! Stamattina, non mi sono sentito più così bene. E' durata solo una notte, la mia pace... Ed ora ho paura. Ma non è del resto la normalità, per me, la paura? E la vergogna di avere paura di te, e la vergogna, di me? Mi ero solamente illuso di potermi liberare... E ora mi scuso. Sì! Temo quello che ho detto a dei fogli strappati e temo ciò che mi avresti risposto se solo avessi potuto, e soprattutto temo la tua tenacia che so, ti ha già fatto trovare il modo di farmi pentire. Di certe cose non si può mai parlare, non si deve. Va bene se tagli la coda al gatto, l'importante è che tu non lo dica a nessuno, neanche a te stesso, così non sarà mai successo, non sarà stato reale... E' andata avanti così fra noi per anni, da quando papà è morto, ed ora che la sento arrivare, la tua risposta, quella che mai avresti dovuto essere costretta a dare, capisco come sarebbe stato meglio ancora obbedire. Ancora una volta. Puoi uccidermi, bambino mio, ma c'è qualcosa che non devi mai fare: mai, parlare, a nessuno, del nostro segreto. E così non esisterà nemmeno, un segreto. E allora mi scuso. Lo puoi vedere? Mi affretto a smentire tutto quello che ho scritto, è stato un errore, uno stupido scherzo. Lo scrivo su carta, perché la mia voce non la puoi più sentire e confido, che come ti sono arrivate quelle parole che mai avrei dovuto tracciare, anche queste giungeranno da te. Ma adesso, subito, prima che quella marcia quasi silenziosa giunga a destinazione... Prima che mi porti il tuo messaggio. Non punirmi mamma, per favore!

 

Sono stato cattivo... Quando ero cattivo mi chiudevi sempre in quella stanza, che era lo studio di papà, piccola e stretta, e polverosa. Lasciavi solo una candela accesa: sapevi quanto mi terrorizzassero le ombre. Io la fissavo per tutto il tempo che decidevi di lasciarmici, non sapendo se pregare che quella candela si spegnesse, perché non richiamasse le ombre, o non si consumasse mai, perché al buio loro mi avrebbero preso. Come facevi tu. Finché una sera ricordai: me l'aveva insegnato papà. Se univo medio e anulare al pollice, tenendo alzate le altre dita, e poi muovevo la mano in avanti, con brevi scatti del polso, un cane nero sarebbe apparso sulla parete, per divorare le ombre che tanto mi terrorizzavano. “Vedi?” m'aveva detto una volta: “Quando la luce va via non devi avere paura: puoi controllare le ombre, se vuoi.” Peccato: crescendo l'ho di nuovo dimenticato... Non luce: l'ombra si vince solo con l'oscurità.

 

Dimenticato, sì, ma solo fino alla settimana scorsa! Quando finalmente ho realizzato che se ero così sporco, ucciderti forse non mi avrebbe insozzato ancora, piuttosto salvato. Perché eri tu, l'ombra scura che pesava su di me, ed io solo annientandoti con la mia oscurità avrei potuto vincerti... Ma io dovrei scusarmi... Dio, che sto facendo? E tu mi trovi sciocco. Mi trovi sciocco? Me lo dicevi spesso. E siccome lo dicevi, e non lo tacevi, allora era reale. Ma, vedi, non sono poi così stupido: io l'ho capito, cosa significano quei passi, che ancora sento e sempre più vicini: qualcuno sta arrivando. Anzi no, qualcosa. E' la tua risposta, la tua punizione. Fra noi c'è un ponte d'inchiostro, un ponte d'inchiostro fra i vivi e i morti. Ed ora, chi l'attraversa? Quale esercito?

 

Ma, sss: non li sento più, non sento più i passi! Perché? Perché non li posso più udire? Ma conosco già la risposta, non può essere che una: sono arrivate. Le tue parole. Così alzo lo sguardo dal foglio, e finalmente le vedo: piccole sagome nere ingombrano l'ingresso, i corpicini flessuosi gonfi d'inchiostro... d'odio. E scriveranno, scriveranno sulla mia pelle pallida la tua risposta, cosa vuoi che io sappia. Non dovevo tradire il nostro patto del silenzio, non dovevo. La penna mi cade di mano:,ormai è inutile continuare a scrivere, non accetterai le mie scuse. Ecco, già uno di loro avanza! Rigido: è un soldatino solerte che si avvicina, per compiere il dovere a cui è stato chiamato. Sai, vorrei fosse solo ribrezzo il brivido che sento! Dietro, si lascia una traccia viscida, come bava. E` così che rispondono i morti? Parole invisibili, ma viscose...
Ma non servirà doverle leggere, quando premeranno sulla mia pelle...

 

Dio! Si è aggrappato alla mia caviglia, si sta arrampicando! Striscia lungo la gamba! Mamma, fermalo! Mamma perdonami! Mi sta fissando... il viso nero, con solo una virgola rossa, beffarda... E' il suo sorriso... mi fa impazzire! No, non lo merito mamma! Fallo andar via...
Ma già gli altri mi sono addosso. Tutti quei sorrisi...

 

“Ictus.” Il medico si rialza, sfregandosi le dita: la sostanza appiccicosa sul corpo lo lascia perplesso, ma non c'è dubbio. E' morte naturale. Nico borbotta qualcosa, continuando a cercare. E' un uomo robusto, sulla quarantina; tremendamente cocciuto. “Fogli, decine di fogli bianchi!” sbotta all'improvviso. Riempiono la stanza, sparsi un po' ovunque, come se qualcuno li avesse scaraventati giù da un ripiano in un gesto di stizza, o, forse, come se fossero piovuti giù dal cielo. Non sa neanche lui perché stia dando tanta importanza a quei fogli, forse, un'intuizione? Bah! Stronzate! Quando Nico pensa corruga la fronte, su cui compaiono innumerevoli, finissime rughe, e stringe con forza i denti: non se ne rende conto, è un gesto involontario. L'agente che l'accompagna, poverino, è nuovo, e ancora non sa quando è meglio star zitto, ancora ha imparato a leggere sul suo viso i segnali che impongono cautela. Così, dopo averlo fissato per un po', alla fine non ne può più e sbotta: ”Cosa cerca?” A lui sembra così evidente... è un malore no? L'ha detto pure il medico! Non fa in tempo a completare il pensiero, che il poliziotto tuona irritato “Cosa cerco?! Cosa cerco?!!! Dio, il ragazzino è morto tre giorni dopo l'assassinio della madre!” non riesce a credere che quel novellino sia tanto stupido “Che razza...” ma si blocca. Ha notato qualcosa, davanti la porta: una grossa macchia, come di colla. Chiazze più piccole continuano per tutto il corridoio, in due file parallele. Le segue fino a una stanza chiusa, ma lui è già stato in quella casa e sa che è lo studio della donna uccisa pochi giorni prima. Lei faceva la commessa, ma le piaceva scrivere, e quando era morto il marito aveva trasformato il piccolo studio dell'uomo nel suo angolo scrittura. Gliel'aveva raccontato il figlio, quando aveva trovato il cadavere della donna riverso sulla scrivania: la porta d'ingresso era stata forzata e lei aveva un coltello piantato nel collo. Nico apre la porta, curioso, non sapendo bene cosa si aspetti di trovare... E  lì quella strana roba è dappertutto: per terra, sul divano, sulle pareti...

Claudia Conti

Ho 24 anni e vivo nella megalopoli Chieti (4 case, 1 capanna e tante pretese di essere definita città). Studio psicologia all'università, allegramente (si fa per dire...) fuori corso, ma attualmente mi sto cercando un lavoro per non far la simil-piattola a casa. Mi è sempre piaciuto leggere, con l'horror ho iniziato verso i 10 anni, Carmilla di Le Fanu, mi sono terrorizzata e ho nascosto talmente bene il libro che è saltato fuori dopo circa 2,3 anni! Non sopportavo neanche di vederlo in giro! Poi quando l'ho ritrovato, perchè nel frattempo avevo rimosso, ricordavo solo di aver avuto paura. Logico che dovessi, per forza, rileggerlo! Da allora è un'escalation di masochismo! :) Ogni tanto provo a scrivere qualcosa anch'io, con discutibili risultati... Il mio problema fondamentale è che odio rileggere e correggere le cose che, più che altro, scrivo di getto.