Ora di cena

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2003 - edizione 2

Ieri notte mi sono svegliato. Non ero solo.
Un altro essere respirava, in lui, nella mia casa, scorreva vita. Sentivo il profumo del sangue. Sentivo l'odore acre del sudore pervadente le pareti di pietra.
La fame si fece subito sentire, volevo quell’essere tra le mie braccia, ma dovevo anche mantenere prudenza: poco più avanti, sulla statale, sorgeva una caserma militare.
Attesi.
Respiravo la sua paura. Come poteva sapere della mia presenza e del pericolo?
Stesi le braccia e sollevai il coperchio. Il pesante rivestimento di legno cozzò contro la parete. Nel silenzio la vecchia casa tremò a quel suono. Ma la mia ospite non aveva udito il tonfo. Non vi era nessuna nuova ondata di paura.
Annusai l'aria per scernere gli aromi che vi si mescolavano.
Sangue. Sentivo la vividità del sangue che scorre tra cellule umane, il fruscio dei polmoni che si riempiono d'aria e le spinte del cuore accelerato che nutrono il corpo vivo e pulsante.
Una femmina. Il sangue scorreva tra le sue gambe, trattenuto da un tampone.

Scandagliai nella sua mente.
Trasmigrai la mia volontà verso di lei e ne penetrai le difese: attraversai una foschia avviluppata di paura e vergogna. E mi resi conto che la fonte dei suoi timori era lontana da quelle stanze.
Salii la scala che portava dalla stanza sotterranea al cortile. Uscii nell’aia.
Non era la mia presenza a procurare alla ragazza quelle sensazioni paralizzanti. Era fuggita da un essere spaventoso; un Uomo Malvagio che l’aveva portata lontana dalla sua terra, un paese vicino a quello da cui, secondo uno scrittore irlandese del secolo decimonono, sarebbe pervenuto il più efferato dei miei simili. La mia casa era divenuta il suo rifugio.
Un sorriso mi apparve sulle labbra. Dopo l’astinenza, finalmente: era ora di cena!

Simona Cremonini